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Sintesi

Johann Gottlieb Fichte (Idealista orientato al soggettivismo)



Il primo grande esponente dell'idealismo tedesco fu Johann Gottlieb Fichte (1762-1814). Numerose le sue opere. Il saggio Dottrina della scienza o della cosiddetta filosofia (1794) segnò il suo distacco dal kantismo.
L'Io di Fichte – e dell'idealismo in genere – non va confuso con l'Io-penso di Kant. L'Io-penso di Kant non è la realtà (che è costituita dai fenomeni e dai noumeni), ma è il modo più elevato di funzionare dell'intelletto, che organizza e collega unitariamente nel soggetto i dati sensibili percepiti (le intuizioni pure di spazio e di tempo) con le categorie. L'Io-penso di Kant dunque non produce la realtà, bensì la regola, l'organizza e ne consente la conoscenza scoprendone le leggi: per tale motivo è definito "il legislatore della natura". L'Io di Fichte - e per l'idealismo in genere - è invece il principio "creatore" della realtà, prodotta dall'Io nel momento in cui è da esso pensata. Inoltre, l'Io non è la coscienza empirico-individuale, che in quanto tale è finita (nasce e muore) ma è la coscienza universale, è lo "spirito dell'umanità", è l'intelligenza che c'è nel mondo e lo guida verso un fine, uno scopo liberamente prescelto.
Ed ancora, mentre l'Io-penso di Kant è “finito” in quanto limitato dalle cose in sé che l'intelletto non può conoscere, l'Io di Fichte è invece “infinito” perché tutta la realtà, sia finita che infinita, deriva da lui, è da lui stesso prodotta. Per Kant la principale facoltà conoscitiva è l'intelletto, il quale consente però una conoscenza solo fenomenica, invece per Fichte e per l'Idealismo la principale facoltà conoscitiva è la ragione, che è in grado di cogliere l'Infinito – cioè la Totalità della realtà – per deduzione da un principio primo che non è dimostrabile bensì intuitivo, autoevidente. Se tutta la realtà proviene ed è prodotta dall'Io, consegue che esso è allora il principio primo della realtà, in quanto non causato da qualcosa d'altro essendo invece lui medesimo causa di se stesso. Producendo all'infinito nuove realtà e nuove conoscenze, l'Io è dunque infinito, è attività infinita e, nel momento in cui pensa la realtà prodotta, l'Io la conosce. Al primato dell'essere (la realtà) si sostituisce il primato del pensiero: prima c'è l'Io (il pensiero) che produce la realtà, che solo successivamente è conosciuta dall’Io stesso che l’ha prodotta. Dunque l'Io di Fichte non solo supera il dualismo kantiano tra fenomeno e noumeno, o “cosa in sé” (poiché quando una cosa è pensata è immediatamente conosciuta, presente nella mente e non esterna ad essa) ma, essendo attività che precede la conoscenza supera anche l'altra distinzione kantiana tra ragione pura o teoretica (la conoscenza) e ragione pratica (la morale): l'Io di Fichte supera cioè la distinzione tra conoscere e fare (agire, comportarsi), poiché nel fare, dunque nel “produrre la realtà”, l'Io viene in tal modo anche a conoscerla.

L'idealismo etico
• Se la cosa-in-sé, come sosteneva Kant, è inconoscibile, non è lecito, sul piano teoretico (cioè conoscitivo), né affermarne l'esistenza, né negarla.
• La visione dogmatica (che presuppone il noumeno) e quella idealistica (che invece lo nega) si escludono a vicenda e non è possibile dimostrare l'una o l'altra. Occorre scegliere tra le due alternative e la scelta non può che avvenire sul piano pratico (etico/morale), analizzando le conseguenze che discendono dall'una e dall'altra. Il dogmatismo implica il determinismo, in quanto il soggetto risulterebbe determinato dall'oggetto. L'idealismo, per contro, consente l'affermazione della libertà sul piano morale: occorre quindi scegliere questa seconda alternativa.
• Eliminato il noumeno, cioè l'oggetto, tutto deve essere ricondotto al soggetto, cioè all'Io, che risulta perciò incondizionato. Fichte lo definisce perciò lo puro. L’Io puro, o idea o spirito, non è la coscienza, la mente individuale empirica e “finita”, ma è la coscienza collettiva, lo spirito dell'umanità, è un'intelligenza, una forza che si trova ed agisce dentro il mondo e dentro la storia umana guidandone lo sviluppo.

