Concetti Chiave
- L'articolo 3 della Costituzione italiana stabilisce l'eguaglianza, vietando discriminazioni basate su fattori specifici.
- Il principio di eguaglianza si applica a giudici, pubbliche amministrazioni e legislatori, influenzando sia l'efficacia che il contenuto delle leggi.
- Le discriminazioni basate sul sesso sono vietate; la legge deve trattare uomini e donne allo stesso modo, come confermato da diverse sentenze costituzionali.
- È vietata ogni forma di discriminazione basata sulla razza o origine etnica, incluse quelle indirette, sostenute da leggi come la legge Mancino e il d.lgs. 215/2003.
- Normative specifiche e sentenze costituzionali rafforzano la protezione contro discriminazioni basate su orientamento sessuale e identità di genere.
Articolo 3 della Costituzione italiana
Il primo comma dell’articolo 3 della Costituzione italiana sancisce il principio secondo cui l’uguaglianza non possa addurre o giustificare divieti di discriminazione. In particolare, esso individua direttamente talune fattispecie tipiche che non possono essere assunte a motivo di differenziazione: ciò vale non solo per coloro che sono chiamati ad applicare la legge (giudici e pubbliche amministrazioni), bensì anche e soprattutto per il legislatore.
Sotto questo profilo il principio di eguaglianza riguarda, oltre che l’efficacia, il contenuto della legge.
Fra i fattori che non possono in alcun caso giustificare la minima forma di discriminazione, i due più significativi sono:
- il sesso. La legge non può distinguere le persone in ragione del sesso: uomini e donne devono essere trattati in modo eguale. Si pensi alla sent. 173/1983 con la quale la Corte costituzionale dichiarò illegittimo il divieto di insegnare nelle scuole materne per gli uomini. Si pensi inoltre alla giurisprudenza costituzionale in materia di diritto di famiglia (prima della riforma del 1975), nei casi in cui l’ordinamento distingueva la posizione del marito da quella della moglie: ad es. la sent. 126/1968 con cui venne dichiarato illegittimo il reato di adulterio della moglie (mentre non era punito l’analogo comportamento del marito). Lo stesso divieto, insieme a quello connesso alle condizioni personali, vale anche contro discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere;
- la razza. È vietato introdurre e praticare discriminazioni, dirette e anche indirette (comportamenti neutri solo in apparenza), sulla base della razza o dell’origine etnica. Si vedano la l. 654/1975 di ratifica ed esecuzione della Convenzione internazionale sulla eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale del 1965, che impegnava gli stati a rendere punibili tali comportamenti; la l. 205/1993, legge Mancino, di conversione del d.l. 122/1993, che introdusse una nuova normativa antidiscriminatoria; e il d.lgs. 215/2003 di attuazione della direttiva 2000/43/Ce per la parità di trattamento fra le persone indipendentemente da razza e origine etnica, con precise forme di tutela;
Domande da interrogazione
- Qual è il principio fondamentale sancito dal primo comma dell'articolo 3 della Costituzione italiana?
- Quali sono alcuni esempi di discriminazione basata sul sesso che sono stati dichiarati illegittimi dalla Corte costituzionale?
- Quali leggi italiane sono state introdotte per combattere la discriminazione razziale?
Il primo comma dell'articolo 3 sancisce il principio di uguaglianza, affermando che non possono esserci divieti di discriminazione basati su fattori come sesso e razza, applicabile sia dai legislatori che da chi applica la legge.
Esempi includono la sentenza 173/1983 che dichiarò illegittimo il divieto per gli uomini di insegnare nelle scuole materne e la sentenza 126/1968 che dichiarò illegittimo il reato di adulterio della moglie, non punito per il marito.
Tra le leggi italiane ci sono la l. 654/1975 per l'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, la legge Mancino (l. 205/1993) e il d.lgs. 215/2003 per la parità di trattamento indipendentemente da razza e origine etnica.