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Cicerone - De Republica, VI, 19 - 25 Pag. 1
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Sintesi
Cicerone, Marco Tullio
De Republica - Liber VI
Somnius Scipionis

19. Haec ego admirans, referebam tamen oculos ad terram identidem. Tum Africanus: «Sentio» inquit «te sedem etiam nunc hominum ac domum contemplari; quae si tibi parva, ut est, ita videtur, haec celestia semper spectato, illa humana contemnito. Tu enim quam celebritatem sermonis hominum aut quam expetendam consequi gloriam potes? Vides habitari in terra raris et angustis in locis, et in ipsis quasi in maculis, ubi habitatur, vastas solitudines interiectas, eosque qui incolunt terram non modo interruptus ita esse ut nihil inter ipsos ab aliis ad alios manare possit, sed partim obliquos, partim transversos, partim etiam adversos stare vobis: a quibus exspectare gloriam certe nullam potestis».

19. Benché io guardassi ammirato tutto ciò, tuttavia continuamente riportavo gli occhi a terra. Allora l’Africano disse: “Mi accorgo che continui a guardare la casa degli uomini; ma se essa ti appare così piccola, come in effetti è, tieni lo sguardo sempre fisso a queste realtà celesti e disprezza quelle umane. Infatti quale celebrità potresti conseguire nei discorsi degli uomini o quale gloria desiderabile? Tu vedi che sulla Terra si abita in luoghi sperduti e angusti e che in quelle stesse specie di macchie in cui si abita, sono inseriti vasti tratti di deserto, e che coloro che abitano la Terra non solo sono così separati che tra di loro nulla può passare dagli uni agli altri, ma anche in parte stanno in posizioni opposte rispetto agli emisferi, in parte in posizioni opposte rispetto all’equatore, in parte agli antipodi rispetto a voi: e da essi certamente non potete attendervi nessuna fama”.

[newpage]21. «Quin etiam si cupiat proles illa futurorum hominum deinceps laudes unius cuiuisque nostrum a patribus acceptus posteris prodere, tamen propter eluviones exustionesque terrarum, quas accidere tempore certo nocesse est, non modo non aeternam, sed ne diuturnam quidam gloriam adsequi possumus. Quid autem interest ab iis qui postea nascerentur sermonem fore de te, cum ab iis nullus fuerit qui ante te nati sunt (qui nec pauciores et certe meliores fuerunt viri)?»

21. “E anzi, se quella discendenza che verrà degli uomini futuri volesse tramandare ai posteri le lodi di ciascuno di noi tramandate dai padri, tuttavia a causa di alluvioni e incendi della terra – che è inevitabile che avvengano entro un termine stabilito – non possiamo perseguire alcuna gloria non solo non eterna ma neppure di lunga durata. D’altra parte, che cosa importa che i posteri parlino di te dal momento che non hanno parlato di te quelli che nacquero prima di te (e che furono non meno numerosi e furono uomini certamente migliori)?”

[newpage]23. «Quocirca si reditum in hunc locum desperaveris, in quo omnia sunt magnis et praestantibus viris, quanti tandem est ista hominum gloria, quae pertinere vix ad unius anni partem exiguam potest? Igitur alte spectare si voles atque hanc sedem et aeternam domum contueri, neque te sermonibus vulgi dedideris, nec in praemiis humanis spem posueris rerum tuarum: suis te oportet incelebris ipsa virtus trahat ad verum decus. Quid de te alii loquantur, ipsi videant. Sed loquerentur tamen; sermo autem omnis ille et angustiis cingitur his regionum quas vides, nec umquam de ullo perennis fuit et obruitur hominum interitu et oblivione posteritatis exstinguitur».

23. “Perciò, se perderai le speranze nel ritorno in questo luogo in cui gli uomini grandi ed eccellenti hanno ogni bene, quanto vale alla fine questa gloria umana che a stento può raggiungere una piccola parte di un singolo anno [cosmico]? Perciò se vorrai guardare in alto e contemplare questa sede e dimora eterna, non affidarti alle chiacchiere della gente, e non porre la speranza delle tue imprese nei premi terreni: piuttosto occorre che la virtù stessa ti trascini alla vera gloria con le sue attrattive. Che cosa dicano gli altri di te, lo vedano loro. E tuttavia parleranno di te; ma tutti quei grandi discorsi sono chiusi nella cerchia ristretta di quelle regioni che vedi e mai saranno eterni e mai furono eterni riguardo a nessuno, e svaniscono con la morte degli uomini e si spengono con l’oblio dei posteri”.