La dialettica e i tre princìpi della scienza (ovvero i tre momenti di sviluppo della realtà)



• Muovendo dal presupposto idealistico, Fichte ritiene che la realtà venga prodotta dall'Io puro attraverso un processo composto da tre principi o momenti o fasi, che si sviluppano in modo dialettico, ossia mediante contrapposizione fra tesi e antitesi per giungere poi alla loro sintesi (unificazione).
i) Primo principio della scienza (tesi)  Dato che l'unica realtà originaria non può che essere l'Io, il primo principio della scienza è: l'Io pone se stesso. L'io pone se stesso come fondamento di tutta la realtà conoscitiva e pratica; pone se stesso nel senso che si presenta e si riconosce come costitutivo di tale fondamento. Questa è la tesi, ossia il momento positivo del processo dialettico di produzione della realtà; è, si può dire, il punto di partenza. Quindi l'Io, pensando la realtà, la produce. La realtà viene ad esistere solo nel momento in cui è pensata: è frutto dell'attività produttrice dell'Io. L'Io puro non deve quindi essere inteso come un essere (il Dio creatore dell'universo). Così come l'Io penso kantiano esiste solo come funzione della conoscenza, l'Io puro esiste solo come attività, in quanto produce.
ii) Secondo principio della scienza (antitesi)  Per poter prendere coscienza di sé l’Io deve confrontasi con qualcosa di distinto, cioè con un Non-io: il secondo principio della dottrina della scienza è pertanto: l'Io oppone all'Io un Non-io. Così facendo, però, l’Io si autolimita, non è più assoluto. L’a produzione del non-Io rappresenta il momento negativo del processo dialettico, quello dell'opposizione: se l'Io è coscienza, è pensiero, allora il non-Io prodotto non può essere che il suo opposto, cioè la materia, ossia la natura come insieme di minerali, piante, animali e uomini nella loro corporeità. Il non-Io è tutto ciò che non è l'Io. L'Io si trova condizionato e limitato dal non-Io, cioè dalle cose della natura che si trova davanti.
iii) Terzo principio della scienza (sintesi)  L'Io e il non-Io sono due principi, due concetti astratti: sono il pensiero in generale e la natura in generale, ma in quanto tali non costituiscono la realtà concreta. Nel mondo concreto e sensibile, in cui vivono i singoli individui, vi sono invece molteplici io-finiti (ossia molteplici coscienze individuali), delimitati e quindi divisibili, che si trovano di fronte ed opposti ad essi stessi una molteplicità di non-io finiti (gli oggetti della natura), anch'essi finiti e divisibili. Sono divisibili nel senso che sono divisi, distinti uno dall'altro. Abbiamo pertanto il terzo principio: l'Io oppone, nell'Io, all'Io divisibile un Non-Io divisibile. In Fichte l'Io risulta finito e infinito al tempo stesso: finito perché è limitato dal non-Io; infinito perché, l'Io-puro comunque non perde il suo carattere di infinità. Mentre i singoli io-finiti nascono e muoiono, l'Io-puro, come principio primo da cui deriva tutta la realtà, perdura nel tempo; è totalità infinita e in esso sono concettualmente ricompresi e assorbiti tutti gli io-finiti. Il singolo io-finito, coscienza individuale, affronta i vari non-io finiti, costituiti dagli oggetti della natura che ad esso si oppongono. In tal modo l'io-finito estende sempre di più la sua conoscenza sugli oggetti (attività teoretica, conoscitiva) ed estende altresì sempre di più la sua libertà di azione su tali oggetti, cioè la sua capacità di modificarli ed utilizzarli (attività pratica ma anche morale perché devono essere utilizzati bene).

La moralità


• Da queste formule di difficile comprensione derivano conseguenze importanti. L'Io divisibile è l'umanità, il Non-io divisibile è la natura. Entrambi sono posti dall'Io puro e tra essi si stabilisce una dinamica in base alla quale l'uomo deve riportare a sé a natura come Non-Io (umanizzandola) per acquistare coscienza di sé come realtà spirituale unitaria. Questo compito coincide con la moralità.
• Fichte chiama Immaginazione produttiva l'attività mediante la quale l'lo produce il Non-io. Essa è inconscia, per cui la natura si presenta all'io empirico (i singoli uomini) come oggettiva e distinta da sé. Nell'attività pratica l'Io trasforma la natura, riconducendola a sé e prendendo al tempo stesso coscienza di se stesso. Il mondo naturale, in altri termini, deve essere modellato secondo l'esigenza morale dell'uomo, che in questo modo umanizza se stesso, divenendo cosciente della propria dimensione spirituale.
• La moralità così intesa non prevede il conseguimento di una meta finale, ma consiste in un continuo sforzo (Streben), in una continua tensione incessante verso l'infinito.

