pinotto.006
Ominide
28 min. di lettura
Vota

Concetti Chiave

  • Francesco Petrarca, nato nel 1304 ad Arezzo, è noto per la sua complessa personalità e la sua passione per la letteratura latina e greca, a differenza di Dante che era più ancorato alla cultura cristiana.
  • Laura, la musa ispiratrice di Petrarca, simboleggia l'amore e l'ossessione che lo tormentano, rappresentando il conflitto tra desiderio terreno e fede religiosa.
  • Il "Canoniere" di Petrarca, sebbene scritto in volgare e non considerato dall'autore come la sua opera principale, è celebre per la sua esplorazione dell'amore per Laura attraverso poesie ideali e antitetiche.
  • L'ascensione al Monte Ventoso è un esempio di allegoria morale e introspezione, in cui Petrarca riflette sul suo cammino spirituale e sul desiderio di elevarsi al di sopra delle passioni terrene.
  • Il "Secretum" di Petrarca è un dialogo interiore tra l'umanità e la spiritualità, simboleggiato dal confronto tra il poeta e Sant'Agostino, esplorando temi di conflitto interiore e ricerca di verità.

Indice

  1. Le origini e la formazione di Petrarca
  2. L'incontro con Laura e la sua influenza
  3. La vita religiosa e la casa a Valchiusa
  4. La cerimonia a Roma e gli ultimi anni
  5. Gli studi e l'interesse per le lettere antiche
  6. La letteratura in latino e volgare
  7. La filosofia e il conflitto interiore
  8. L'ascensione al Monte Ventoso
  9. Il conflitto interiore e l'amore per Laura
  10. Le opere epistolari e il Canzoniere
  11. La poesia d'amore e la figura di Laura
  12. Differenze tra Dante e Petrarca
  13. La forma e il contenuto nella poesia di Petrarca

Le origini e la formazione di Petrarca

In realtà, Petrarca era figlio del notaio Ser Petracco (Petraccus) => Franciscus Petracchi (Francesco figlio di Petracco) => reso in Francesco Petracca dallo stesso poeta per eleganza.

Nato nel 1304 in Italia, ad Arezzo, nel 1312 dovette trasferirsi, a causa del lavoro del padre, ad Avignone, in Francia, nuova sede della corte papale, trasferitasi da Roma per maggiori legami con la monarchia francese. Negli anni francesi, si dedicò alla vita mondana.

Petrarca, a differenza di Dante, uomo tutto d’un pezzo e fermo nelle proprie convinzioni, ebbe una personalità più complessa e inquieta.

L'incontro con Laura e la sua influenza

Negli anni ‘20 del ‘300 Petrarca incontrò quella che diverrà la sua musa ispiratrice, Laura (non si sa se sia realmente esistita, o se il nome sia reale)

=> Laura => Laurus => alloro => gloria poetica => simbolo della gloria e della fama come poeta ??

=> Laura => l’aura => il vento => giochi di parole col nome di Laura => simbolo dello smarrimento

Egli si tormenterà, per lei, per una ventina d’anni (da un lato, vorrebbe amarla, ma l’amore lo allontanerebbe da Dio).

La vita religiosa e la casa a Valchiusa

Petrarca fu molto legato alla religione; per motivi finanziari, prese gli ordini minori, a cui era legata una rendita, non divenendo un vero e proprio sacerdote, con alcuni obblighi (celibato, etc…)

Egli acquisterà una casa a Valchiusa, in Francia, in mezzo alla natura, che diverrà un punto di riferimento e verrà citata anche in alcune poesie; coontemporaneamente, si sviluppò una sorta di depressione, legata al mancato amore per Laura e al desiderio di divenire uno dei migliori poeti. Fu un grande viaggiatore (a differenza di Dante, esiliato e costretto a spostarsi, molto legato alla sua città natale, viaggiò per piacere), scopritore di molti manoscritti abbandonati della letteratura latina.