[newpage]24. «Cum pateat igitur aeternum id esse, quod a se ipso moveatur, quis est, qui hanc naturam animis esse tributam neget? Inanimum est enim omne, quod pulsu agitatur externo; quod autem est animal, id motu cietur interiore et suo; nam haec est propria natura animi atque vis; quae si est una ex omnibus, quae sese moveat, neque nata certe est et aeterna est. Hanc tu exerce optimis in rebus! Sunt autem optimae curae de salute patriae, quibus agitatus et exercitatus animus velocius in hanc sedem et domum suam pervolabit; idque ocius faciet, si iam tum, cum erit inclusus in corpore, eminebit foras et ea, quae extra erunt, contemplans quam maxime se a corpore abstrahet. Namque eorum animi, qui se corporis voluptatibus dediderunt earumque se quasi ministros praebuerunt impulsuque libidinum voluptatibus oboedientium deorum et hominum iura violaverunt, corporibus elapsi circum terram ipsam volutantur nec hunc in locum nisi multis exagitati saeculis revertuntur». Ille discessit; ego somno solutus sum.

24.“Dal momento che, dunque, è evidente che è eterno ciò che si muove da sé, chi c’è che potrebbe negare che questa qualità sia stata assegnata all’anima? Infatti è senza anima tutto ciò che è mosso da un impulso esterno; ciò che invece è animato, si muove per impulso interno e proprio; questa è infatti la proprietà naturale dell’animo; e se essa è l’unica tra tutti gli esseri che si muove da sé, senza dubbio non è mai nata ed è eterna. Questa tu devi esercitare nelle attività più nobili. D’altra parte, le più nobili sono le attività in favore della salvezza della patria, e l’anima – spinta e tenuta in esercizio da queste preoccupazioni – potrà più velocemente volare a questa sua sede e dimora. E farà ciò più prontamente se riuscirà a sollevare lo sguardo su ciò che sta al di fuori del mondo nel momento in cui sarà già rinchiuso nel corpo e, contemplando ciò che sarà al di fuori, riuscirà ad astrarsi il più possibile lontano dal corpo. Infatti l’anima di coloro che si sono arresi alle passioni e si sono offerti per così dire come servi di quelle e hanno violato le leggi degli dèi e degli uomini per impulso dei piaceri che obbediscono alle passioni, una volta scivolata via dal corpo, è trascinata in cielo intorno alla terra e non ritorna
in questo luogo se non dopo essere stata tormentata per molti secoli”. Egli si allontanò: io mi svegliai dal sonno.

[newpage]25. «Nam quod semper movetur, aeternum est; quod autem motum adfert alici quodque ipsum agitatur aliunde, quando finem habet motus, vivendi finem habeat necesse est. Solum igitur quod sese movet, quia numquam deseritur a se, numquam ne moveri quidam desinit; quin etiam ceteris, quae moventur, hic fons, hoc principium est movendi. Principio autem nulla est origo. Nam ex principio oriuntur omnia, ipsum autem nulla ex re alia nasci potest; nec enim esset id principium, quod gigneretur aliunde; quodsi numquam oritur, ne occidit quidam umquam. Nam principium exstinctum nec ipsum ab alio renascetur, nec ex aliud creabit, siquidem necesse est a principio oriri omnia. Ita fit ut motus principium ex eo sit quod ipsum a se movetur; id autem nec nasci potest nec mori; vel concidat omne caelum omnisque natura consistat necesse est, nec vim ullam nanciscatur qua a primo impulsa moveatur».

25. “Ed infatti, ciò che si muove sempre, è eterno; invece, ciò che porta movimento a qualcosa e che è messo in moto dall’esterno, nel momento in cui (ciò) conosce la fine del moto, è inevitabile che veda anche la fine della vita. Dunque solo ciò che muove sé stesso, poiché non viene mai a mancare da sé stesso, mai neppure cessa di muoversi; ed anzi questa è la fonte, questo è il principio del movimento anche per le altre cose che si muovono. D’altra parte il principio non ha alcuna origine. Infatti dal principio nascono tutte le cose, mentre egli stesso non può nascere da nessuna altra cosa; e infatti non sarebbe principio ciò che fosse generato da altro; e se questo non nasce mai, neppure muore mai. Infatti, il principio, una volta estinto, né potrà mai rinascere da altro, né potrà creare da sé altro, se è vero che necessariamente tutte le cose nascono da un principio. Così avviene che il principio del movimento derivi da ciò che si muove da sé, né d’altra parte ciò può avere origine o morire; altrimenti è inevitabile che tutto l’universo crolli e che tutta la natura si fermi e non trovi alcuna forza grazie alla quale, di nuovo spinta, si muova”.
Estratto del documento

19 – Che cos’è la gloria terrena?

Haec ego admirans, referebam tamen oculos ad terram identidem. Tum Africanus: «Sentio» inquit «te sedem etiam

nunc hominum ac domum contemplari; quae si tibi parva, ut est, ita videtur, haec celestia semper spectato, illa

humana contemnito. Tu enim quam celebritatem sermonis hominum aut quam expetendam consequi gloriam potes?

