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Le avanguardie
Il primo Novecento è il periodo delle avanguardie. Il termine ha origine dall’arte militare e indicava il gruppo di uomini coraggiosi che precedeva gli altri reparti dell’esercito, quindi era il gruppo mandato in avanscoperta. Prendono vita gruppi di artisti e intellettuali che si riuniscono attorno a dei programmi in cui vige l’idea di rotture con il passato, la rottura di biblioteche e di musei con l’intento di “scrostare” tutto ciò che apparteneva alla cultura tradizionale per promuovere nuove idee (Tabula Rasa). La diretta conseguenza di queste nuove correnti è l’affermazione della società industriale e delle macchine. Vengono esaltate idee come: l’azione, la velocità, la macchina , l’atto aggressivo, guerra ( la sola igiene del mondo per Marinetti) e il militarismo.
Tra le avanguardie riscontriamo come correnti il Futurismo e l’Espressionismo, che presentano alcuni caratteri comuni di tutte le avanguardie:
1. Opposizione al Naturalismo e al Decadentismo. All’arte come rispecchiamento oggettivo della realtà (Naturalismo), si oppone l’arte come visione soggettiva e espressione dell’inconscio. All’arte come contemplazione (Decadentismo) si oppone l’arte come produzione o come gesto. Ciò comporta anche l’idea della morte dell’arte che rinuncia non solo alla sua autonomia, ma alla sua esistenza distinta e separata.
2. Alla concezione di un’arte prodotta da una persona di eccezione (genio o vate) si oppone l’arte come attività di gruppo. Il gruppo di avanguardie “usa” l’attività estetica in modo immediatamente politico, facendone strumento di rivolta anarchica o collegata a movimenti politici. L’arte diventa attività totale e si giunge sino alla dissacrazione dell’arte e alla proposta di distruggere i musei.
3. L’attività artistica diventa internazionale e interartistica, si estende a ogni paese, riguarda e attraversa tutte le arti e ne sperimenta tutte le tecniche.
(Avanguardia storica= insieme di tendenze prima in Europa. Poi in USA tra il 1905 e il 1940)
Espressionismo (prima avanguardia)
- Si possono cogliere delle differenze tra l’Espressionismo e l’Impressionismo. In quest’ultimo i particolari sono già protagonisti, ma vengono collocati in proporzioni e in gerarchie tradizionali. Nell’Espressionismo, invece, il singolo dettaglio è sciolto dall’insieme per ingigantirlo; le gerarchie non sono più rispettate. La realtà oggettiva non esiste più; esiste solo il modo soggettivo. • L’Espressionismo è nato con l’arte, ma poi ha attraversato tutte le arti: cinema, pittura, teatro, musica, letteratura. In quest’ultima, in particolare, si riscontra l’isolamento icastico del dettaglio, che, sganciato dall’insieme, diventa mostruoso o perturbante. In letteratura l’Espressionismo ha il suo centro in Germania. Negli altri paesi europei il riferimento a essa
resta implicito: per esempio, si può parlare indubbiamente di Espressionismo per Joyce o, in Italia, per Pirandello. • L’Espressionismo trova le proprie basi culturali in Nietzsche e Bergson, desumendo dal primo la carica distruttiva e critico-negativa, rivolta a dissolvere i vecchi valori, e dal secondo la centralità dell’interiorità e del flusso delle sensazioni. Inoltre gli espressionisti si oppongono al positivismo. • In campo politico fortissima è la tendenza ribellistica e anarchica, che li induce alla critica della borghesia, del materialismo economico, dei processi di mercificazione. Questa tendenza corrisponde alla loro provenienza sociale: si tratta infatti di piccolo-borghesi sovversivi.
• I temi dominanti sono quelli della città mostruosa e tentacolare, della civiltà delle macchine, dell’allucinazione e dell’angoscia.
• Il personaggio espressionista è un uomo degradato in un mondo degradato.
• Da Baudelaire gli espressionisti riprendono la convinzione della caduta dell’“aura”, vale a dire della fine del carattere sacrale dell’arte. • Il poeta non è più il genio isolato ed eccezionale caro a D’Annunzio, ma un uomo della folla, un piccolo-borghese come tanti.
ogni possibile spiegazione e la letteratura e lo studio sono considerati una sorte di compensazione,
del tutto vana, ma tuttavia necessaria per continuare a vivere.
