Concetti Chiave
- Dante scrive "Il Convivio" come primo trattato dottrinale in volgare per diffondere conoscenza, pianificando inizialmente quindici libri ma completandone solo quattro.
- "De Vulgari Eloquentia" affronta l'importanza del volgare in letteratura, cercando di stabilire il volgare italiano più adatto, ma l'opera resta incompiuta.
- "De Monarchia" esplora il rapporto tra potere imperiale e papale, sostenendo che l'imperatore deve guidare gli uomini alla felicità terrena, mentre il papa alla felicità spirituale.
- Dante critica la Donazione di Costantino e l'accumulo di potere politico da parte dei papi, sostenendo che il papa dovrebbe limitarsi al dominio spirituale.
- La metafora dei due Soli di Dante rappresenta l'idea che il potere dell'imperatore e del papa siano entrambi divini e distinti, senza che uno prevalga sull'altro.
Indice
L'inizio del Convivio
Non si sa bene quando vennero scritti i tre trattati (trattati dottrinali), ma sicuramente prima di iniziare a scrivere la Divina Commedia, Dante iniziò a scrivere il Convivio. Il Convivio è il primo trattato e significa letteralmente "banchetto" perché Dante parla del banchetto della conoscenza. Egli afferma che tutti gli uomini desiderano conoscere e intende invitarli al banchetto della conoscenza, offrendo a loro il pane e il companatico. Il pane è costituito dalle canzoni che Dante aveva scritto prima del Convivio e il companatico è costituito dal commento delle canzoni.
Dante pensava di scrivere quindici libri per questo trattato: uno introduttivo e 14 di commento (14 canzoni precedentemente scritte). Anche il Convivio viene concepito come un prosimetro e ha la struttura di poesia e commento alle poesie, però non racconta una storia ma doveva essere una specie di enciclopedia. Alla fine scrive solo quattro libri (incluso il primo) perché nel frattempo inizia a scrivere la Divina Commedia. La Divina Commedia contiene tutto il sapere medievale, quindi è una specie di enciclopedia. Il lettore impara tante cose attraverso il racconto di una storia (attraverso una forma attraente). Dante, iniziando il Convivio, scrive il primo trattato dottrinale in volgare perché fino a quel momento tutte le opere che avevano lo scopo di diffondere conoscenza erano scritte in latino, quindi solo chi lo conosceva poteva comprendere. Dottrinale significa che contiene la dottrina, ossia le conoscenze.
Il De Vulgari Eloquentia
Il secondo trattato si chiama De Vulgari Eloquentia (=sulla lingua volgare) ed è un'opera in latino rivolta a un pubblico ristretto, ossia a dei lettori specialisti. Dante difende l’uso del volgare ma scrivendo in latino. Dante voleva scrivere quest’opera in quattro libri, ma alla fine ne scrive uno e mezzo, quindi rimane un’opera incompiuta. Dante vuole dimostrare che la lingua del sì, ossia il volgare usato in Italia, è pronta per affrontare opere complesse come quelle che erano state scritte in latino. Affronta un problema centrale nella letteratura italiana, ossia il fatto che si parlavano molti volgari diversi in ogni staterello italiano; Dante infatti vuole stabilire qual è il volgare adatto nella letteratura italiana, ossia per lui la lingua del sì.
La questione della lingua
Manzoni tratterà questo stesso problema prima di scrivere i Promessi Sposi, perché vuole usare una lingua comprensibile a tutti ma anche elegante e per questo sceglie il fiorentino parlato dalle persone colte. Manzoni si porrà questo problema dopo Dante. Dante parte dall’origine, ossia da Adamo ed Eva, e dice che Dio aveva dato a loro e agli uomini una lingua perfetta. Gli uomini cercano di costruire una torre che arriva fino al cielo e vengono puniti e la torre viene distrutta e gli uomini si disperdono e incominciano a parlare lingue diverse.
Le lingue del Mediterraneo
Dante passa poi alle lingue diffuse nel Mediterraneo e pensa che da tempi molto antichi nelle zone Mediterranee venissero parlate la lingua d’oc, d’oil e del sì ma è convinto che il latino non fosse mai stato parlato. Secondo lui, quest’ultima lingua perfetta era sempre stata usata per le opere di letteratura (ora il latino è chiamato lingua morta perché non è più parlato da nessuno, ma per Dante era un pregio). Dante pensa che una lingua che non si trasforma possa essere considerata perfetta (=latino).
