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L'origine della vita
Ancora oggi non si sa con certezza quando sono comparse le prime forme di vita sulla Terra, tuttavia è probabile che esse si siano originate spontaneamente dalle sostanze chimiche che si trovavano negli oceani primitivi.
La prima teoria sull’origine della vita venne elaborate dal biochimico Oparin, che sosteneva che essa fu determinata da due elementi importanti:
- ossigeno libero quasi assente nell’atmosfera e presenza di idrogeno;
- idrogeno, ossigeno, carbonio e azoto già presenti nell’acqua.
Era inoltre presente una grande quantità di energia che si manifestava sottoforma di calore, cariche elettriche, radiazioni provenienti dal sole, che permisero la formazione (secondo Oparin) di molecole complesse che si sarebbero poi combinate dando origine a piccoli sistemi primitivi detti coacervati, il punto di partenza degli esseri viventi.
È difficile, tuttavia, ipotizzare in che modo dai sistemi primitivi di Oparin si siano potuti evolvere i primi aggregati cellulari.
Oggi sappiamo che i fossili più antichi di cellule risalgono a 3,5 miliardi di anni fa e che non ci sono state interruzioni evolutive tra queste prime, semplici cellule e quelle attuali e gli organismi da esse costituiti.
Oggi è noto che sulla terra esistono cellule eucariote, che si distinguono dalle procariote per la presenza di una membrana nucleare e degli organuli.
Si sa anche che i primi organismi a comparire sulla terra erano organismi unicellulari, batteri che si svilupparono nelle acque. Essi vengono classificati in: batteri autotrofi, che producono da sé l’energia necessaria, batteri eterotrofi, che necessitano di molecole organiche per ricavare energia, batteri aerobi obbligati, cioè eterotrofi che necessitano di ossigeno per respirare, batteri aerobi facoltativi, che possono vivere con o senza ossigeno, batteri anaerobi obbligati, per cui l’ossigeno è un veleno mortale.
Alcuni scienziati ipotizzano che le prime cellule fossero eterotrofe e si sarebbero nutrite delle molecole biologiche presenti nel “brodo primordiale”. Esaurite queste molecole, comparvero delle cellule capaci di sintetizzare autonomamente molecole biologiche partendo da semplici sostanze chimiche.
GLI ESSERI VIVENTI E L’EVOLUZIONE
L’ORIGINE DELLA VITA
Ancora oggi non si sa con certezza quando sono comparse le prime forme di
vita sulla Terra, tuttavia è probabile che esse si siano originate spontaneamente
dalle sostanze chimiche che si trovavano negli oceani primitivi.
La prima teoria sull’origine della vita venne elaborate dal biochimico Oparin,
che sosteneva che essa fu determinata da due elementi importanti:
- ossigeno libero quasi assente nell’atmosfera e presenza di idrogeno;
- idrogeno, ossigeno, carbonio e azoto già presenti nell’acqua.
Era inoltre presente una grande quantità di energia che si manifestava
sottoforma di calore, cariche elettriche, radiazioni provenienti dal sole, che
permisero la formazione (secondo Oparin) di molecole complesse che si sarebbero
poi combinate dando origine a piccoli sistemi primitivi detti COACERVATI, il punto di
partenza degli esseri viventi.
È difficile, tuttavia, ipotizzare in che modo dai sistemi primitivi di Oparin si
siano potuti evolvere i primi aggregati cellulari.
Oggi sappiamo che i fossili più antichi di cellule risalgono a 3,5 miliardi di anni
fa e che non ci sono state interruzioni evolutive tra queste prime, semplici cellule e
quelle attuali e gli organismi da esse costituiti.
Oggi è noto che sulla terra esistono cellule eucariote, che si distinguono dalle
procariote per la presenza di una membrana nucleare e degli organuli.
Si sa anche che i primi organismi a comparire sulla terra erano organismi
unicellulari, batteri che si svilupparono nelle acque. Essi vengono classificati in:
batteri AUTOTROFI, che producono da sé l’energia necessaria, batteri ETEROTROFI,
che necessitano di molecole organiche per ricavare energia, batteri AEROBI
OBBLIGATI, cioè eterotrofi che necessitano di ossigeno per respirare, batteri AEROBI
FACOLTATIVI, che possono vivere con o senza ossigeno, batteri ANAEROBI
OBBLIGATI, per cui l’ossigeno è un veleno mortale.
Alcuni scienziati ipotizzano che le prime cellule fossero eterotrofe e si
sarebbero nutrite delle molecole biologiche presenti nel “brodo primordiale”.
Esaurite queste molecole, comparvero delle cellule capaci di sintetizzare
autonomamente molecole biologiche partendo da semplici sostanze chimiche.
DALLE CELLULE AGLI ORGANISMI 1
La comparsa della pluricellularità risale a 750 milioni di anni fa. Tra
unicellularità e pluricellularità si ha una forma intermedia, la colonia, in cui le cellule
che la compongono sono autonome. Negli organismi pluricellulari, invece, ogni
cellula compie una funzione specifica.