Segue il periodo romano. A Roma di iscrive alla facoltà di Lettere, ma per contrasti con il preside,
dopo due anni si trasferisce a Bonn, dove entra in contatto con culture e letterature
mitteleuropee, più avanzata in quegli anni rispetto ai livelli raggiunti in una giovane nazione da
poco sorta quale l’Italia, dove approfondisce la conoscenza dei romantici tedeschi (tra cui Goethe)
e si laurea con una tesi in filologia romanza.
Ritornato in Italia, si trasferisce a Roma, dove tramite Luigi Capuana, siciliano come lui, entra
presto in contatto con l’ambiente culturale.
Nel 1894, su pressione del padre, sposa la figlia di un socio in affari e la dote della moglie viene
investita nelle miniere di zolfo, ma successivamente la famiglia Pirandello subisce un grave
dissesto economico: una frana in una delle zolfare provoca la perdita dei capitali investiti,
compresi quelli portati in dote dalla moglie, la quale, alla notizia, ha un grave crollo nervoso, che
compromette per sempre il suo equilibrio psichico. Per far fronte alla difficile situazione,
Pirandello deve, oltre che assistere la moglie, impartire lezioni private e intensificare le
collaborazioni ai giornali ed alle riviste.
Nel 1934 gli viene assegnato il Nobel per la Letteratura. Muore a Roma nel 1936.
La novità dell’opera di Pirandello e la sua visione tragica della vita derivano da una concezione
dell’esistenza come caos inspiegabile: l’universo è una realtà indefinibile dominata dal caos.
LETTERA ALLA SORELLA: la vita come un’enorme “PUPAZZATA”
È una lettera alla sorella Lina che presenta i seguenti aspetti di estremo interesse:
1. La vita è priva di senso;
2. Scrivere e studiare è analogamente insensato, ma serve come compensazione della
frustrazione derivante da tale scoperta;
3. Gli ideali che aiutano a vivere sono degli autoinganni;
4. Essi sono tuttavia necessari per sopravvivere: “Io scrivo e studio per dimenticare me stesso-
per distormi dalla disperazione”.
LA POETICA DELL’UMORISMO
L’elaborazione della poetica dell’umorismo avviene tra il 1904 (anno in cui pubblica “Il Fu Mattia
Pascal”) e il 1908 (anno in cui esce il saggio “L’umorismo”).
Il saggio “L’umorismo” ha una dedica al romanzo “Il Fu Mattia Pascal”: Alla buon’anima di Fu
Mattia Pascal.
Nel 1908 Pirandello considera l’umorismo una caratteristica perenne dell’arte. Questa poetica è
presentata anche nelle due Premesse de “Il Fu Mattia Pascal”, ma qui l’umorismo è collegato
strettamente alla nascita della modernità e in particolare alla scoperta di Copernico (fine
dell’antropocentrismo).
In generale, parlando di umorismo, Pirandello oscilla sempre tra:
Una visione ontologica (che viene espressa ne “L’umorismo”), considerato come una
possibilità perenne dell’uomo;
Una visione storica (che viene espressa ne “Il Fu Mattia Pascal”), derivante da particolari
condizioni che hanno posto in crisi le antiche certezze.
Infatti, parlando di uomo, Pirandello vede:
Da un lato, un limite ontologico dell’uomo, che da sempre vive in un mondo privo di senso
e che tuttavia si crea una serie di autoinganni e illusioni per dare un senso all’esistenza;
Dall’altro, egli vede nella caduta dell’antropocentrismo tolemaico e nell’affermazione del
pensiero copernicano la nascita di quel malessere, tipico della modernità, che induce alla
percezione della relatività di ogni fede, valore e ideologia e all’intuizione che quest’ultimi
siano solo autoinganni, utili per sopravvivere ma del tutto mistificatori.
Ne “L’umorismo”, Pirandello distingue:
LA COMICITÀ L’UMORISMO
“avvertimento del contrario” “sentimento del contrario” .
Suscita il riso, perché il lettore avverte Non è qualcosa di immediato: noto che
che ciò che legge è il contrario di quello ciò che sto leggendo è l’opposto di quello
che dovrebbe essere. che dovrebbe essere e rifletto su quali
possono essere le cause di questo
cambiamento. Quindi l’umorismo nasce
da una riflessione e suscita un sentimento
di pietà e compassione.