Il diritto e la politica



• Nel mondo reale il singolo empirico (l’individuo) entra in rapporto con gli altri, che avverte come esseri morali in quanto agiscono liberamente, a differenza delle cose che sono determinate. Il fine ideale è la ricomposizione dell’umanità come unico Io.
• In un primo momento il rapporto tra gli uomini è caratterizzato dal diritto. Lo Stato sorge come patto tra i cittadini per garantire i diritti di ognuno. Nell'opera del 1800, Lo Stato commerciale chiuso, il ruolo dello Stato diviene però preminente; esso deve garantire ad ognuno la proprietà ed il lavoro, condizioni indispensabili perché ogni uomo possa agire sulle cose ed attuare la propria personalità. Per controllare l’equa distribuzione delle ricchezze secondo Fichte lo Stato deve essere “commercialmente chiuso” e deve organizzare e dirigere l’economia.
• Nei Discorsi alla nazione tedesca (1807) Fichte pone l’accento sul concetto romantico di nazione come unità ed espressione politica di un popolo: egli riconosce la tensione ad una sempre maggiore integrazione tra i singoli, che hanno una stessa lingua, che si riconoscono in valori comuni, che tendono a costruire un'unità. L'integrazione tra i diversi popoli, tra i quali Fichte assegna un ruolo di guida a quello tedesco, condurrà tendenzialmente alla ricomposizione dell'intera umanità in un unico Io, riaffermando l'unità originaria. È un compito inesauribile, ma rappresenta il modello ideale al quale ricondurre la storia dell'umanità. Secondo Fichte la nazione tedesca ha il privilegio dell’originarietà, cioè della fedeltà alla propria natura; su di questa si fonda la sua superiorità e quindi la missione di porsi alla guida dell’umanità, di cui è a suo parere la più compiuta incarnazione (“avere carattere ed essere tedesco sono la stessa cosa”). Tali affermazioni ebbero notevole influenza nel formarsi del nazionalismo tedesco.


Conclusioni



La "Dottrina della scienza o della cosiddetta filosofia" ebbe in ogni caso largo successo presso i romantici perché in quell'opera ritrovavano molte delle loro aspirazioni: l'incessante tendere all'infinito; la riduzione del non-Io a una produzione dell'Io e quindi il predominio del soggetto; la proclamazione della libertà come significato ultimo dell'uomo e delle cose; l'assimilazione dell'agire umano al Divino (il primato del fare sul conoscere). L'idealismo fichtiano è etico (o morale) non solo perché la legge morale e la libertà sono al fondamento del suo sistema, ma anche perché sono l'elemento che spiega la scelta che ogni uomo singolo fa delle cose e della stessa filosofia: sceglie l'idealismo chi è libero, sceglie il dogmatismo chi dà la preminenza alle cose rispetto al soggetto e quindi non è spiritualmente libero.


Friedrich Wilhelm Joseph Schelling (Idealista orientato al naturalismo)



Schelling è un pensatore molto precoce, che raggiunge il massimo successo a soli 25 anni: nel 1800 circa, ad appena 32 anni, comincia già ad essere eclissato dall'astro nascente di Hegel, che peraltro era più anziano di lui. Pur essendo più giovane di Hegel, Schelling ne fu per qualche anno il maestro e, anche quando Hegel morirà, Schelling gli sopravviverà per circa 20 anni, dando vita ad una filosofia successiva ad Hegel ed in polemica con lui. Il pensiero di Schelling presenta, come quello di Fichte, diverse fasi.

L'assoluto come unità di soggetto e oggetto



• Secondo Schelling Fichte non spiega come avvenga il passaggio dall'Io al Non-io. Occorre porre come originario un principio che li comprenda entrambi: il principio incondizionato, l'Assoluto, deve contenere in sé sia il momento soggettivo sia quello oggettivo, se vogliamo che entrambi siano ricavabili da esso.
• L'Assoluto è pertanto unità indifferenziata dal quale derivano sia la natura che lo Spirito. Entrambi sono presenti fin dal principio, per cui la natura è «Spirito pietrificato», lo Spirito è natura autocosciente. Ne risulta una visione organicistica e vitalistica della natura, intesa come spiritualità latente, inconscia, ma omogenea alla spiritualità umana.