La cerimonia a Roma e gli ultimi anni

Nel 1341 si svolge una cerimonia, a Roma, dove viene incoronato poeta, rendendolo felice per poco tempo per poi lasciare spazio nuovamente all’inquietudine; in più, il suo amato fratello Gherardo decise di entrare in convento.

Gli ultimi anni di Petrarca si possono definire danteschi; questi, stabilitosi in Italia nelle varie corti e servendo spesso come ambasciatore, riprenderà molti degli ideali del Sommo Poeta, specialmente quelli legati alla grandezza dell’Italia e al ruolo della Chiesa in politica.

Gli studi e l'interesse per le lettere antiche

Petrarca studiò Diritto, in parte in Italia, a Bologna, in parte in Francia.

Uno dei termini usati per definire la formazione culturale di Petrarca è humanitas => humanae litterae => le letterature del passato; Petrarca cerca di riallacciare i rapporti con le letterature antiche, in se per se stesse e non in ottica di fede (Dante, a differenza di Petrarca, concepiva sempre la cultura antica in un’ottica cristiana, al servizio della fede => collegamento con Virgilio (rif. Bucoliche, in cui avrebbe profetizzato la venuta di Gesù). Petrarca si interessò molto alla letteratura classica latina e, incredibilmente, alla letteratura greca: quasi nessuno, nell’Italia del tempo, conosceva il greco antico: grazie ad una minoranza linguistica calabrese e ad alcuni monaci, pian piano, la lingua si diffuse in tutta la Penisola; Dante stesso non conosceva la cultura greca (o conosceva di riflesso, ovvero tramite la cultura latina), mentre Boccaccio e Petrarca furono tra i primi intellettuali a conoscere il greco.

La letteratura in latino e volgare

Petrarca fece la scelta di dedicarsi principalmente alla letteratura in latino e molto meno alla letteratura in volgare, assimilata quasi ad un passatempo; paradossalmente, Petrarca è celebre per i suoi scritti in volgare (ex. il Canzoniere) ma non per i testi in latino, che desiderava diventassero famosi. Comunque, il volgare di Petrarca risulta comunque raffinato e meno concreto, più snob rispetto a quello dantesco, che utilizza uno stile plurilinguista e diversità di stili dal più basso, quasi come se si facesse un passo indietro rispetto al passato.

La filosofia e il conflitto interiore

La Filosofia Scolastica, per Petrarca, tende a classificare la realtà esteriore senza ricorrere all’interiorità dell’uomo, dunque egli si sentirà più vicino a Sant’Agostino che, nella sua opera Le Confessioni, analizza tramite un dialogo con la propria anima le proprie inquetudini e il rapporto con Dio stesso. Petrarca ebbe una cultura in larga parte medioevale, ma proiettata all’umanesimo.

Esempio di exemplum, più in chiave laica: un racconto, apparentemente semplice, che nasconde in realtà un significato morale profondo. Salita al mount ventou, il monte più alto vicino Avignone

A Dionigi da Borgo San Sepolcro, dell'ordine di sant'Agostino, professore della sacra pagina. Sui propri affanni.

L'ascensione al Monte Ventoso

Oggi, spinto dal solo desiderio di vedere un luogo celebre per la sua altezza, sono salito sul più alto monte di questa regione, chiamato giustamente Ventoso. Da molti anni mi ero proposto questa gita; come sai, infatti, per quel destino che regola le vicende degli uomini, ho abitato in questi luoghi sino dall'infanzia e questo monte, che a bell'agio si può ammirare da ogni parte, mi è stato quasi sempre negli occhi. [...] Partimmo da casa il giorno stabilito e a sera eravamo giunti a Malaucena, alle falde del te monte, verso settentrione. Qui ci fermammo un giorno ed oggi, fìnalmente, con un servo cia-scuno, abbiamo cominciato la salita, e molto a stento. La mole del monte, infatti, tutta sassi, è assai scoscesa e quasi inaccessibile, ma ben disse il poeta che «l'ostinata fatica vince ogni cosa» (da Virgilio)

