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Schopenhauer, Arthur - Volontà (4) Pag. 1
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Sintesi

“Il mondo come volontà e rappresentazione” di Schopenhauer



Schopenhauer non mette oggetti fuori dall’esperienza a differenza di Kant che sosteneva che esistevano oggetti fuori dall’esperienza. Dobbiamo comunque pensare a una realtà fuori dalla conoscenza. Inoltre Schopenhauer nega che l’oggetto si costruisca su una pressione della realtà sui nostri sensi ma è tutta opera dell’intelletto, infatti non distingue sensibilità e intelletto. Ogni conoscenza di un oggetto, quindi rappresentazione intuitiva nello spazio, non esiste se non nell’intelletto. Con rappresentazione bisogna quindi intendere gli oggetti costituiti dall’intelletto e il mondo reale è coperto da questi. Realtà e pensiero vanno distinti. La rappresentazione non è altro che un fenomeno. L’intelletto pone davanti a questa realtà in se una sorta di involucro chiamato velo di maya. Questo velo rende il mondo dell’esperienza una sorta di illusione perché la realtà che noi conosciamo non è la realtà come essa è in sé, ma conosciamo solo fenomeni che sono un inganno. Il mondo è illusorio. Il soggetto dà spazio, tempo e causalità a questi oggetti rendendoli così una gigantesca finzione.
Il corpo umano è l’unica possibilità di arrivare all’in sé perché non accediamo al corpo solo dall’esterno ma anche dall’interno. Posso osservare un movimento ma anche dall’interno come una volontà perché il corpo è volontà. È un’esperienza di un essere in tensione, di un muoversi. La volontà è ciò che sta oltre alle rappresentazioni, è l’in sé del mondo. La volontà non è descrivibile in termini di spazio, tempo e causalità perché è senza spazio quindi infinita, non ha tempo quindi illimitata ed è priva di ordine quindi irrazionale. La volontà tende solo ad affermare sé stessa.
Estratto del documento

“Il mondo come volontà e rappresentazione” di Schopenhauer

Schopenhauer non mette oggetti fuori dall’esperienza a differenza di Kant che

sosteneva che esistevano oggetti fuori dall’esperienza. Dobbiamo comunque pensare

a una realtà fuori dalla conoscenza. Inoltre Schopenhauer nega che l’oggetto si

costruisca su una pressione della realtà sui nostri sensi ma è tutta opera dell’intelletto,

infatti non distingue sensibilità e intelletto. Ogni conoscenza di un oggetto, quindi

rappresentazione intuitiva nello spazio, non esiste se non nell’intelletto. Con

rappresentazione bisogna quindi intendere gli oggetti costituiti dall’intelletto e il

mondo reale è coperto da questi. Realtà e pensiero vanno distinti. La rappresentazione

non è altro che un fenomeno. L’intelletto pone davanti a questa realtà in se una sorta

di involucro chiamato velo di maya. Questo velo rende il mondo dell’esperienza una

sorta di illusione perché la realtà che noi conosciamo non è la realtà come essa è in sé,

ma conosciamo solo fenomeni che sono un inganno. Il mondo è illusorio. Il soggetto dà

spazio, tempo e causalità a questi oggetti rendendoli così una gigantesca finzione.

Il corpo umano è l’unica possibilità di arrivare all’in sé perché non accediamo al corpo

solo dall’esterno ma anche dall’interno. Posso osservare un movimento ma anche

dall’interno come una volontà perché il corpo è volontà. È un’esperienza di un essere

in tensione, di un muoversi. La volontà è ciò che sta oltre alle rappresentazioni, è l’in

sé del mondo. La volontà non è descrivibile in termini di spazio, tempo e causalità

perché è senza spazio quindi infinita, non ha tempo quindi illimitata ed è priva di

ordine quindi irrazionale. La volontà tende solo ad affermare sé stessa. L’unica legge

della volontà è il suo conservarsi. Grazie alla procreazione si mantiene in vita. L’uomo

è l’unico essere vivente che si stupisce della propria esistenza, delle sue proprie opere

e si chiede come sia possibile ciò. Quando arriva a questa riflessione e a questo

stupore nell’uomo nasce il bisogno di fare metafisica quindi diventa un animale

metafisico. Questo bisogno di filosofia e di spiegazioni metafisiche del mondo è spinto

dal desiderio di conoscenza della morte, di considerazione del dolore e della miseria

della vita. Avere questo desiderio, volere qualcosa è avere una mancanza quindi il

piacere è soddisfare questo bisogno ma è secondario rispetto alla volontà che è puro

dolore. La felicità è volta solo a soddisfare questa mancanza. Questo piacere è

momentaneo così come la noia che non ci fa tendere al dolore. Il dolore prevale sul

piacere. Bisogna così smettere di tendere al volere, smettere di tendere al dolore e a

queste mancanze.

Schopenhauer studia dunque delle vie per poter smettere di volere, smettere di avere

questa tensione al dolore. Sono delle presunte vie di liberazione. La prima potrebbe

sembrare essere quella del suicidio ma è scorretto perché è rispondere alla volontà

perché è una tensione al dolore e comunque togliendosi la vita non si infliggono grandi

perdite alla volontà. Una prima via valida è invece l’arte. L’opera d’arte rende

oggettivabile la volontà, nell’esperienza dell’opera vediamo la volontà standone fuori,

non c’è più una tensione dentro di noi grazie all’opera d’arte. L’arte permette di

contemplare la vita. Le arti si dispongono in una gerarchia in cui il gradino più alto è

occupato dalla musica. La musica è l’arte più profonda, non è espressione, è

movimento irrazionale senza concetti. L’arte però non è abbastanza perché

l’esperienza che possiamo avere di un’opera non è illimitata. L’altra via possibile è

l’etica. L’etica è un essere al servizio degli altri, è la scoperta della compassione cioè

del soffrire assieme agli altri, capire che siamo tutti sullo stesso piano e viviamo la

medesima situazione. Quando non prevarico l’altro tutto appare all’uomo in maniera

differente e diventa capace di giustizia. Successivamente diventa poi capace di carità

ovvero è capace di assumersi il dolore dall’altro, si fa carico della sofferenza altrui per

poter togliere l’altro da questo dolore. La terza e ultima via praticabile e che porta a

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