La fisica speculativa e l'idealismo trascendentale



• Come prima fase l'analisi di Schelling si articola, schematicamente, in due momenti: (A) la fisica speculativa, che egli definisce «la deduzione del reale dall'ideale» e (B) l'idealismo trascendentale, che descrive come la spiritualità inconscia divenga Spirito consapevole nell'uomo e plasmi la realtà e la storia.

A) La fisica speculativa analizza lo sviluppo della natura, intesa come una realtà organica unitaria, fino all'emergere dello Spirito, con l'uomo. La spiritualità inconscia della natura si manifesta fin dal livello inorganico: ciò che appare come materia inerte è in realtà il risultato dell'equilibrio di forze contrapposte di attrazione e di repulsione. Con la vita e con l'uomo la spiritualità emerge dalla natura, divenendo consapevole di sé e del processo costitutivo della realtà, mediante il sapere. Quindi se Fichte sottolineava che la natura è un prodotto dell'Io ed insisteva sul fatto che la natura fosse un non-Io, cioè un qualcosa di diverso all'Io e quindi ostacolo e limite che l’Io deve superare per la propria evoluzione, secondo Schelling la natura è spirito pietrificato, cioè nascosto, nel senso che la natura altro non è che lo spirito che si manifesta in forme propriamente non proprie. Per Schelling Io (spirito) e non-Io (natura) sono la stessa cosa, poichè l'uno è il derivato dell'altro. Ecco dunque che la filosofia di Schelling si può configurare come Filosofia dello Spirito e della Natura. Nella natura troviamo livelli della realtà in cui la spiritualità si manifesta in modi diversi; a certi livelli della natura lo spirito rimane “nascosto”, pietrificato e si manifesta solo ad alcuni altri: ad esempio nei livelli della meccanica (cinematica, statica, ecc.) la spiritualità resta nascosta e la natura non si manifesta come spirito, è quasi incoglibile. Ma più si va verso una maggiore complessità della natura e più la sua spiritualità tende ad affiorare: già nella chimica si intravede qualche elemento spirituale, nel magnetismo si fa un ulteriore passo avanti, mentre è nel livello biologico - in cui emerge la dimensione organicista - che si vede benissimo la spiritualità. Anche nella luce si può scorgere un tentativo della spiritualità della natura di emergere. Va notato che il punto di partenza dello spirito è il punto di arrivo della natura: con la posizione del non-io da parte dell'Io si procede dallo spirito alla natura, ma poi la natura va dai livelli meno vivi (la meccanica) verso una sempre maggiore spiritualità (la biologia).
Si considerano spesso le posizioni di Schelling - accanto a quelle di Goethe secondo cui l'intero regno vegetale deriverebbe da un'unica pianta - come tappa verso l'elaborazione delle teorie evoluzionistiche. Certo, Schelling non ha di per sè una concezione propriamente evoluzionistica ma sostenendo che tutte le cose sono manifestazioni di un'unica realtà (la spiritualità), propone una sorta di evoluzionismo atemporale, una specie di gerarchia logica dall'essere più semplice al più complesso, entrambi manifestazioni della realtà spirituale.

B) L'idealismo trascendentale. Schelling designa la propria filosofia dello spirito anche come idealismo trascendentale e distingue, sulle orme di Fichte, tra un'attività pratica con cui lo spirito produce la natura e un'attività conoscitiva con cui la natura opera sullo spirito. L'idealismo trascendentale è il reciproco della filosofia della natura; è l'altra faccia della stessa medaglia. In esso Schelling mostra come lo spirito diventa natura, ovviamente non in senso materiale ed effettivo bensì figurato, ossia nel senso che lo spirito cosciente scopre come la propria essenza spirituale sia la stessa di quella della natura. Lo sviluppo dello Spirito viene ricostruito da Schelling sia a livel¬lo conoscitivo che storico-pratico. In ambito conoscitivo in un primo momento l'uomo avver¬te la natura come un oggetto, completamente distinto da sé (sensazione), fino a riconoscersi, nel momento conclusivo (riflessione e assoluto atto di volere) come costitutivo della realtà stessa. Questa consapevolezza non può mai essere totale, perché la produzione della natura è inconscia. Di conseguenza, il vertice della conoscenza non è la ragione ma l'arte, sintesi di conscio e inconscio. Sul piano storico-pratico, la consapevolezza di una razionalità della sto¬ria si esprime dapprima come destino, poi come necessità e infine come provvidenza, della cui opera anche l'uomo si avverte partecipe.

