L’universo è un libro scritto in lingua matematica
In questa famosa pagina Galileo afferma che quella del mondo fisico è fondamentalmente una struttura matematica. Siamo davanti a un vero e proprio manifesto della nuova scienza.
Il testo si apre con l’obiezione mossa da Grassi alle accuse di Galileo, ossia che su un qualche autore bisogna pur basarsi. Per lo scienziato pisano, però, citare Brahe, Copernico o Tolomeo serve a poco se essi non hanno prodotto contributi rilevanti sullo specifico argomento oggetto di discussione (in questo caso la natura delle comete). Galileo allarga poi il campo della sua riflessione, sostenendo che Grassi ha torto nel ritenere che in una discussione scientifica sia necessario appoggiarsi sull’autorità dei sapienti del passato: l’unico libro da tenere in considerazione è quello della natura. E poiché esso è scritto «in lingua
matematica » (r. 20), chi lo studia deve padroneggiare questo linguaggio; in caso contrario, si comporterebbe come chi avanza in un labirinto buio. In conclusione, Galileo nega che Brahe possa essere una fonte preferibile a Tolomeo o a Copernico.
Un nuovo modo di indagare la natura
Galileo polemizza anzitutto con il metodo di indagine usato dal suo avversario, Grassi. Secondo lo scienziato pisano bisogna partire non dall’autorità degli studiosi del passato, ma dall’osservazione diretta della natura. Studiare i libri altrui può essere sì utile, ma non bisogna fermarsi alle loro opinioni. Il libro più importante da leggere per Galileo è sempre quello della natura, che va interrogata con atteggiamento libero e spirito critico per poter essere compresa nella sua più profonda essenza, che è di carattere matematico. Solo studiando questa «lingua matematica» (r. 20), dotata di specifici «caratteri» (r. 20), si può capire il funzionamento dell’universo. Il linguaggio matematico, però, non è immediatamente comprensibile a tutti e richiede specifiche competenze, che sembrano mancare a Grassi. A lui, e a coloro che ragionano nello stesso modo, il mondo continuerà ad apparire un «oscuro laberinto » (r. 23), inestricabile e inspiegabile.
Lo stile metaforico
Qui, come in altre opere, Galileo rafforza le proprie riflessioni utilizzando in modo sapiente gli strumenti della letteratura e della retorica. Diverse, per esempio, sono le metafore presenti nel brano, come quella del «laberinto», cara alla cultura barocca, usata per indicare la realtà vasta e misteriosa in cui l’uomo del Seicento è destinato a perdersi senza l’aiuto della scienza. Ugualmente efficaci sono le immagini del matrimonio (r. 13) e della schiavitù («mancipio», r. 24) per rappresentare la subordinazione della libera riflessione personale all’autorità degli autori antichi, che impedisce all’intelletto di seguire strade alternative. Ripresa dalla cultura rinascimentale è invece l’immagine del libro della natura (rr. 17-18), nella quale, però, Galileo inserisce un elemento di novità, l’indicazione della lingua matematica in cui quel libro è scritto.