Concetti Chiave
- Le mutazioni genetiche possono alterare la sequenza di nucleotidi nel DNA, portando a proteine alterate e potenzialmente a malattie genetiche, come l'anemia falciforme.
- Le mutazioni possono essere ereditarie, mantenendo le loro caratteristiche attraverso le generazioni, e si manifestano in modo stabile senza attenuarsi nei sintomi.
- Le mutazioni strutturali possono includere delezioni, duplicazioni o sostituzioni di nucleotidi, ognuna con effetti diversi sulla proteina risultante.
- Le mutazioni possono essere spontanee o indotte da mutageni chimici o fisici, e possono essere somatiche o germinali a seconda delle cellule coinvolte.
- La dominanza o recessività di una mutazione dipende dalla sua influenza sulla funzione proteica, influenzando il fenotipo osservabile dell'individuo.
Abbiamo visto nel precedente capitolo come dal DNA si passi all’RNA e poi alle proteine.
Tutto ciò è detto dogma centrale.
Ci si chiede però: cosa accade se un nucleotide muta la sua natura, per esempio un nucleotide della tripletta che codifica l’acido glutammico nella beta-globulina?
In questo specifico esempio, se al posto della tripletta GAA si verificasse GTA si produrrebbe valina anziché acido glutammico, causando così anemia falciforme.
Se la proteina non sintetizzata è un enzima, si hanno dunque le malattie genetiche.
Si è notato che:
1) un gene che presenta mutazioni, le presenta in modo stabile, passando spesso di generazione in generazione;
2) se si presentano nelle generazioni successive, i sintomi non sono affievoliti. E’ proprio come nel caso di un fiore rosso che viene incrociato con un fiore bianco: il risultato non è un fiore rosa, ma un fiore rosso o bianco di nuovo;
3) le forme mutate di geni diversi vengono ereditate separatamente;
4) sebbene mutato, il gene farà in modo che la proteina sintetizzata venga prodotta nella giusta quantità.
Un gene può essere mutato strutturalmente o funzionalmente. Per il momento ci concentriamo sulla prima tipologia.
Quando un gene è mutato strutturalmente, tale mutazione può interessare un nucleotide o più nucleoidi o l’intero gene. In questo caso si tratta di una delezione.
La proteina che ne risulta è alterata o mutata del tutto.
A volte accade anche che una porzione di gene si possa presentare due volte, e allora si parla di duplicazione. Se la porzione contiene un numero di nucleotidi multiplo di 3 va tutto bene, perché la proteina elimina tale amminoacido in più.
Non tutti i difetti hanno lo stesso peso. Diversi sono i risultati a seconda che avvenga delezione, duplicazione o sostituzione di un nucleotide.
Supponiamo avvenga in un gene la delezione di sette nucleotidi. In questo caso mancano due amminoacidi e un nucleotide. La proteina che viene fuori ne risulta completamente sconvolta.
Se avviene la duplicazione di un nucleotide, invece, l’effetto è nullo.
Se avviene invece la sostituzione di un nucleotide c’è una “mutazione di senso”. Alcune di queste mutazioni impediscono addirittura la nascita dell’individuo, altre ne provocano anche la morte.
Accanto a queste mutazioni, ce ne sono poi altre totalmente innocue. Molte mutazioni – senza effetto - permettono infatti di distinguere gli individui. Senza mutazioni – sembrerà strano - saremmo forse identici.
Ci sono poi mutazioni che compromettono due geni: in questo caso una mutazione portata da un gene non ha effetto finchè il gene con il quale questo coopera non muta a sua volta.
Esistono poi mutazioni di terminazione, cioè avviene che una tripletta normale sia trasformata in una tripletta di terminazione. Questa mutazione è deleteria perché porta ad una proteina amputata.
Ci si può chiedere quale sia l'origine delle mutazioni.
Essa è spontanea, senza apparente motivo.