Vides habitari in terra raris et angustis in locis, et in ipsis quasi in maculis, ubi habitatur, vastas solitudines

interiectas, eosque qui incolunt terram non modo interruptus ita esse ut nihil inter ipsos ab aliis ad alios manare

possit, sed partim obliquos, partim transversos, partim etiam adversos stare vobis: a quibus exspectare gloriam certe

nullam potestis».

Benché io guardassi ammirato tutto ciò, tuttavia continuamente riportavo gli occhi a terra. Allora l’Africano disse:

“Mi accorgo che continui a guardare la casa degli uomini; ma se essa ti appare così piccola, come in effetti è, tieni lo

sguardo sempre fisso a queste realtà celesti e disprezza quelle umane. Infatti quale celebrità potresti conseguire nei

discorsi degli uomini o quale gloria desiderabile? Tu vedi che sulla Terra si abita in luoghi sperduti e angusti e che in

quelle stesse specie di macchie in cui si abita, sono inseriti vasti tratti di deserto, e che coloro che abitano la Terra

non solo sono così separati che tra di loro nulla può passare dagli uni agli altri, ma anche in parte stanno in posizioni

opposte rispetto agli emisferi, in parte in posizioni opposte rispetto all’equatore, in parte agli antipodi rispetto a voi:

e da essi certamente non potete attendervi nessuna fama”.

21 – La gloria terrena è breve

«Quin etiam si cupiat proles illa futurorum hominum deinceps laudes unius cuiuisque nostrum a patribus acceptus

posteris prodere, tamen propter eluviones exustionesque terrarum, quas accidere tempore certo nocesse est, non

modo non aeternam, sed ne diuturnam quidam gloriam adsequi possumus. Quid autem interest ab iis qui postea

nascerentur sermonem fore de te, cum ab iis nullus fuerit qui ante te nati sunt (qui nec pauciores et certe meliores

fuerunt viri)?»

“E anzi, se quella discendenza che verrà degli uomini futuri volesse tramandare ai posteri le lodi di ciascuno di noi

tramandate dai padri, tuttavia a causa di alluvioni e incendi della terra – che è inevitabile che avvengano entro un

termine stabilito – non possiamo perseguire alcuna gloria non solo non eterna ma neppure di lunga durata. D’altra

parte, che cosa importa che i posteri parlino di te dal momento che non hanno parlato di te quelli che nacquero prima

di te (e che furono non meno numerosi e furono uomini certamente migliori)?”

23 – Solo la virtù dona la gloria celeste

«Quocirca si reditum in hunc locum desperaveris, in quo omnia sunt magnis et praestantibus viris, quanti tandem est

ista hominum gloria, quae pertinere vix ad unius anni partem exiguam potest? Igitur alte spectare si voles atque hanc

sedem et aeternam domum contueri, neque te sermonibus vulgi dedideris, nec in praemiis humanis spem posueris

rerum tuarum: suis te oportet incelebris ipsa virtus trahat ad verum decus. Quid de te alii loquantur, ipsi videant. Sed

loquerentur tamen; sermo autem omnis ille et angustiis cingitur his regionum quas vides, nec umquam de ullo

perennis fuit et obruitur hominum interitu et oblivione posteritatis exstinguitur».

“Perciò, se perderai le speranze nel ritorno in questo luogo in cui gli uomini grandi ed eccellenti hanno ogni bene,

quanto vale alla fine questa gloria umana che a stento può raggiungere una piccola parte di un singolo anno

[cosmico]? Perciò se vorrai guardare in alto e contemplare questa sede e dimora eterna, non affidarti alle chiacchiere

della gente, e non porre la speranza delle tue imprese nei premi terreni: piuttosto occorre che la virtù stessa ti trascini

alla vera gloria con le sue attrattive. Che cosa dicano gli altri di te, lo vedano loro. E tuttavia parleranno di te; ma

tutti quei grandi discorsi sono chiusi nella cerchia ristretta di quelle regioni che vedi e mai saranno eterni e mai

furono eterni riguardo a nessuno, e svaniscono con la morte degli uomini e si spengono con l’oblio dei posteri”.

24 – L’anima è eterna - conclusione

«Cum pateat igitur aeternum id esse, quod a se ipso moveatur, quis est, qui hanc naturam animis esse tributam

neget? Inanimum est enim omne, quod pulsu agitatur externo; quod autem est animal, id motu cietur interiore et suo;

nam haec est propria natura animi atque vis; quae si est una ex omnibus, quae sese moveat, neque nata certe est et

aeterna est. Hanc tu exerce optimis in rebus! Sunt autem optimae curae de salute patriae, quibus agitatus et

exercitatus animus velocius in hanc sedem et domum suam pervolabit; idque ocius faciet, si iam tum, cum erit

inclusus in corpore, eminebit foras et ea, quae extra erunt, contemplans quam maxime se a corpore abstrahet.

Namque eorum animi, qui se corporis voluptatibus dediderunt earumque se quasi ministros praebuerunt impulsuque

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