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Habilis
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Indice

  1. Una discussione sui misteri del cosmo
  2. L’infinità del cielo e il rifiuto di Simplicio
  3. Le fonti di Simplicio: Aristotele e l’idea cristiana di Provvidenza
  4. La posizione di Galileo

Una discussione sui misteri del cosmo

Salviati e Simplicio stanno discutendo sulla possibilità che l’universo sia più vasto di quanto ritenga la cosmologia aristotelica. Presumendo di comprendere la grandezza del cosmo con il proprio intelletto, secondo Salviati, si finisce per porre limiti alla potenza divina. Simplicio, però, gli risponde che nell’universo nulla esiste invano, dunque è assurdo immaginarlo più vasto del necessario. Nella sua replica Salviati attacca la convinzione medievale che la creazione divina abbia come unico scopo l’umanità. Inoltre, non essendo noi in grado di conoscere gli effetti della Provvidenza, è azzardato presumere di comprendere tutto ciò che esiste nell’universo. A questo punto interviene Sagredo per ribadire i limiti dell’intelletto umano e l’impossibilità di comprendere gli scopi ultimi della creazione. Per lui, allora, l’universo può essere molto più ampio rispetto a quello che gli uomini sono in grado di vedere e non è escluso che esistano altre stelle e pianeti che noi non conosciamo. A sostegno della sua tesi cita le recenti scoperte astronomiche, che hanno svelato agli uomini del Seicento un mondo molto più vasto di quanto essi supponessero

L’infinità del cielo e il rifiuto di Simplicio

Nelle pagine che precedono questo passo, Salviati prende in considerazione l’ipotesi che la sfera delle stelle fisse (la parte più esterna dell’universo nella cosmologia tolemaica) sia enormemente più ampia dell’orbita di Saturno, cioè del pianeta più lontano a quel tempo conosciuto. Il suo obiettivo è quello di confutare la posizione degli aristotelici, che attribuivano alla volta celeste dimensioni finite. L’idea di una distanza immensa che separa le orbite planetarie dalla volta celeste (enormemente più vasta) appare assurda e inconcepibile per Simplicio, il quale si chiede a che cosa mai potrebbe servire quell’infinito spazio vuoto e inutile per l’uomo. Ribadendo quindi la convinzione medievale che tutto il cosmo è stato creato in funzione dell’umanità, conclude che quel vuoto non può esistere. È la conclusione che ci si aspetterebbe da un aristotelico osservante.

Le fonti di Simplicio: Aristotele e l’idea cristiana di Provvidenza

L’obiezione di Simplicio riprende la concezione greca del cosmo, esposta da Aristotele e descritta geograficamente da Tolomeo, secondo cui l’universo costituisce un organismo gerarchicamente ordinato, in cui nessuna parte è inutile («La natura non fa nulla invano») e in cui ogni elemento ha senso solo se e in quanto coopera all’attuazione del fine generale. Anche il pensiero cristiano aveva ripreso questa visione del cosmo, adattandola al concetto di Provvidenza: l’ordinato edificio dell’universo è finalizzato al progetto salvifico di Dio, che considera l’uomo il destinatario privilegiato della creazione.

La posizione di Galileo

Galileo (che parla attraverso gli interventi di Salviati e di Sagredo) non contesta l’idea di un ordine provvidenziale della realtà; anzi, lo ammette esplicitamente. L’esempio del grappolo d’uva fatto maturare dal Sole (rr. 22-28) riecheggia il passo evangelico (Matteo, 6, 26-29 e Luca, 12, 24-27) in cui Gesù invita a guardare la natura per cogliere la presenza di Dio creatore. Ma se rifiuta l’ipotesi meccanicistica di un universo impersonale, regolato da inflessibili leggi fisiche incuranti dell’uomo e della sua sorte, Galileo si oppone con decisione anche alla pretesa che l’umanità possa comprendere pienamente il disegno provvidenziale di Dio e che essa ne sia l’unica beneficiaria. Quello dello scienziato pisano è dunque un invito alla cautela e all’umiltà nella ricerca scientifica.

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