La filosofia dell'identità



• A partire dal 1801 (Esposizione del mio sistema filosofico) si delinea una svolta nella filosofia di Schelling che assume contorni precisi con Filosofia e religione (1804). Il problema da cui Schelling muove è la spiegazione di come possa darsi il passaggio dall'infinito (l'Assoluto) al finito.
• Se per Fichte l'Assoluto poteva tranquillamente essere lo spirito (l'Io) poiché era su un gradino superiore rispetto alla natura (non a caso quello di Fichte era un idealismo soggettivo); con Schelling, invece, natura e spirito assurgono a pari dignità e ne consegue che l'Assoluto dovrà essere qualcosa che non è nè lo spirito nè la natura, ma che si colloca al di là di essi. È Assoluto, dice Schelling, l'Identità assoluta di soggetto e oggetto, da lui chiamata anche Assoluto o Identità. L'Assoluto è dunque identità di ideale e reale e non può quindi coincidere con l'esistente, in cui tale identità non sussiste. Esso deve perciò essere trascendente e viene identificato da Schelling con Dio, superando così definitivamente il tendenziale panteismo (per cui l'intera realtà si identifica con Dio) delle sue prime opere.
• Sorge a questo punto il problema della derivazione dell'esistente dall'Assoluto: perché l'Infinito si esplica nel finito? Tale passag¬gio non può avvenire che per distacco dall'Assoluto mediante una «caduta», una separazione dall'Assoluto in seguito alla quale l'esistente si particolarizza. Ed è la domanda che spingerà Schelling alla successiva fase del suo pensiero, la Filosofia della libertà.

La filosofia della libertà



• Nelle Ricerche filosofiche sull'essenza della libertà umana, del 1809, Schelling spiega la «ca¬duta» e il distacco del finito dall'Assoluto, cioè la derivazione del mondo da Dio, sostenendo che Dio, essendo tutto, deve essere coincidenza dei contrari.
• In lui coesistono, indistinti, positività e negatività, bene e male. Dio deve superare questa contrapposizione, recuperando la negatività che è costitutiva del suo essere, attraverso un processo di redenzione cosmica, al quale anche l'uomo è chiamato a partecipare.
• In altre parole, Dio è altro dal mondo ma lo ha creato, per cui in Lui vi è un contrasto, una opposizione tra le sue due dimensioni, Spirito e Natura: come Spirito (Persona) Dio è luminosa e consapevole ragione, amore "purissimo", ma come Natura è fondo oscuro, abissale, desiderio di essere, è “male”.
Tuttavia il male non va visto come negatività pura: esso è proteso alla Redenzione, e in qualche modo è necessario per affrontare esplicitamente e vincere, nella storia, quella oscura contraddizione che altrimenti sarebbe rimasta per sempre un'ombra vaga e cupa. Così la storia è teofania (apparizione della divinità sotto forme visibili), il teatro dello scontro tra i due poli, Spirito e Natura, con la progressiva affermazione della libertà sulla necessità (morale) e della razionalità sull'irrazionalità (conoscenza); essa è qualcosa di perfetto, benché appaia imperfetto e puramente finito.

La filosofia positiva



• L'ultima fase della riflessione filosofica di Schelling è caratterizzata dalla contrapposizione alla filosofia di Hegel. Contro l'identificazione hegeliana di razionalità ed esistenza, Schelling sostiene l'indeducibilità dell'esistente dal razionale.
• Possiamo determinare le condizioni logiche dell'esistenza («filosofia negativa»), ma non spiegare l'effettiva sussistenza di determinate realtà piuttosto che di altre. L'esistente deve essere interpretato come manifestazione della volontà di Dio, come tale non deducibile ma soltanto accettabile come dato («filosofia positiva»). Tutto l'esistente è manifestazione della volontà divina, e in questa nuova consapevolezza del limite della ragione Schelling riscopre nuove forme di conoscenza meta-razionale: la mitologia (che parte dal mondo naturale e giunge a Dio come Natura) e la Rivelazione soprannaturale (che parte dal mondo dello spirito e giunge a Dio come Persona, come Spirito). Egli elabora così una Filosofia della mitologia e una Filosofia della Rivelazione, temi ai quali dedicherà le sue ultime opere.

