Concetti Chiave
- La correlazione tra i livelli di biomarcatori e la gravità della patologia non è sempre diretta, e varia a seconda del contesto clinico.
- Il significato dei risultati dei test dipende dalla probabilità pre-test, ovvero la probabilità che il paziente abbia una certa malattia prima di eseguire il test.
- Valori di biomarcatori inaspettati o inspiegabili possono verificarsi senza errori nei test, evidenziando la complessità della medicina.
- È essenziale richiedere esami appropriati basati su ipotesi diagnostiche concrete, anziché eseguire una serie di test casuali.
- Concludere rapidamente basandosi solo sui livelli dei biomarcatori può portare a diagnosi errate e pericolose per il paziente.
Effetti collaterali dei biomarcatori
Idealmente dovrebbe essere presente una corrispondenza tra la severità del danno nel paziente e l’entità di variazione del la concentrazione marcatore. Ossia, più alta è la concentrazione del biomarcatore dosato nel campione e più grave è la patologia. Naturalmente, a seconda della patologia, può valere anche l’opposto: minore è l’espressione del biomarcatore, maggiore la gravità della condizione, ad esempio, più basso è il valore di emoglobina e più risulta grave l’anemia. Purtroppo, nella pratica clinica non sempre risulta essere così ed è molto importante contestualizzare il caso che si prende in esame. Ad esempio, prendendo in esame il caso di un paziente presenta un valore borderline di troponina (appena al di sopra dell’intervallo decisionale), sarà fondamentale valutare se la sintomatologia sia comparsa un’ora dopo il presunto infarto oppure dopo un lasso di 36 ore. In quest’ultimo caso, infatti, essendo passato un certo lasso di tempo e considerando che la troponina risulta solo debolmente positiva, è verosimile che l’aumento del biomarcatore sia dovuto ad un’altra patologia.Relativamente a questo concetto, Thomas Bayes affermò che l’esito degli esami ha significato solamente in funzione della probabilità pre-test. Ciò significa che è necessario stabilire la probabilità che il paziente ha di essere affetto da una determinata patologia prima di eseguire il test. Ovviamente, per esempio, se si sottopone a dosaggio della troponina qualsiasi paziente che arriva al pronto soccorso, indipendentemente dalla sua condizione, la probabilità pre-test è quasi nulla (comunque non uguale a 0, perchè la probabilità è che ci siano casi di positività anche in pazienti che non sanno di essere affetti, si pensi di nuovo a Lance Armstrong). Di fronte a un paziente il cui reperto mostra valori sospetti, il clinico deve chiedersi se si tratti di un errore, un falso positivo oppure se i motivi sono davvero ignoti. Accade anche che vi siano casi in cui i valori sono inspiegabili, pur non trattandosi di errori: la medicina non è una scienza esatta.
Ad esempio, il professor Lippi fa riferimento ad un caso, affidato a lui e al professor Krampera, in cui il paziente presentava valori di acido lattico incompatibili con la vita.
Gli esami sono stati ripetuti quattro volte con lo stesso esito, e dopo quattro giorni i valori si sono normalizzati, senza che sia stato possibile comprendere il motive dell’alterazione.
Fondamentale è, quindi, l’appropriatezza degli esami richiesti. È necessario avere in mente un’ipotesi diagnostica piuttosto che fare riferimento a molteplici esami, per poi scovare il problema. Inoltre, va tenuto in mente che, malgrado sia auspicabile che la quantità di biomarcatore correli con la gravità del danno, nella pratica non è sempre così. È quindi erroneo ritenere che, se la troponina risulta molto alta, l’infarto sia sempre più grave, così come non è corretta l’assunzione che tanto più sia alto il biomarcatore tumorale, tanto più sia estesa la neoplasia. Può verificarsi infatti, che il tumore sia talmente indifferenziato da non produrre alcun marcatore, e una conclusione affrettata potrebbe avere conseguenze pericolose per il paziente. Altro esempio, in caso di anemia: se un paziente riporta 80 g/L di emoglobina e il giorno precedente 85 g/L, è presente un’anemia cronica stabile. Se, invece, il valore del giorno prima corrisponde a 140 g/L e quello attuale a 80 g/L, ci si trova in uno stato di shock emorragico e conseguentemente se non viene trovata la perdita ematica è molto probabile che il paziente rischi di morire.
Domande da interrogazione
- Qual è la relazione ideale tra la concentrazione di un biomarcatore e la gravità della patologia?
- Perché è importante considerare la probabilità pre-test prima di eseguire un esame?
- Cosa suggerisce il caso del paziente con valori di acido lattico incompatibili con la vita?
- Qual è l'importanza dell'appropriatezza degli esami richiesti?
- Perché non è sempre corretto correlare l'altezza del biomarcatore con la gravità della condizione?
Idealmente, dovrebbe esserci una corrispondenza diretta tra la severità del danno e la concentrazione del biomarcatore, ma nella pratica clinica non è sempre così.
La probabilità pre-test è fondamentale per interpretare correttamente i risultati degli esami, poiché un test eseguito senza considerare questa probabilità può portare a risultati fuorvianti.
Questo caso dimostra che, nonostante ripetuti esami, i risultati possono essere inspiegabili e che la medicina non è una scienza esatta.
È cruciale avere un'ipotesi diagnostica chiara per evitare di eseguire esami multipli senza una direzione precisa, il che può portare a diagnosi errate.
Perché ci sono casi in cui un biomarcatore può non riflettere accuratamente la gravità della condizione, come nei tumori indifferenziati o in situazioni di anemia cronica stabile.