Il giorno lungo, l'aria mite, l'entusiasmo, il vigore, l'agilità del corpo e tutto il resto ci favorivano nella salita; ci ostacolava soltanto la natura del luogo. In una valletta del monte incontrammo un vecchio pastore che tentò in mille modi di dissuaderci dal salire, raccontandoci che anche lui, cinquant'anni prima, preso dal nostro stesso entusiasmo giovanile, era salito sulla vetta, ma che non ne aveva riportato che delusione e fatica, il corpo e le vesti lacerati dai sassi e dai pruni, e che non aveva mai sentito dire che altri, prima o dopo di lui, avesse ripetuto il tentativo. Ma mentre ci gridava queste cose, a noi - così sono i giovani, restii ad ogni consiglio - il desiderio cresceva per il divieto. Allora il vecchio, accortosi dell'inutilità dei suoi sforzi, inoltrandosi un bel pò tra le rocce, ci mostrò col dito un sentiero tutto erto, dandoci molti avvertimenti e ripetendocene altri alle spalle, che già eravamo lontani. Lasciate presso di lui le vesti e gli oggetti che ci potevano essere d'impaccio, tutti soli ci accingiamo a salire e ci incamminiamo alacremente. Ma come spesso awiene, a un grosso sforzo segue rapidamente la stanchezza, ed eccoci a sostare su una rupe non lontana. Rimessici in marcia, avanziamo di nuovo, ma con più lentezza; io soprattutto, che mi arrampicavo per la montagna con passo più faticoso, mentre mio fratello, per una scorciatoia lungo il crinale del monte, saliva sempre più in alto (metafora religiosa: mentre il fratello, che si fare frate, riceve da Dio la forza di continuare il suo percorso spirituale, Petrarca si sente inquieto e abbandonato). Io, più fiacco, scendevo giù, e a lui che mi richiamava e mi indicava il cammino più diritto, rispondevo che speravo di trovare un sentiero più agevole dall'altra parte del monte e che non mi dispiaceva di fare una strada più lunga, ma più piana. Pretendevo così di scusare la mia pigrizia e mentre i miei compagni erano già in alto, io vagavo tra le valli, senza scorgere da nessuna parte un sentiero più dolce; la via, invece, cresceva, e l'inutile fatica mi stancava. Annoiatomi e pentito, oramai, di questo girovagare, decisi di puntare direttamente verso l'alto e quando, stanco e ansimante, riuscii a raggiungere mio fratello, che si era intanto rinfrancato con un lungo riposo, per un poco procedemmo insieme.