Dante individua due tipi di volgari: su 14, afferma che ce ne sono 7 da una parte dell’Appennino e 7 dall’altra. Afferma anche che il volgare da usare in letteratura deve seguire 4 regole fondamentali:
Illustre: capace di donare il lustro, ossia il prestigio, a chi lo usa nelle opere letterarie.
Cardinale: fungere da cardine (volgare attorno a cui ruotano tutti gli altri volgari).
Aulico: regale/degno di una reggia se in Italia ci fosse una reggia (se l’Italia avesse un re, nella sua reggia dovrebbe essere parlato quel tipo di volgare).
Curiale: adatto alla curia, ossia la parte all’interno della reggia dove si decidono le leggi e si amministra il regno.
In Italia attualmente c’è una curia, nella monarchia del Vaticano (curia papale). Dante affronta anche la distinzione tra gli stili, in particolare tra quello tragico e quello comico. Lo stile tragico è quello usato nella lirica d’amore, già nella poesia dei siciliani (il lessico è molto selezionato). Dante parla della scuola siciliana, dei poeti della scuola siculo-toscanica e dello Stilnovismo. Quando avrebbe dovuto parlare dello stile comico, non lo fa e si ferma per scrivere la Divina Commedia, dove tratta e dà una vera e propria dimostrazione della poesia comico-realistica.
Il De Monarchia e il potere
Il terzo trattato di Dante è chiamato De Monarchia e vuole dire sul potere di uno solo. È un trattato che potrebbe essere definito politico ma in un modo in cui Dante intendeva la politica e venne completato. Era diviso in tre libri e affronta il problema dei rapporti tra imperatore e papa, ossia tra i due poteri universali del Medioevo. Non sappiamo quando venga scritto questo trattato ma un’ipotesi dice che venne scritto quando in Italia scende l’imperatore Arrigo VII (che scese in Italia nel 1309 per tentare di riportare l’Italia centro-settentrionale sotto il controllo dell’impero germanico, ma la sua impresa fallisce e muore nel 1313 senza aver portato a compimento quest’obiettivo).
Dante aveva sperato molto in Arrigo VII e credeva che sarebbe riuscito a riportare ordine, pace e giustizia in Italia. Dante è convinto che nella sua epoca ci siano molte guerre, disordini e ingiustizie. Dante attribuisce il disordine alla mancanza di una guida che tenga gli uomini uniti tra loro e sotto controllo. Dante ritiene che sia stato Dio stesso a volere che esistesse sulla Terra un potere come quello dell’imperatore e secondo lui fu Dio a volere che si creasse l’impero romano, in modo da tenere tutti gli uomini sotto una stessa unità e consentire la nascita del cristianesimo.
Secondo Dante l’impero fu voluto da Dio e per Dante non ci sono differenze tra l’Impero Romano, il Sacro Romano Impero e gli altri, ma bastava che fossero imperi. Secondo Dante l’imperatore non era scelto dai principi di Germania, ma come il papa viene scelto secondo la volontà di Dio. La volontà di Dio discende direttamente da Dio.
L'imperatore e la felicità
Per Dante l’imperatore (essendo al di sopra di tutti gli uomini) non è soggetto al peccato della cupidigia, ossia il desiderio smodato di ricchezze e di potere. Secondo Dante gli uomini si fanno la guerra tra loro e creano disordine perché desiderano denaro, ricchezze e potere, mentre l’imperatore che ne ha più di tutti non è soggetto alla cupidigia e può tenere gli uomini sotto controllo. L’imperatore deve guidare i cristiani alla felicità terrena e secondo Dante gli uomini sono stati creati per essere felici ma per essere felici bisogna poter realizzare le proprie attitudini e se stessi. In un mondo dominato dal caos, l’individuo non può raggiungere la felicità e realizzare se stesso, quindi l’imperatore ha il compito di far vivere gli uomini in pace per poter essere felici.
