Concetti Chiave
- Il sublime si manifesta come un piacere che attrae e respinge, caratterizzato da elementi come l'infinitamente grande e la potenza.
- Kant considera il sublime come un concetto preromantico, legato all'idea che l'artista-genio possa cogliere la bellezza in modo innato.
- I giudizi teleologici sono necessari per comprendere la finalità percepita delle cose, proiettando un fine sulla natura.
- Secondo Kant, i giudizi teleologici non producono conoscenza ma sono regolativi, aiutando a interpretare la natura secondo fini umani.
- Questi giudizi sono anche definiti euristici, in quanto stimolano la ricerca di significati ulteriori nella natura.
Il concetto di sublime
Esiste un altro tipo di piacere, che non è dato dall’armonia e dell’equilibrio: è il sublime, ossia un qualcosa che attrae e respinge allo stesso tempo. Il sublime è prodotto da due elementi:
• l’infinitamente grande: siamo attratti dall’estensione dell’universo, ma di fronte alla sua immensità è come se ci annullassimo;
• la potenza: per esempio un’eruzione vulcanica spaventa, ma, al tempo stesso, è affascinante.
Il ruolo dell'artista secondo Kant
Questo pensiero di Kant è preromantico. Vi sono altri aspetti preromantici nella sua filosofia: per esempio ritiene che a creare il bello sia l’artista, concepito come genio in quanto è in grado di cogliere e di esprimere la bellezza. Quest’ultima è una capacità innata di alcuni uomini e che non è possibile insegnare.
Giudizi teleologici e finalismo
Dopo aver compreso cosa sono le cose con l’intelletto, l’uomo ha l’esigenza di capire che fine abbiano. Sono perciò necessari i giudizi teleologici che riflettono sulla natura costituita dall’intelletto l’idea di fine. Per esempio l’occhio è fatto per vedere, quindi, sembra vi sia un finalismo nella natura. Ma non è una finalità oggettiva perché siamo noi uomini che, riflettendo sugli oggetti naturali in base ai nostri interessi, stabiliamo fini e scopi. Ne deriva che questi giudizi non producono una conoscenza ma sono regolativi: è possibile considerare le cose come se avessero un fine. Sono chiamati anche giudizi euristici (scopo) perché non sono una conoscenza, ma il proiettare un fine sulla natura ci spinge a cercare altro.