Avevamo appena lasciato quel colle che già io, dimentico del primo errabondare, sono di nuovo trascinato verso il basso, e mentre attraverso la vallata vado di nuovo alla ricerca di un sentiero pianeggiante, ecco che ricado in gravi difficoltà. Volevo differire la fatica del salire, ma la natura non cede alla volontà umana, né può accadere che qualcosa di corporeo raggiunga l'altezza discendendo. Insomma, in poco tempo, tra le risa di mio fratello e nel mio avvilimento, ciò mi accadde tre volte o più. Deluso, sedevo spesso in qualche valletta e lì, trascorrendo rapidamen-te dalle cose corporee alle incorporee, mi imponevo riflessioni di questo genere: «Ciò che hai tante volte provato oggi salendo su questo monte, si ripeterà, per te e per tanti altri che vogliono accostarsi alla beatitudine; se gli uomini non se ne rendono conto tanto facilmente, ciò è dovuto al fatto che i moti del corpo sono visibili, mentre quelli dell'animo son invisibili e occulti. La vita che noi chiamiamo beata è posta in alto e stretta, come dicono, è la strada che vi conduce.' Inoltre vi si frappongono molti colli, e di virtù in virtù dobbiamo procedere per nobili gradi; sulla cima è la fine di tutto, è quel termine verso il quale si dirige il nostro pellegrinaggio. [...] C'è una cima più alta di tutte, che i montanari chiamano il «Figliuolo»; perché non so dirti; se non forse per ironia, come talora si fa: sembra infatti il padre di tutti i monti vicini. Sulla sua cima c'è un piccolo pianoro e qui, stanchi, riposammo. E dal momento che tu hai ascoltato gli affannosi pensieri che mi sono saliti nel cuore mentre salivo, ascolta, padre mio, anche il resto e spendi, ti prego, una sola delle tue ore a leggere la mia awentura di un solo giorno. Dapprima, colpito da quell'aria insolitamente leggera e da quello spettacolo grandioso, rimasi come istupidito. [...] Ma ecco entrare in me un nuovo pensiero che dai luoghi mi portò ai tempi. «Oggi — mi dicevo — si compie il decimo anno da quando, lasciati gli studi giovanili, hai abbandonato Bologna. Dio immortale, eterna Saggezza, quanti e quali sono stati nel frattempo i cambiamenti della tua vita! Cosi tanti che non ne parlo; del resto non sono ancora così sicuro in porto da rievocare le trascorse tempeste. Verrà forse un giorno in cui potrò enumerarle nell'ordine stesso in cui sono avvenute; premettendovi le parole di Agostino: 'Voglio ricordare le mie passate turpitudini, le carnali corruzioni dell'anima mia, non perché le ami, ma per amare te, Dio mio'. Troppi sono ancora gli interessi che mi producono incertezza ed impaccio. Ciò che ero solito amare, non amo più; mento: lo amo, ma meno; ecco, ho mentito di nuovo: lo amo, ma con più vergogna, con più tristezza; finalmente ho detto la verità. È proprio così: amo, ma ciò che amerei non amare, ciò che vorrei odiare; amo tuttavia, ma controvoglia, nella costrizione, nel pianto, nella sofferenza. In me faccio triste esperienza di quel verso di un famosissimo poeta:

«Ti odierò, se posso; se no, t'amerò contro voglia»

Non sono ancora passati tre anni da quando quella volontà malvagia e perversa che tutto mi possedeva e che regnava incontrastata nel mio spirito cominciò a provarne un'altra, ribel-le e contraria; e tra l'una e l'altra da un pezzo, nel campo dei miei pensieri, s'intreccia una battaglia ancor oggi durissima e incerta per il possesso di quel doppio uomo che è in me». […] Mentre ammiravo questo spettacolo in ogni suo aspetto ed ora pensavo a cose terrene ed ora, invece, come avevo fatto con il corpo, levavo più in alto l'anima, credetti giusto dare uno sguardo alle Confessioni di Agostino, dono del tuo affetto, libro che in memoria dell'autore e di chi me l'ha donato io porto sempre con me: libretto di piccola mole ma d'infinita dolcezza. Lo apro per leggere quello che mi cadesse sott'occhio: quale pagina poteva capitarmi che non fosse pia e devota? Era il decimo libro. Mio fratello, che attendeva per mia bocca di udire una parola di Agostino, era attentissimo. Lo chiamo con Dio e testimonio che dove dapprima gettai lo sguardo, vi lessi: «E vanno gli uomini a contemplare le cime dei monti, i vasti flutti del mare, le ampie correnti dei fiumi, l'immensità dell'oceano, il corso degli astri e trascurano se stessi».' Stupii, lo confesso; e pregato mio fratello che desiderava udire altro di non disturbarmi, chiusi il libro, sdegnato con me stesso dell'ammirazione che ancora provavo per cose terrene quando già da tempo, dagli stessi filosofi pagani, avrei dovuto imparare che niente è da ammirare tranne l'anima, di fronte alla cui grandezza non c'è nulla di grande. Soddisfatto oramai, e persino sazio della vista di quel monte, rivolsi gli occhi della mente in me stesso e da allora nessuno mi udì parlare per tutta la discesa: quelle parole tormentavano il mio silenzio. Non potevo certo pensare che tutto fosse accaduto casualmente; sapevo anzi che quanto avevo letto era stato scritto per me, non per altri.