Gli organismi ritenuti gli antenati di quelli odierni sono comparsi 543 milioni di
anni fa, con la cosiddetta “esplosione cambriana”.
Gli organismi a corpo molle e dotati di conchiglia comparvero durante il primo
periodo dell’età paleozoica. In seguito si svilupparono le prime piante terrestri e i
primi vertebrati. Avvenne così la colonizzazione delle terre emerse da parte degli
anfibi. Ciò che comportò la fine dell’era paleozoica è ancora sconosciuto agli
scienziati, ma si pensa sia stata una glaciazione o un’esplosione vulcanica in
Siberia , o la caduta di un meteorite. Con la fine di quest’era si ha anche la
scomparsa del 90% delle specie allora viventi, soprattutto di quelle marine.
L’età mesozoica è l’era dei dinosauri (245 -> 65 milioni di anni fa).
In questo periodo vi era un clima caldo e secco; le terre emerse erano popolate
da conifere e rettili. A causa di un forte abbassamento della temperatura globale, si
determinò la scomparsa dei dinosauri.
Il cenozoico è l’ultima era. È il periodo di diffusione delle angiosperme, cioè le
piante provviste di fiori, che diventeranno le piante dominanti. Per quanto riguarda
la fauna, in quel periodo comparirono i pesci, gli uccelli e gli insetti e una notevole
diversificazione della classe dei mammiferi.
La presenza di una così vasta varietà di viventi può essere spiegata con la
teoria evoluiva. Alcuni scienziati ipotizzarono che col passare del tempo fossero
comparsi sulla terra nuovi organismi, frutto della degenerazione delle creature
perfette. Altri ipotizzarono la scomparsa di alcune specie per cause naturali. Un
importante contributo fu dato dal francese Lamark, che ipotizzò che tutte le specie
discendessero da altre specie. Lamark era particolarmente interessato agli
organismi unicellulari e agli invertebrati. Egli, studiando queste forme di vita,
considerò tutti gli organismi viventi discendenti da organismi meno complessi, e di
classificarli dunque in ordine crescente in termini di complessità. Secondo la sua
ipotesi, la progressione da una specie più semplice a una più complessa è regolata
da 2 principi importanti:
1) Gli organi degli animali diventano più o meno sviluppati in seguito all’uso
o al disuso che l’animale ne fa;
2) I cambiamenti che avvengono possono essere trasmessi dai genitori ai
figli. Tuttavia il principio dell’ereditarietà dei caratteri acquisiti era già condiviso
dalla maggior parte della gente, anche se in seguitò si dimostrò scientificamente
falso. 2
La teoria di Lamark fu infatti smentita successivamente da Charles Darwin. Nel
1831 Darwin si imbarcò sul brigantino della marina militare inglese, in rotta verso il
Sud America.
Durante il viaggio, quando il brigantino si fermava per il rifornimento di acqua e
provviste, Darwin ne approfittava per esplorare le regioni interne, dove trovava
numerosi fossili e collezionava nuovi esemplari di tipi di animali e piante. In
particolare osservò gli animali e le piante che popolavano le isole Galapagos.
Queste isole prendono il nome dalla presenza delle numerose testuggini
(galapagos in spagnolo). Nonostante queste isole fossero relativamente vicine tra
loro, ognuna di esse aveva il suo tipo di testuggine.
Inoltre Darwin si accorse anche delle differenze tra i fringuelli che vivevano
nelle isole, distinti in 14 specie diverse. Essi differivano sia per la grandezza, forma
del corpo e del becco, sia per il cibo di cui si nutrivano.
Darwin notò che le piante e gli animali delle Galapagos erano differenti da
quelli della terraferma e gli organismi di ogni isola differivano da quelli delle altre
isole dello stesso arcipelago.
Darwin cominciò a ipotizzare che le diverse specie si fossero originate da
un’esigua varietà iniziale di organismi proveniente dal continente.
Darwin, tornato in Inghilterra, influenzato da Malthus, che riteneva che cibo e
altri fattori limitano lo sviluppo delle popolazioni , cominciò a parlare di selezione
naturale: quando individui con certe caratteristiche ereditarie sopravvivono e si
riproducono, mentre con altri caratteri ereditari diversi sono eliminati, la popolazione
lentamente si modifica il principale fattore su cui si basano i concetti evolutivi è la
variabilità di individui della stessa specie. Secondo Darwin questa variabilità è
3
dovuta al caso, ma può essere più o meno utile per la sopravvivenza di un
organismo. È quindi l’azione della selezione naturale a guidare il processo evolutivo.
L’ipotesi di Darwin rimane il punto di partenza per tutti gli scienziati che si
occupano di evoluzione.