Conclusioni



Un giudizio sulla filosofia di Schelling non è facile a causa dei frequenti mutamenti di indirizzo e di interessi. La sua filosofia della natura fu prontamente e largamente recepita dai romantici, come pure fu accolta con favore la sua filosofia estetica. Minor considerazione ebbe invece il suo pensiero più maturo e tardivo. La fortuna di Schelling andò via via declinando mentre saliva l'astro di Hegel. Forse Schelling è stato il pensatore che meglio di tutti ha dato voce alle inquietudini romantiche, a quel tendere senza posa, a quel continuo "sorpassarsi", a quella incessante mutevolezza di temi, tralasciando i prodotti delle concezioni via via elaborate per cercarne sempre di nuove.
Estratto del documento

Johann Gottlieb Fichte (Idealista orientato al soggettivismo)

Il primo grande esponente dell'idealismo tedesco fu Johann Gottlieb Fichte (1762-1814). Numerose le sue

opere. Il saggio Dottrina della scienza o della cosiddetta filosofia (1794) segnò il suo distacco dal kantismo.

L'Io di Fichte – e dell'idealismo in genere – non va confuso con l'Io-penso di Kant. L'Io-penso di Kant non è

la realtà (che è costituita dai fenomeni e dai noumeni), ma è il modo più elevato di funzionare dell'intelletto,

che organizza e collega unitariamente nel soggetto i dati sensibili percepiti (le intuizioni pure di spazio e di

tempo) con le categorie. L'Io-penso di Kant dunque non produce la realtà, bensì la regola, l'organizza e ne

consente la conoscenza scoprendone le leggi: per tale motivo è definito "il legislatore della natura". L'Io di

Fichte - e per l'idealismo in genere - è invece il principio "creatore" della realtà, prodotta dall'Io nel

momento in cui è da esso pensata. Inoltre, l'Io non è la coscienza empirico-individuale, che in quanto tale è

finita (nasce e muore) ma è la coscienza universale, è lo "spirito dell'umanità", è l'intelligenza che c'è nel

mondo e lo guida verso un fine, uno scopo liberamente prescelto.

Ed ancora, mentre l'Io-penso di Kant è “finito” in quanto limitato dalle cose in sé che l'intelletto non può

conoscere, l'Io di Fichte è invece “infinito” perché tutta la realtà, sia finita che infinita, deriva da lui, è da lui

stesso prodotta. Per Kant la principale facoltà conoscitiva è l'intelletto, il quale consente però una

conoscenza solo fenomenica, invece per Fichte e per l'Idealismo la principale facoltà conoscitiva è la

ragione, che è in grado di cogliere l'Infinito – cioè la Totalità della realtà – per deduzione da un principio

primo che non è dimostrabile bensì intuitivo, autoevidente. Se tutta la realtà proviene ed è prodotta

dall'Io, consegue che esso è allora il principio primo della realtà, in quanto non causato da qualcosa

d'altro essendo invece lui medesimo causa di se stesso. Producendo all'infinito nuove realtà e nuove

conoscenze, l'Io è dunque infinito, è attività infinita e, nel momento in cui pensa la realtà prodotta, l'Io la

conosce. Al primato dell'essere (la realtà) si sostituisce il primato del pensiero: prima c'è l'Io (il pensiero) che

produce la realtà, che solo successivamente è conosciuta dall’Io stesso che l’ha prodotta. Dunque l'Io di

Fichte non solo supera il dualismo kantiano tra fenomeno e noumeno, o “cosa in sé” (poiché quando una

cosa è pensata è immediatamente conosciuta, presente nella mente e non esterna ad essa) ma, essendo

attività che precede la conoscenza supera anche l'altra distinzione kantiana tra ragione pura o teoretica (la

conoscenza) e ragione pratica (la morale): l'Io di Fichte supera cioè la distinzione tra conoscere e fare (agire,

comportarsi), poiché nel fare, dunque nel “produrre la realtà”, l'Io viene in tal modo anche a conoscerla.

L'IDEALISMO ETICO

• Se la cosa-in-sé, come sosteneva Kant, è inconoscibile, non è lecito, sul piano teoretico (cioè

conoscitivo), né affermarne l'esistenza, né negarla.

• La visione dogmatica (che presuppone il noumeno) e quella idealistica (che invece lo nega) si

escludono a vicenda e non è possibile dimostrare l'una o l'altra. Occorre scegliere tra le due alternative e la

scelta non può che avvenire sul piano pratico (etico/morale), analizzando le conseguenze che discendono

dall'una e dall'altra. Il dogmatismo implica il determinismo, in quanto il soggetto risulterebbe determinato

dall'oggetto. L'idealismo, per contro, consente l'affermazione della libertà sul piano morale: occorre quindi

scegliere questa seconda alternativa.

