Concetti Chiave
- Nel giudizio riflettente, il particolare è dato dall'esperienza mentre l'universale è trovato internamente e riguarda il sentimento.
- Il giudizio riflettente si divide in giudizio estetico e teologico, ognuno con le proprie caratteristiche distintive.
- Il giudizio estetico distingue tra bello, percepito attraverso l'armonia dei sentimenti, e sublime, che deriva dall'infinito e da ciò che sconvolge.
- Il sublime si suddivide in matematico e dinamico, rappresentando rispettivamente l'infinito e ciò che provoca meraviglia.
- Il giudizio teologico esplora la finalità interna delle cose e contempla l'esistenza di un finalismo universale, suggerendo la presenza di un Dio creatore.
La critica del giudizio
Nelle due Critiche precedenti (alla Ragion Pura e alla Ragion Pratica) il giudizio sintetico apriori veniva considerato come “determinante”.
Nella Critica del giudizio, il giudizio è “riflettente”, perché è oggetto di indagine filosofica.
Mentre nel giudizio determinante il particolare e l’universale sono dati, nel giudizio riflettente, il particolare, cioè l’esperienza, è data, ma l’universale lo trovo dentro di me, perché riguarda un’altra dimensione: il sentimento.
Il giudizio riflettente si divide in:
- Estetico
- Teologico
Il Giudizio Estetico si divide in: bello e sublime.
Per spiegare il concetto di bello, facciamo un esempio: se mi trovo di fronte a un quadro, chi mi dice che è bello? La bellezza la sento attraverso il sentimento. Il bello è determinato da tutto ciò che è armonioso.
Il sublime invece, deriva dall’infinito e da ciò che mi sconvolge, infatti si divide in: dinamico e matematico.
- Matematico significa infinito, lo sento dentro di me come una cosa che mi proietta in una dimensione nuova (ad esempio il cielo stellato).
- Dinamico è ciò che mi sconvolge (ad esempio il mare agitato).
Il Giudizio Teologico, riguarda la ricerca di una finalità.
A tutto ciò che mi circonda posso trovare un fine interno, ad esempio: ogni essere vivente è costituito da organi che hanno il compito di mantenere in vita il corpo.
Il finalismo interno mi porta a pensare che esista un finalismo universale, perché mi porta a pensare che esista un Dio creatore, e che l’uomo, creatura perfetta, possa essere l’ultimo fine della creazione.
Non posso però averne una certezza, ma (sostiene Kant) una ragionevole speranza.