Il conflitto interiore e l'amore per Laura

L’ossessione, la dipendenza per Laura, che consuma Petrarca, rappresenta il peccato: non è dunque l’amore, in se e per se, ad allontanare l’uomo da Dio e dalla vita, è l’ossessione ad allontanare l’uomo dalla vita vera e da Dio.

(De secreto conflictum curarum mearum) => il conflitto interiore dei miei affanni.

Quest’opera, divisa in III libri, tratta del conflitto interiore, già analizzato nella lettera sopra, tra due “parti” di se, una desiderosa di riavvicinarsi alla fede e al mondo reale, e uno ancora legato all’amore per Laura. In particolare, si svolge un dialogo tra Petrarca, simbolo della parte terrena, che cerca di giustificare il proprio amore ossessivo, e Sant’Agostino, parte spirituale e rappresentazione della sua coscienza. Per garantire la piena veridicità delle dichiarazioni nel “confronto”, una “donna”, la Verità, fa da “arbitro”.

II: trattando dei 7 peccati capitali (superbia, invidia, ira, accidia, avarizia e prodigalità, gola, lussuria), Petrarca, facendo una sorta di esame di coscienza, pensa che i peccati che più lo riguardino siano la superbia (desiderio di gloria poetica) e l’accidia (indebolimento della volontà, portando l’essere umano a non essere più in grado di decidere; scoramento, difronte alle difficoltà)

III: gloria terrena e amore per Laura

Petrarca è il rappresentante emblematico di un’età di trapasso (Baldi); egli vive nel 1300, ovvero verso l’uscita dal Medioevo ed è dunque uno scrittore che sente, dentro di se, dei richiami nuovi, come la riscoperta una prospettiva culturale laica, ma allo stesso tempo sente il contrasto con la propria profonda fede.

Poema allegorico, rimasto incompleto, in cui Petrarca intende imitare Dante (Divina Commedia), raccontando la propria vita riprendendo il modello medioevale del poema allegorico.

Trionfo dell’amore => amore per Laura

Trionfo della pudicizia => Laura rifiuta l’amore di Petrarca, salvando questi dal peccato

Trionfo della morte => morte di Laura

Trionfo della fama => Petrarca ottiene la fama poetica

Trionfo nel tempo => Petrarca è proiettato verso l’eternità e verso Dio

Trionfo dell’eternità

Confrontando le due opere, si osserva che Dante raggiunge il suo obbiettivo, concludendo il suo viaggio con la visione di Dio e la liberazione dal peccato, mentre Petrarca, lascia l’opera incompiuta, come se non ne fosse soddisfatto.

Le opere epistolari e il Canzoniere

Francesco Petrarca, intorno agli anni ‘20, scrisse centinaia di lettere rivolte a parenti e amici. In totale, nelle Raccolte Epistolari, sono presenti 350 lettere, divise in libri:

24 libri Familiari (rivolte ad amici)

17 libri Senili (scritte in vecchiaia, 125 tot.)

19 libri sine nomine (scritte su temi scottanti e, per non compromettere il destinatario, ne omette il nome)

Le lettere erano veramente inviate, ma nelle intenzioni di Petrarca vi era già la pubblicazione e dunque il contenuto era adattato; l’autore, nelle lettere, parla di se in maniera molto idealizzata => opera un processo di selezione delle sue vicende umane e idealizzazione della sua persona e delle sue vicende personali concrete (salita in un monte => difficoltà affrontate in vita). Quindi le opere dipingono un immagine molto idealizzata della realtà. Petrarca crea come un immagine esemplare dell’intellettuale e del letterato, chiuso e non aperto alla popolazione ignorante

Il titolo “Canzoniere” fu conferito solo successivamente, mentre quello originale era “Rerum vulgarium fragmenta” => frammenti di cose volgari

Raccolta di poesie singola, senza continuità; l’unica divisione presente è quella in vita di Laura e in morte di Laura. Sia Dante che Petrarca utilizzano il volgare, ma la differenza sta nel fatto che, mentre Dante crede fermamente nel volgare e lo utilizza nella sua opera principale, Petrarca lo utilizza nel Canzoniere, ma non intendeva che questa divenisse la sua opera principale,

preferendo quelle in latino.

