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Sintesi

Introduzione Eduardo De Filippo, tesina



La seguente tesina di maturità tratta di Eduardo De Filippo. La tesina abbraccia anche i seguenti argomenti nella varie discipline scolastiche: Il ritratto al vetriolo del nucleo familiare nel contesto teatrale: Pirandello ed i “Sei personaggi” in Italiano; Seneca: Il linguaggio dell’interiorità in Latino; La filantropia del teatro di Menandro e la visione ottimistica delle dinamiche familiari. L’età della commedia nuova in Greco; Le voci dell’interiorità: Freud e la psicoanalisi. Il linguaggio dei sogni in Filosofia; L’Italia del dopoguerra. Il 1948, la situazione economica e politica e le dinamiche internazionali in vista della Guerra Fredda in Storia; Inner voices: il flusso di coscienza ed il linguaggio dei sogni di James Joyce in Inglese; L’arte come espressione della propria coscienza. Il dramma umano nella “deformata” rappresentazione di Francis Bacon in Arte.

Collegamenti


Eduardo De Filippo



Italiano - Il ritratto al vetriolo del nucleo familiare nel contesto teatrale: Pirandello ed i “Sei personaggi”
Latino - Seneca: Il linguaggio dell’interiorità
Greco - La filantropia del teatro di Menandro e la visione ottimistica delle dinamiche familiari. L’età della commedia nuova.
Filosofia - Le voci dell’interiorità: Freud e la psicoanalisi. Il linguaggio dei sogni.
Storia - L’Italia del dopoguerra. Il 1948, la situazione economica e politica e le dinamiche internazionali in vista della Guerra Fredda
Inglese - Inner voices: il flusso di coscienza ed il linguaggio dei sogni di James Joyce
Arte - L’arte come espressione della propria coscienza. Il dramma umano nella “deformata” rappresentazione di Francis Bacon
Estratto del documento

Nun vulive parla' cchiù... C'aggia ffa', zi' Nico'? (Più esaltato che

mai, implorante) Tu che hai campato tanti anni e che avevi capito

tante cose, dammi tu nu cunziglio... Dimmi tu: c'aggia ffa'?

Parlami tu... (Si ferma perché ode come in lontananza la solita

chiacchierata pirotecnica di zi' Nicola, questa volta prolungata e

più ritmata) Non ho capito, zi' Nico'! (Esasperato) Zi' Nico', parla

cchiù chiaro! (Esasperato) Avete sentito?

[…]

I due fratelli sono rimasti soli, l'uno di spalle all'altro. Alberto

seduto al tavolo, in primo piano a sinistra, col capo chino sulle

braccia. Carlo, accasciato su di una sedia, in fondo allo stanzone.

Alberto, dopo una piccola pausa, solleva il capo lentamente, e

con uno sguardo pietoso cerca il fratello. Dopo averlo fissato per

un poco, per non prorompere in lacrime, con gesto che ha della

disperazione, comprime fortemente le mani aperte sul suo volto.

Il sole inaspettatamente, dal finestrone in fondo, taglia l'aria

ammorbata dello stanzone e, pietosamente, vivifica le striminzite

figure dei due fratelli e quelle povere, sgangherate sedie, le

quali, malgrado tutto, saranno ancora provate dalle ormai

svogliate «feste» e «festicciolle» dei poveri vicoli napoletani.

F I N E

Italiano

Il ritratto al vetriolo del nucleo familiare nel contesto

teatrale: Pirandello ed i “Sei personaggi”

Le dinamiche familiari sono al centro dell’analisi del

teatro di Eduardo. Basti pensare ad alcuni capolavori

Filumena Marturano;

della sua drammaturgia come

Sabato, domenica e lunedì Napoli Milionaria!.

e L’analisi

di una famiglia apparentemente normale rivela i drammi

di ciascun individuo, solchi nell’esistenza umana che non

riescono a sopprimersi.

A tal proposito si può inserire nel contesto teatrale ed in

questa tematica Lugi Pirandello, celebre amico di

Eduardo, con la sua opera “Sei personaggi in cerca

d’autore”. La soppressione della vita per dar spazio alla

forma, la maschera che l’individuo indossa

permanentemente nei rapporti interpersonali ed, allo

stesso tempo, il bisogno di ricercare una propria

individualità andata perduta, sono i punti cardine della

poetica del testo pirandelliano.

Altro punto di somiglianza con Eduardo è quello

dell’ironia di cui il testo di Pirandello è permeante, ma

dietro di essa c’è una situazione di tragicità, di squallore,

di macerie morali che tentano di mascherarsi, ma non

rappresentano altro che puro sarcasmo, pura presa di

coscienza della tragicità dell’esistenza umana.

Antologia

Il Padre (ferito)

Mi dispiace che ridano così, perché portiamo in noi,

ripeto, un dramma doloroso, come lor signori possono

argomentare da questa donna velata di nero.