Tale ipotesi si basava su 5 premesse:
1) Gli organismi generano organismi simili a loro stessi;
2) Il numero di individui che sopravvivono è minore del numero di
organismi nati;
3) In ogni popolazione ci sono delle differenze tra i singoli organismi che
non sono dovute all’ambiente e alcune sono ereditabili;
4) La sopravvivenza degli individui è determinata dalle interazioni tra le
differenze tra gli organismi e l’ambiente (selezione naturale);
5) Dopo un periodo di tempo lungo, la selezione naturale porta ad un
accumulo di cambiamenti che differenzia i tipi di organismi.
Un esempio famoso che serve per distinguere la teoria di Lamark da quella di
Darwin è l’esempio della giraffa.
Secondo l’ipotesi evolutiva di Lamark, i progenitori delle attuali giraffe erano
erbivori con il collo di lunghezza normale. Stimolate dal desiderio di raggiungere le
foglie degli alberi, quelle primitive giraffe avrebbero allungato il collo e le zampe,
sempre di più, generazione dopo generazione, raggiungendo così le dimensioni che
conosciamo. Le variazioni di dimensioni, secondo questa ipotesi, sarebbero state
dunque determinate da una sorta di “volontà” dell’animale di reagire agli stimoli
dell’ambiente e si sarebbero potute trasmettere ai discendenti.
Secondo l’ipotesi di Darwin, in una primitiva popolazione di giraffe sarebbero
esistiti individui con il collo e le zampe di diverse lunghezze. Avendo maggiori
possibilità di trovare cibo sugli alberi, gli individui a collo lungo sarebbero stati
avvantaggiati rispetto a collo corto quando, per una variazione ambientale, fosse
venuto a scarseggiare il cibo sul terreno. Si sarebbe così gradatamente formata una
popolazione avente in percentuale sempre più elevata i caratteri genetici delle
giraffe superstiti, a collo e zampe più lunghi. 4
L’evoluzione è un processo lento, al punto di non poter essere osservato in
modo diretto. Tuttavia, in alcuni casi, è possibile osservare i cambiamenti evolutivi
durante il loro svolgimento. Infatti, talvolta gli effetti dell’attività umana hanno
prodoto delle pressioni selettive su alcuni organismi, tali da permettere non solo
l’osservazione dei risultati, ma il processo di selezione naturale stesso.
Questi processi evolutivi sono noti come MICROEVOLUZIONE. Alcuni
cambiamenti evolutivi possono essere prodotti mediante la selezione artificiale.
Selezionando esemplari con particolari caratteristiche, è possibile infatti produrre
numerose razze differenti.
Un esempio di processo evolutivo osservato direttamente è quello delle farfalle
delle betulle. Biston Betularia
Della farfalla esistono due varietà, una con le ali quasi nere e
una con le ali molto più chiare.
L’abitudine di posarsi sui tronchi bianchi delle betulle crea le seguenti
situazioni:
-le farfalle bianche sono meglio mimetizzate e vengono predate meno
facilmente dagli uccelli;
-le farfalle nere sono notate più facilmente e divorate.
In un territorio dove le betulle hanno conservato il loro colore bianco, le farfalle
bianche sono più numerose. Nelle zone industriali, invece, dove i tronchi degli alberi
sono diventati neri per l’inquinamento, sono meglio mimetizzate le farfalle scure.
Perciò in questo caso aumenterà il numero delle farfalle scure e diminuirà quello
della varietà bianca. 5
Questo è un ottimo esempio di come l’ambiente possa modificare le
caratteristiche di una popolazione.
Vi sono numerose prove riguardanti le teorie evolutive, per esempio la
biogeografia, cioè lo studio della distribuzione di piante e animali nelle diverse
regioni del mondo, e l’esistenza in animali diversi di strutture omologhe, cioè di
strutture presenti in un loro antenato comune. Esistono, tuttavia, anche delle
strutture analoghe, ossia strutture che si sono sviluppate per svolgere la stessa
funzione, ma derivano da strutture diverse.
LA CLASSIFICAZIONE DEI VIVENTI 6
I viventi vengono divisi in base alle loro caratteristiche.
Con il termine SPECIE si indicano i vari tipi di organismi. Una specie è costituita
da quegli organismi molto simili tra loro, che possono incrociarsi dando origine a
prole fertile, ma non si possono incrociare con individui di altri gruppi analoghi. Un
gruppo di specie strettamente affini costituisce un genere. Il sistema di
nomenclatura utilizzato per
attribuire un nome a un individuo fu inventato da Carlo Linneo ed è costituito
dal nome del genere a cui appartiene l’individuo, seguito da una parola qualificante.
La classificazione dei viventi è fondata su un sistema gerarchico cioè formato
da gruppi all’interno di altri gruppi, ciascuno dei quali occupa una certa posizione; in
tale sistema gerarchico un particolare gruppo è detto “unità tassonomica” e il
campo delle scienze che si occupa di classificare i viventi e detto “tassonomia”.
Nel sistema gerarchico della classificazione biologica le SPECIE tra loro
correlate vengono raggruppate in GENERI; i generi sono raggruppati in FAMIGLIE; le