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Indice

  1. La malinconia del viaggiatore
  2. Sehsucht
  3. Principi del canto
  4. La dolcezza

La malinconia del viaggiatore

L'inizio (1-6) rievoca la malinconia del primo tramonto dopo la partenza: allora soprattutto il navigante, come sperduto nell'immensità del mare, pensa con desiderio a quel che ha lasciato, s'intenerisce al ricordo; nel viaggiatore per terra, se ode una campana lontana, l'amore si fa puntura: la campana sembra piangere anch'essa la fine di qualcosa, sembra che il suo suono accompagni il lento scomparire della luce e quasi della vita.

L'amor di patria, così rovente nell'invettiva del canto VI, qui si è placato: il poeta non specifica verso chi vadano precisamente il desiderio e l'amore di chi si allontana; è proprio della nostalgia protendersi indefinitamente verso tutto ciò che è lontano passato; che sembra, o è, perduto.

Sehsucht

Il riconoscere la romanticità di questa Sehsucht non deve dissuadere dall'attribuirla a Dante: è uno stato d'animo comune a tutti gli uomini e a tutti i tempi, che i romantici non avranno bisogno d'inventare, anche se sarà uno degli aspetti fondamentali della loro sensibilità. In Dante invece esso è sporadico, ma non perciò si deve negarlo per considerazioni aprioristiche, quando, come qui, ci si palesa chiaramente. Si noti come le parole siano scelte dal poeta tra le più comuni, collocate nell'ordine naturale d'un piano discorso: che non pesino, che - appunto - non precisino; le più significative son poste in facile rima, sì che l'eco se ne diffonda da un verso all'altro: disio, core, addio, amore, lontano, more: cioè, nostalgia, lontananza e dunque senso di solitudine, affetto, senso della fine inesorabile, giorno dietro giorno.

Ad assommare in sé quanto di dolce s'è lasciato, le cose dilette più caramente, Dante menziona gli amici, "lo dì c'han detto ai dolci amici addio": amici aveva già rievocato nei primi canti del Purgatorio - Casella, Belacqua -, altri ne rievocherà nel seguito; subito, in questo stesso canto, Nino Visconti. Ma si noti anche come il dolore suo personale, per così profondamente presente, sia allargato e purificato nel dolore di tutti gli uomini, in questa vita che è un continuo dover lasciare quel che si ama.

Principi del canto

La rappresentazione della malinconia del viaggiatore è preceduta da quella dei principi, descritti nel canto VII nei loro vari atteggiamenti di dolore, e sarà seguita immediatamente da quella delle loro preghiere trepide (7-12): il dolore di Dante esule, che non spera più nella giustizia degli uomini, si riflette in quello sovra-umano di chi, smarrito, giunge al suo approdo in Dio: l'ultimo vero rifugio è questo; "D'altro non calma". Questa fiducia, in cui si placano gli stridori anche dei canti precedenti, domina l'intero canto, tutto percorso da ripetuti richiami alla volta celeste.

S'inizia con uno spettacolo di sole al tramonto, continua con l'anima orante che ficca gli occhi al cielo d'oriente (10-11); le altre anime hanno "li occhi a le superne note" (18), e poi, aspettando gli angeli, riguardano "in suè" (23). Il cielo è ancora una volta richiamato alla fantasia del lettore dal volo di questi angeli, che escono de l'alto (25), vengono del grembo di Maria (37); dopo l'incontro con Nino, gli occhi di Dante tornano al firmamento (85-93); l'alto è ancora menzionato nell'augurio di Corrado (112); e il canto finisce com'era cominciato, con una visione di cielo (133-135).

La dolcezza

L'immagine del tramonto e quella della preghiera sono due registri nei quali si sviluppa un unico tema. La dolcezza degli amici lasciati si continua nella dolcezza e devozione del canto delle anime, su cui il poeta insiste, non senza sapienza di accorgimenti stilistici; l'anima che intona la preghiera canta devotamente e con...dolci note; le altre la seguono cantando dolcemente e devote; a sua volta, la dolcezza di questo canto richiama irresistibilmente il lettore, anche per l'insistenza verbale, a quella del canto d'uno appunto dei dolci amici, Casella: "cominciò elli allor sì dolcemente, che la dolcezza ancor dentro mi suona".

Uguali sono gli effetti delle due dolcezze: quella della canzone di Casella fa sì che pareva che "a nessun toccasse altro la mente", questa del Te lucis ante cantato dalle anime "fece me a me uscir di mente". Nell'atra direzione (leggendo Dante non bisogna dimenticare mai la componente religiosa), quest'anima che intona l'inno sembra un sacerdote che presiede un rito, e l'inno stesso, che Dante ha cura di dirci essere stato canto intero, invoca Dio come custodia contro il nemico che verrà con la notte: cioè la sacra rappresentazione seguente, dell'intervento degli angeli, non sarà che la visualizzazione della preghiera esaudita.

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