Così dicendo porgerà la mano alla Madre per aiutarla a

salire gli ultimi scalini e, seguitando a tenerla per mano,

la condurrà con una certa tragica solennità dall'altra

parte del palcoscenico, che s'illuminerà subito di una

fantastica luce. La Bambina e il Giovinetto seguiranno la

Madre; poi il Figlio, che si terrà discosto, in fondo; poi la

Figliastra, che s'apparterà anche lei sul davanti,

appoggiata all'arcoscenico. Gli Attori, prima stupefatti,

poi ammirati di questa evoluzione, scoppieranno in

applausi come per uno spettacolo che sia stato loro

offerto.

Il capocomico (prima sbalordito, poi sdegnato)

Ma via! Facciano silenzio!

Poi, rivolgendosi ai Personaggi:

E loro si levino! Sgombrino di qua!

Al Direttore di scena:

Perdio, faccia sgombrare!

Il direttore di scena (facendosi avanti, ma poi

fermandosi, come trattenuto da uno strano sgomento)

Via! Via!

Il padre (al Capocomico)

Ma no, veda, noi...

Il capocomico (gridando)

Insomma, noi qua dobbiamo lavorare!

Il primo attore

Non è lecito farsi beffe così...

Il padre (risoluto, facendosi avanti)

Io mi faccio maraviglia della loro incredulità! Non

sono forse abituati lor signori a vedere balzar vivi

quassù, uno di fronte all'altro, i personaggi creati da un

autore? Forse perché non c'è là un copione che ci

contenga?

La Figliastra (facendosi avanti al Capocomico,

sorridente, lusingatrice)

Creda che siamo veramente sei personaggi, signore,

interessantissimi! Quantunque, sperduti.

Il Padre (scartandola)

Sì, sperduti, va bene!

Al Capocomico subito:

Nel senso, veda, che l'autore che ci creò, vivi, non

volle poi, o non potè materialmente, metterci al mondo

dell'arte. E fu un vero delitto, signore, perché chi ha la

ventura di nascere personaggio vivo, può ridersi anche

della morte. Non muore più! Morrà l'uomo, lo scrittore,

strumento della creazione; la creatura non muore più! E

per vivere eterna non ha neanche bisogno di

straordinarie doti o di compiere prodigi. Chi era Sancho

Panza? Chi era don Abbondio? Eppure vivono eterni,

perché - vivi germi - ebbero la ventura di trovare una

matrice feconda, una fantasia che li seppe allevare e

nutrire, far vivere per l'eternità!

Il capocomico

Tutto questo va benissimo! Ma che cosa vogliono

loro qua?

Il padre

Vogliamo vivere, signore!

Il capocomico (ironico)

Per l'eternità?

Il padre

No, signore: almeno per un momento, in loro.

Un attore

Oh, guarda, guarda!

La prima attrice

Vogliono vivere in noi!

L'attor giovane (indicando la Figliastra)

Eh, per me volentieri, se mi toccasse quella lì!

Il padre

Guardino, guardino: la commedia è da fare;

al Capocomico:

ma se lei vuole e i suoi attori vogliono, la

concerteremo subito tra noi!

Il capocomico (seccato)

Ma che vuol concertare! Qua non si fanno di questi

concerti! Qua si recitano drammi e commedie!

Il padre

E va bene! Siamo venuti appunto per questo qua da

lei!

Il capocomico

E dov'è il copione?

Il padre

È in noi, signore.

Latino

Seneca: Il linguaggio dell’interiorità

Le voci di dentro,

Come ne anche nell’opera di Seneca

compare il tema dell’interiorità, concepito in Eduardo

come custode di impulsi e desideri mai realizzati, per

sapiens

l’autore latino come porto sicuro per il stoico. Il

linguaggio dell'interiorità di Seneca riflette appieno lo

stato d'animo di un autore in bilico tra il metodo

filosofico ed il riflesso biografico.

Seneca vede nell'interiorità del saggio stoico non solo un

rifugio sicuro dagli affanni della vita, ma anche una

continua possibilità di risposte nel permanente esame

interiore. Il linguaggio riflette l'esercizio spirituale come

dialogo incessante con se stessi e con gli altri, come

appello alla coscienza morale e come quotidiana

autovalutazione. Seneca propone una sua filosofia come

ricerca continua e prioritaria di risposte in se stessi,

ars vivendi

concependo un' concentrata sull'individuo e

sulla coscienza.

L'autore getta le basi per una nuova concezione

filosofica, che supera le barriere dello stoicismo,

vedendo nel linguaggio dell’interiorità un rifugio

terapeutico, tema ricorrente anche nella narrativa del

'900 in autori come Svevo, Hesse e Yourcenar.