• Eliminato il noumeno, cioè l'oggetto, tutto deve essere ricondotto al soggetto, cioè all'Io, che risulta

perciò incondizionato. Fichte lo definisce perciò lo puro. L’Io puro, o idea o spirito, non è la coscienza, la

mente individuale empirica e “finita”, ma è la coscienza collettiva, lo spirito dell'umanità, è un'intelligenza,

una forza che si trova ed agisce dentro il mondo e dentro la storia umana guidandone lo sviluppo.

LA DIALETTICA E I TRE PRINCÌPI DELLA SCIENZA (ovvero i tre momenti di sviluppo della realtà)

• Muovendo dal presupposto idealistico, Fichte ritiene che la realtà venga prodotta dall'Io puro attraverso

un processo composto da tre principi o momenti o fasi, che si sviluppano in modo dialettico, ossia

mediante contrapposizione fra tesi e antitesi per giungere poi alla loro sintesi (unificazione).

i) Primo principio della scienza (tesi) Dato che l'unica realtà originaria non può che essere

l'Io, il primo principio della scienza è: l'Io pone se stesso. L'io pone se stesso come fondamento di tutta la

realtà conoscitiva e pratica; pone se stesso nel senso che si presenta e si riconosce come costitutivo di

tale fondamento. Questa è la tesi, ossia il momento positivo del processo dialettico di produzione della

realtà; è, si può dire, il punto di partenza. Quindi l'Io, pensando la realtà, la produce. La realtà viene ad

esistere solo nel momento in cui è pensata: è frutto dell'attività produttrice dell'Io. L'Io puro non deve quindi

essere inteso come un essere (il Dio creatore dell'universo). Così come l'Io penso kantiano esiste solo

come funzione della conoscenza, l'Io puro esiste solo come attività, in quanto produce.

ii) Secondo principio della scienza (antitesi) Per poter prendere coscienza di sé l’Io deve

confrontasi con qualcosa di distinto, cioè con un Non-io: il secondo principio della dottrina della scienza è

pertanto: l'Io oppone all'Io un Non-io. Così facendo, però, l’Io si autolimita, non è più assoluto. L’a

produzione del non-Io rappresenta il momento negativo del processo dialettico, quello dell'opposizione: se

l'Io è coscienza, è pensiero, allora il non-Io prodotto non può essere che il suo opposto, cioè la materia,

ossia la natura come insieme di minerali, piante, animali e uomini nella loro corporeità. Il non-Io è tutto ciò

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che non è l'Io. L'Io si trova condizionato e limitato dal non-Io, cioè dalle cose della natura che si trova

davanti. 

iii) Terzo principio della scienza (sintesi) L'Io e il non-Io sono due principi, due concetti astratti:

sono il pensiero in generale e la natura in generale, ma in quanto tali non costituiscono la realtà concreta.

Nel mondo concreto e sensibile, in cui vivono i singoli individui, vi sono invece molteplici io-finiti (ossia

molteplici coscienze individuali), delimitati e quindi divisibili, che si trovano di fronte ed opposti ad essi

stessi una molteplicità di non-io finiti (gli oggetti della natura), anch'essi finiti e divisibili. Sono divisibili nel

senso che sono divisi, distinti uno dall'altro. Abbiamo pertanto il terzo principio: l'Io oppone, nell'Io, all'Io

divisibile un Non-Io divisibile. In Fichte l'Io risulta finito e infinito al tempo stesso: finito perché è limitato

dal non-Io; infinito perché, l'Io-puro comunque non perde il suo carattere di infinità. Mentre i singoli io-finiti

nascono e muoiono, l'Io-puro, come principio primo da cui deriva tutta la realtà, perdura nel tempo; è

totalità infinita e in esso sono concettualmente ricompresi e assorbiti tutti gli io-finiti. Il singolo io-finito,

coscienza individuale, affronta i vari non-io finiti, costituiti dagli oggetti della natura che ad esso si

oppongono. In tal modo l'io-finito estende sempre di più la sua conoscenza sugli oggetti (attività teoretica,

conoscitiva) ed estende altresì sempre di più la sua libertà di azione su tali oggetti, cioè la sua capacità di

modificarli ed utilizzarli (attività pratica ma anche morale perché devono essere utilizzati bene).