Il meccanismo di replicazione del DNA può commettere errori, ma la loro frequenza è bassissima. Se la mutazione avviene nel DNA di cellule somatiche, la mutazione si dice somatica ed i discendenti non ne risentiranno. In caso contrario la mutazione è presente nei gameti e si dice germinale.
Gli agenti chimici o fisici che aumentano il tasso di mutazione sono detti mutageni, e le mutazioni che si verificano in loro presenza si dicono mutazioni indotte.
Come per le caratteristiche fisiche, anche le mutazioni possono essere dominanti o recessive.
Dicevamo precedentemente che un gene può essere alterato strutturalmente o funzionalmente.
In questo secondo caso possiamo avere assenza di qualunque effetto, riduzione di una funzione o creazione di una nuova funzione.
Nella maggior parte dei casi una mutazione funzionale comporta che una proteina venga prodotta in quantità inferiore rispetto al normale, non essendo così capace di svolgere a pieno le proprie funzioni. Altre volte può invece accade il contrario: una proteina può essere prodotta in quantità eccessive, aumentando la funzione corrispondente.
Ora, i cromosomi si presentano in coppie. Se la mutazione di verifica in uno dei due, l’effetto può non presentarsi. Una mutazione presente solo in una delle due coppie di cromosomi, ma il cui effetto si presenta ugualmente è detta dominante. Altrimenti recessiva.
Sono recessive le mutazioni che riducono la quantità o funzionalità di un enzima, mentre sono dominanti quelle che esagerano tale funzione.
Tutto questo riporta al concetto di eterozigote e omozigote, fenotipo e genotipo.
Un individuo si dice omozigote rispetto ad un gene quando presenta due coppie identiche di un gene. Si dice invece eterozigote rispetto ad un gene quando possiede due coppie differenti di quel gene.
Il carattere che si presenta nell’eterozigote è detto dominante, mentre quello che si presenta solo nell’omozigote è detto recessivo.
Vedendo una persona non possiamo sapere se essa è omozigote o eterozigote ad una caratteristica. Per saperlo dobbiamo analizzare il suo patrimonio genetico.
Il fenotipo comprende dunque le caratteristiche biologiche palesi di un individuo, mentre il genotipo riguarda la sua costituzione genetica.
Nelle malattie genetiche chi ha un genotipo proveniente dai due genitori di tipo normale/normale ha anche un fenotipo normale.
Chi ha un genotipo normale/mutato presenta un fenotipo normale (a meno che la mutazione non sia dominante). Chi ha un genotipo mutato/mutato presenta anche un fenotipo mutato.
L’albinismo, per esempio, è un difetto ereditario recessivo dovuto alla mutazione genetica del gene che caratterizza l’enzima tirosinasi.
Gli albini dunque – per essere tali - devono possedere un genotipo omozigote all’albinismo. Questo avviene se entrambi i genitori sono eterozigoti alla malattia ed entrambi hanno quindi un fenotipo normale.
Il 25% della prole sarà quindi omozigote albina e un altro 25% omozigote normale.
Domande da interrogazione
- Qual è il dogma centrale descritto nel capitolo?
- Cosa accade se un nucleotide muta nella beta-globulina?
- Quali sono le conseguenze delle mutazioni strutturali nei geni?
- Come si distinguono le mutazioni dominanti dalle recessive?
- Come si eredita l'albinismo secondo il testo?
Il dogma centrale descrive il processo dal DNA all'RNA e poi alle proteine.
Se un nucleotide muta, ad esempio da GAA a GTA, si produce valina anziché acido glutammico, causando anemia falciforme.
Le mutazioni strutturali possono portare a delezioni, duplicazioni o sostituzioni di nucleotidi, alterando la proteina risultante.
Le mutazioni dominanti si manifestano anche se presenti in una sola copia del gene, mentre le recessive richiedono due copie per manifestarsi.
L'albinismo è un difetto ereditario recessivo che richiede un genotipo omozigote, possibile se entrambi i genitori sono eterozigoti.