Poesia introduttiva del Canzoniere; la sintassi irregolare, col vocativo iniziale staccato dal predicato di ben otto versi, indica l’inquietudine del poeta.

Per la prima volta nella letteratura antica italiana prima dell’invenzione della stampa, incontriamo un opera per la quale abbiamo anche un autografo, ovvero un manoscritto originale scritto dall’autore, che evita tutte le problematiche derivanti dagli errori di copiatura.

366 componimenti che seguono uno schema fisso (sonetto) con cui i lettori avevano già familiarizzato; presenti anche canzoni (componimenti più lunghi) e altri schemi metrici. L’argomento predominante è l’amore per Laura, ripercorso in tutte le sue fasi.

Non si sa molto riguardo alla realtà di questa figura: potrebbe essere stata una donna realmente incontrara dal poeta, ma non oggetto dell’amore così grande e immenso narrato da Petrarca. Il poeta prende spunto da qualcosa veramente accadutagli, ma la letteratura non rispecchia in pieno il vissuto della persona, contenendo elementi immaginari; distinguiamo quindi l’io lirico, il Petrarca delle poesie, e l’autore reale. Il nome stesso di Laura si presta a molti giochi di parole (vedi sopra).

Petrarca basa praticamente tutta la sua produzione in questa raccolta sull’aspetto della dolendi voluptas (antitesi, accostamento di due concetti contrari, ovver il piacere di soffrire), ovvero la tendenza di farsi del male da soli ricordando le proprie delusioni d’amore. Si riscontrano le fasi alterne del vagheggiamento (desiderare continuamente Laura) e della purificazione (Petrarca chiede perdono a Dio e vorrebbe allontanarsi da quello che considera il peccato).

La poesia d'amore e la figura di Laura

Fin dalle origini della letteratura italiana, la poesia d’amore ha sempre contenuto, in se, dei riferimenti, seppur pochi, all’oggetto del desiderio. Con Petrarca, riscontriamo un tipo di poesia poco concreto, contenente riferimenti vaghi e idealizzati, anche nella descrizione dei paesaggi. Si ritrova anche un’assenza della realtà storica: in Petrarca

Venerazione del lenzuolo con cui una pia donna, Veronica, aveva asciugato le lacrime dal volto di Gesù durante la salita al Calvario.

Movesi il vecchierel canuto et biancho
del dolce loco ov’à sua età fornita
et da la famigliuola sbigottita
che vede il caro padre venir manco;

indi trahendo poi l’antiquo fianco
per l’extreme giornate di sua vita,
quanto piú pò, col buon voler s’aita,
rotto dagli anni, et dal camino stanco;

et viene a Roma, seguendo ’l desio,
per mirar la sembianza di colui
ch’ancor lassú nel ciel vedere spera:

cosí, lasso, talor vo cerchand’io,
donna, quanto è possibile, in altrui
la disïata vostra forma vera.

Differenze tra Dante e Petrarca

Una delle maggiori differenze tra Dante e Petrarca consiste nel fatto che mentre il primo racconta la propria esperienza e i propri traumi avendoli già superati in un conflitto già vinto e risolto, Petrarca ci racconta il suo dramma amoroso per Laura mentre è tutto in corso e il conflitto è ancora irrisolto e lo rimane.