LA MORALITÀ

• Da queste formule di difficile comprensione derivano conseguenze importanti. L'Io divisibile è l'umanità,

il Non-io divisibile è la natura. Entrambi sono posti dall'Io puro e tra essi si stabilisce una dinamica in base

alla quale l'uomo deve riportare a sé a natura come Non-Io (umanizzandola) per acquistare coscienza di sé

come realtà spirituale unitaria. Questo compito coincide con la moralità.

• Fichte chiama Immaginazione produttiva l'attività mediante la quale l'lo produce il Non-io. Essa è

inconscia, per cui la natura si presenta all'io empirico (i singoli uomini) come oggettiva e distinta da sé.

Nell'attività pratica l'Io trasforma la natura, riconducendola a sé e prendendo al tempo stesso coscienza di se

stesso. Il mondo naturale, in altri termini, deve essere modellato secondo l'esigenza morale dell'uomo, che in

questo modo umanizza se stesso, divenendo cosciente della propria dimensione spirituale.

• La moralità così intesa non prevede il conseguimento di una meta finale, ma consiste in un continuo

sforzo (Streben), in una continua tensione incessante verso l'infinito.

IL DIRITTO E LA POLITICA

• Nel mondo reale il singolo empirico (l’individuo) entra in rapporto con gli altri, che avverte come esseri

morali in quanto agiscono liberamente, a differenza delle cose che sono determinate. Il fine ideale è la

ricomposizione dell’umanità come unico Io.

• In un primo momento il rapporto tra gli uomini è caratterizzato dal diritto. Lo Stato sorge come patto tra i

cittadini per garantire i diritti di ognuno. Nell'opera del 1800, Lo Stato commerciale chiuso, il ruolo dello Stato

diviene però preminente; esso deve garantire ad ognuno la proprietà ed il lavoro, condizioni indispensabili

perché ogni uomo possa agire sulle cose ed attuare la propria personalità. Per controllare l’equa

distribuzione delle ricchezze secondo Fichte lo Stato deve essere “commercialmente chiuso” e deve

organizzare e dirigere l’economia.

• Nei Discorsi alla nazione tedesca (1807) Fichte pone l’accento sul concetto romantico di nazione come

unità ed espressione politica di un popolo: egli riconosce la tensione ad una sempre maggiore integrazione

tra i singoli, che hanno una stessa lingua, che si riconoscono in valori comuni, che tendono a costruire

un'unità. L'integrazione tra i diversi popoli, tra i quali Fichte assegna un ruolo di guida a quello tedesco,

condurrà tendenzialmente alla ricomposizione dell'intera umanità in un unico Io, riaffermando l'unità

originaria. È un compito inesauribile, ma rappresenta il modello ideale al quale ricondurre la storia

dell'umanità. Secondo Fichte la nazione tedesca ha il privilegio dell’originarietà, cioè della fedeltà alla propria

natura; su di questa si fonda la sua superiorità e quindi la missione di porsi alla guida dell’umanità, di cui è a

suo parere la più compiuta incarnazione (“avere carattere ed essere tedesco sono la stessa cosa”). Tali

affermazioni ebbero notevole influenza nel formarsi del nazionalismo tedesco.

Conclusioni

La "Dottrina della scienza o della cosiddetta filosofia" ebbe in ogni caso largo successo presso i romantici

perché in quell'opera ritrovavano molte delle loro aspirazioni: l'incessante tendere all'infinito; la riduzione del

non-Io a una produzione dell'Io e quindi il predominio del soggetto; la proclamazione della libertà come

significato ultimo dell'uomo e delle cose; l'assimilazione dell'agire umano al Divino (il primato del fare sul

conoscere). L'idealismo fichtiano è etico (o morale) non solo perché la legge morale e la libertà sono al

fondamento del suo sistema, ma anche perché sono l'elemento che spiega la scelta che ogni uomo singolo

fa delle cose e della stessa filosofia: sceglie l'idealismo chi è libero, sceglie il dogmatismo chi dà la

preminenza alle cose rispetto al soggetto e quindi non è spiritualmente libero.

2

Friedrich Wilhelm Joseph Schelling (Idealista orientato al naturalismo)

Schelling è un pensatore molto precoce, che raggiunge il massimo successo a soli 25 anni: nel 1800 circa,

ad appena 32 anni, comincia già ad essere eclissato dall'astro nascente di Hegel, che peraltro era più

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