Il ruolo del papa
Secondo Dante l’ostacolo principale per l’imperatore era il fatto che i papi volessero esercitare il potere temporale, ossia un potere politico sugli uomini che secondo Dante poteva venir esercitato solo dall’imperatore. Crede che il papa dovrebbe esercitare solo il potere spirituale e dice anche che Dio ha deciso che due guide guidassero gli uomini: l’imperatore attraverso il potere temporale deve guidare gli uomini alla felicità terrena, mentre il papa attraverso il potere spirituale deve guidarli alla felicità ultraterrena, ossia al paradiso.
La critica alla donazione di Costantino
Il papa deve essere una guida spirituale che gli uomini devono poter seguire, e per questo il papa non dovrebbe desiderare le ricchezze perché sennò i cristiani non lo seguiranno. Il papa all’epoca era un politico che guidava eserciti e accumulava ricchezze. De Monarchia è una critica ai papi dell’epoca e per questo sarà vietata la lettura per molto tempo. Dante è molto critico nei confronti della donazione di Costantino: nel Medioevo era conosciuto un documento secondo cui Costantino (circa 300) aveva donato il territorio di Roma al papa, stabilendo che il papa potesse governare il territorio attorno a Roma.
Anni dopo, Lorenzo Valla, un filologo, dimostra che il documento era falso. Dante, come tutti gli altri, era però convinto che il documento fosse vero e infatti ammirava Costantino per essersi convertito al cristianesimo. Dante, quando incontra Costantino in Paradiso, lo rimprovera per aver fatto questa donazione perché dice che il papa non deve avere alcun potere politico.
La metafora dei due soli
A seconda del carisma di un imperatore, nel Medioevo, si discuteva se dovesse essere l’imperatore a influenzare la nomina del papa o se dovesse essere il papa a nominare l’imperatore; Dante dice invece che entrambi i poteri discendono da Dio. Dante usa la metafora dei due soli: nel Medioevo chi sosteneva che il potere dell’imperatore fosse superiore rispetto a quello del papa, affermava che l’imperatore fosse come il Sole e il papa come la Luna (perché il Sole brilla di luce propria, la Luna deve venir illuminata). Chi invece affermava il contrario, usava l’immagine del Sole e della Luna al contrario.
Dante afferma invece che sono due Soli perché entrambi illuminano la strada degli uomini in maniera diversa ma sono di tale importanza. L’imperatore non deve essere oscurato e rallentato dal papa e viceversa.
Domande da interrogazione
- Qual è il significato del "Convivio" di Dante e perché è importante?
- Qual è l'obiettivo del "De Vulgari Eloquentia" e perché è rimasto incompiuto?
- Come Dante affronta la questione della lingua nel Mediterraneo?
- Qual è la visione di Dante sul potere dell'imperatore nel "De Monarchia"?
- Cosa rappresenta la metafora dei due soli secondo Dante?
Il "Convivio" è il primo trattato dottrinale di Dante, concepito come un "banchetto della conoscenza" per invitare tutti gli uomini a conoscere. È importante perché rappresenta un tentativo di diffondere la conoscenza in volgare, rendendola accessibile a un pubblico più ampio rispetto alle opere scritte in latino.
L'obiettivo del "De Vulgari Eloquentia" è difendere l'uso del volgare per opere complesse, dimostrando che la lingua italiana è adatta alla letteratura. È rimasto incompiuto perché Dante ha scritto solo un libro e mezzo, interrompendosi per dedicarsi alla "Divina Commedia".
Dante analizza le lingue del Mediterraneo, sostenendo che il latino non fosse mai stato parlato come lingua comune, ma usato per la letteratura. Identifica due tipi di volgari in Italia e stabilisce quattro regole per il volgare letterario: illustre, cardinale, aulico e curiale.
Dante vede l'imperatore come una guida voluta da Dio per mantenere ordine e pace, essendo al di sopra delle cupidigie umane. Crede che l'imperatore debba guidare i cristiani alla felicità terrena, mentre il papa dovrebbe occuparsi della felicità ultraterrena.
La metafora dei due soli di Dante rappresenta l'idea che sia l'imperatore che il papa hanno poteri distinti ma ugualmente importanti, entrambi discendenti da Dio. Entrambi illuminano la strada degli uomini in modi diversi, senza che uno oscuri l'altro.