La poesia di Petrarca “filtra” la realtà: i paesaggi non sono mai descritti realmente, come se Petrarca rifugisse dalla realtà concreta per dedicarsi all’ interiorità. Dante descrive sia le realtà migliori che le peggiori, usando termini volgari per indicare la durezza della realtà stessa.

La poesia di Petrarca ha anche agganci con opere di altri autori, come la Bibbia, gli autori dello Stil-Novo, la Poesia Siciliana e quella provenzale.

La forma e il contenuto nella poesia di Petrarca

In Petrarca avviene una condizione singolare: ci si aspetterebbe che, uniformandosi al contenuto inquieto e tormentato dell’opera, anche la forma sia allo stesso modo disordinata. Al contrario, si ha un superamento dei conflitti nella forma: nonostante il contenuto inquieto, nella forma, egli vuole trovare l’armonia.

Un’altra differenza tra Dante e Petrarca sta nel fatto che Petrarca, filtrando la realtà, non ha bisogno di utilizzare un linguaggio umile, usandone uno “depurato” e uniforme (unilingiusimo), mentre Dante, dovendo rappresentare scene di tenore diverso (diavoli che si insultano ≠ canto degli angeli), utilizza un linguaggio di registro vario, dal volgare allo stile alto (plurilinguismo)

Padre del ciel, dopo i perduti giorni,
dopo le notti vaneggiando spese,
con quel fero desio ch’al cor s’accese,
mirando gli atti per mio mal sì adorni,


piacciati omai col Tuo lume ch’io torni
ad altra vita et a più belle imprese,
sì ch’avendo le reti indarno tese,
il mio duro adversario se ne scorni.

Or volge, Signor mio, l’undecimo anno

ch’i’ fui sommesso al dispietato giogo
che sopra i più soggetti è più feroce.

“Miserere’’ del mio non degno affanno;
reduci i pensier’ vaghi a miglior luogo;
ramenta lor come oggi fusti in croce.

Domande da interrogazione

  1. Quali sono le origini e la formazione di Francesco Petrarca?
  2. Francesco Petrarca nacque nel 1304 ad Arezzo, Italia, figlio del notaio Ser Petracco. Nel 1312 si trasferì ad Avignone, Francia, a causa del lavoro del padre. Durante gli anni in Francia, si dedicò alla vita mondana.

  3. Chi era Laura e quale fu la sua influenza su Petrarca?
  4. Laura, incontrata da Petrarca negli anni '20 del '300, divenne la sua musa ispiratrice. Non è chiaro se Laura sia realmente esistita, ma il suo nome è simbolicamente legato alla gloria poetica e allo smarrimento. Petrarca fu tormentato dal suo amore per Laura per circa vent'anni.

  5. Qual è il significato dell'ascensione al Monte Ventoso per Petrarca?
  6. L'ascensione al Monte Ventoso rappresenta un'esperienza simbolica per Petrarca, riflettendo il suo conflitto interiore tra desideri terreni e aspirazioni spirituali. Durante la salita, Petrarca medita sulla vita beata e il cammino verso la virtù, ispirato dalle Confessioni di Sant'Agostino.

  7. Come si differenziano Dante e Petrarca nella loro visione della poesia e della realtà?
  8. Dante racconta esperienze e traumi già superati, mentre Petrarca narra il suo dramma amoroso per Laura in corso. La poesia di Petrarca filtra la realtà, concentrandosi sull'interiorità, mentre Dante descrive la realtà in modo diretto, utilizzando un linguaggio vario.

  9. Qual è il ruolo delle opere epistolari e del Canzoniere nella produzione di Petrarca?
  10. Le opere epistolari di Petrarca, composte da 350 lettere, idealizzano la sua persona e le sue esperienze. Il Canzoniere, una raccolta di poesie in volgare, esplora l'amore per Laura e rappresenta un'opera significativa, nonostante Petrarca preferisse la letteratura in latino.

Domande e risposte

Hai bisogno di aiuto?
Chiedi alla community