Antologia

C’è chi è preso da insaziabile avidità, chi dalle vuote

occupazioni di una frenetica attività; uno è fradicio di

vino, un altro languisce nell’inerzia; uno è stressato da

un’ambizione sempre dipendente dai giudizi altrui, un

altro è sballottato per tutte le terre da un’avventata

bramosia del commercio, per tutti i mari dal miraggio del

guadagno; alcuni tortura la smania della guerra, vogliosi

di creare pericoli agli altri o preoccupati dei propri; vi

sono altri che logora l’ingrato servilismo dei potenti in

una volontaria schiavitù; molti sono prigionieri della

brama dell’altrui bellezza o della cura della propria; la

maggior parte, che non ha riferimenti stabili, viene

sospinta a mutar parere da una leggerezza volubile ed

instabile e scontenta di sé; a certuni non piace nulla a

cui drizzar la rotta, ma vengono sorpresi dal destino

intorpiditi e neghittosi, sicché non ho alcun dubbio che

sia vero ciò che vien detto, sotto forma di oracolo, nel più

grande dei poeti: “Piccola è la porzione di vita che

viviamo”. Infatti tutto lo spazio rimanente non è vita, ma

tempo. I vizi premono ed assediano da ogni parte e non

permettono di risollevarsi o alzare gli occhi a discernere

il vero, ma li schiacciano immersi ed inchiodati al

piacere. Giammai ad essi è permesso rifugiarsi in se

stessi; se talora gli tocca per caso un attimo di tregua,

come in alto mare, dove anche dopo il vento vi è

perturbazione, ondeggiano e mai trovano pace alle loro

passioni. Pensi che io parli di costoro, i cui mali sono

evidenti? Guarda quelli, alla cui buona sorte si accorre:

sono soffocati dai loro beni. Per quanti le ricchezze

costituiscono un fardello! A quanti fa sputar sangue

l’eloquenza e la quotidiana ostentazione del proprio

ingegno! Quanti sono pallidi per i continui piaceri! A

quanti non lascia un attimo di respiro l’ossessionante

calca dei clienti! Dunque, passa in rassegna tutti costoro,

dai più umili ai più potenti: questo cerca un avvocato,

questo è presente, quello cerca di esibire le prove, quello

difende, quello è giudice, nessuno rivendica per se stesso

la propria libertà, ci si consuma l’uno per l’altro.

Infòrmati di costoro, i cui nomi si imparano, vedrai che

essi si riconoscono da questi segni: questo è cultore di

quello, quello di quell’altro; nessuno appartiene a se

stesso. Insomma è estremamente irragionevole lo sdegno

di taluni: si lamentano dell’alterigia dei potenti, perché

questi non hanno il tempo di venire incontro ai loro

desideri. Osa lagnarsi della superbia altrui chi non ha

tempo per sé? Quello almeno, chiunque tu sia, benché

con volto arrogante ma qualche volta ti ha guardato, ha

abbassato le orecchie alle tue parole, ti ha accolto al suo

fianco: tu non ti sei mai degnato di guardare dentro di te,

di ascoltarti. Non vi è motivo perciò di rinfacciare ad

alcuno questi servigi, poiché li hai fatti non perché

desideravi stare con altri, ma perché non potevi stare

con te stesso.

De brevitate vitae)

(Seneca,

Greco

La filantropia del teatro di Menandro e la visione

ottimistica delle dinamiche familiari. L’età della

commedia nuova.

Menandro e la commedia nuova rappresentano un punto

di opposizione rispetto al teatro di Eduardo per quanto

riguarda la risoluzione delle dinamiche familiari: le

drammaturgie sono rivolte esclusivamente alle élite

sociali, le dinamiche relazionali prospettano una forma di

filantropia intesa come apertura ai vincoli d’amicizia,

filia

non limitati alla concezione di del passato.

Ciò avviene grazie alla capacità dei personaggi di trovare

sempre il lato positivo del prossimo, di comprendere la

necessità dei rapporti sociali e l’ottimistica visione che

questi possono generare. Unico momento di vera

compenetrazione e di empatia nel testo di Eduardo è nel

finale, quando “Alberto, dopo una piccola pausa, solleva

il capo lentamente, e con uno sguardo pietoso cerca il

fratello. Dopo averlo fissato per un poco, per non

prorompere in lacrime, con gesto che ha della

disperazione, comprime fortemente le mani aperte sul

suo volto.” Impostazione registica del finale che Rosi,

nella seconda messa in scena del testo, concepisce come

unico momento di coesione per continuare a vivere;

Servillo invece, nella recente rappresetazione teatrale,

come definitva disfatta e distruzione dei rapporti sociali.

Antologia

Sostrato: “L’unico errore è stato forse quello di credermi

il solo autosufficiente di non avere bisogno di nessuno.

Ora che ho visto da vicino la morte, rapida,

imprevedibile, ho capito che sbagliavo. Bisogna sempre

avere vicino qualcuno che ti possa dare un aiuto. Ma, per

Efesto, sono stato messo fuori strada dal vedere degli

altri, i loro calcoli, l’attenzione esclusivamente rivolta al

guadagno. Non avrei mai pensato che tra tutti ci fosse

una persona capace di fare il bene altrui. […] Se non sei

veramente padrone dei tuoi beni, se quello che hai non

appartiene a te, ma alla fortuna, non devi esserne geloso.

Forse già la fortuna sta per toglierteli e darne a un altro,

forse indegno. E per questo direi che tu devi, finchè li

possiedi, usarli con generosità, aiutare gli altri,

agevolare quante più persone puoi. Queste sono cose che

non muoiono e se tu ti trovi in difficoltà, otterrai in

cambio lo stesso trattamento. Un amico aperto vale

molto più dei tesori nascosti sottoterra.”

Il bisbetico)

(Menandro,

Filosofia

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