Esempio: se vedo una vecchietta
impellettata: ciò suscita prima il riso
(avvertimento del contrario), però se
rifletto su quali possono esserne le cause,
ciò mi induce a pensare che lei abbia un
marito più giovane e che voglia farsi bella
per lui.
N.B.: nella scheda di Don Abbondio, si riscontra che questo è un personaggio che inizialmente
fa sorridere il lettore, ma può far provare anche rabbia. Ma chi al posto di Don Abbondio si
comporterebbe diversamente.
L’umorismo pirandelliano non è solo una poetica; è anche l’espressione coerente del pensiero e
della cultura del RELATIVISMO FILOSOFICO, che affonda le radici in Schopenhauer e in Nietzsche.
Vengono messi in discussione il positivismo e le ideologie romantiche. Entrano in crisi sia
l’oggettività (del Positivismo) che la soggettività (del Romanticismo), e il concetto di verità viene
messo in discussione.
La poetica dell’umorismo nasce da una riflessione sulla modernità. La contrapposizione tra arte
umanistica e arte epico e tragica, di cui si parla ne L’umorismo, deriva dalla constatazione che
nella modernità la poesia fondata sul tragico e sull’eroico non è più possibile. Le categorie di bene
e di male su cui si basavano la tragedia e l’epica, sono infatti venute a mancare. L’umorismo non
propone valori, né eroi che ne siano portatori, ma un atteggiamento esclusivamente critico-
negativo e personaggi problematici e dunque inetti nell’azione pratica. Ciò mette in rilievo le
contraddizioni e le miserie della vita, irridendo e compatendo nello stesso tempo.
LETTERATURA UMORISTICA scompone e mostra le contraddizioni della realtà
LETTERATURA EPICO-TRAGICA compone e idealizza la realtà
L’arte umoristica sottolinea il contrasto tra:
VITA FORMA
Essa è dinamica. È movimento, fluire,
istinto, pulsioni, una forza oscura e Ciò che cristallizza e paralizza la vita. Sono le
profonda che punta a vivere ogni leggi civili, le varie convenzioni della società
momento al di fuori delle convenzioni che impone dei ruoli. Essa è costituita dagli
(forma) che la società impone. La vita autoinganni che l’uomo crea per credere che
riesce a erompere da questa situazione la vita abbia un senso e perciò organizza
solo saltuariamente nei momenti di l’esistenza secondo convenzioni, riti,
malattia o di sosta, di notte o negli istituzioni che devono rafforzare in lui tale
intervalli in cui non siamo coinvolti nel illusione.
meccanismo dell’esistenza: la forma
tende a esplodere e a riacquistare il suo
divenire. La vita diventa così un violino
fuor di chiave (stonato nel concerto della
società). Questo fluire di breve durata,
poi va intrappolato in una nuova forma.
Il soggetto, costretto a vivere nella forma, non è più una persona, ma si riduce a una maschera (o
a un personaggio) che recita la parte che la società esige da lui. Proprio per questo nell’arte
umoristica non sono possibili né “persone” né ”eroi”, ma solo “maschere” o “personaggi”. Il
termine personaggio non viene usato da Pirandello nell’accezione comune, perché per lui, tutti gli
uomini sono maschere che recitano una parte.
PERSONA MASCHERA/PERSONAGGIO
Cosciente di sé e moralmente autonoma. Rappresenta il soggetto che recita una
Rivoluzione semantica dal latino: nella favola parte/ruolo assegnato dalla società o che lui
“La volpe e la maschera tragica” di Fedro, sceglie in base ai propri valori. Il personaggio
l'autore usa il termine maschera per indicare la non è coerente, solido, unitario, perché non è più
persona. una persona.
Ha davanti a sé due strade:
MASCHERA si adegua passivamente ai
1.
valori e alle convenzioni.
2. MASCHERA NUDA: vive in maniera
consapevole (amara e autoironica) la scissione
tra vita e forma. Consapevole degli autoinganni
propri e altrui, ma non è in grado di superarli.
Sceglie di vivere fuori dalla vita, si condanna a rientrare in Mattia Pascal, ma non ha una forma
una condizione di autoesclusione. Tra questi da e guarda vivere.
ricordare è Il Fu Mattia Pascal che decide di
3. La riflessione, la fine dell'immediatezza vitale, l'estraneazione da sé e dagli altri diventano
la sua marca esistenziale. Chi si guarda vivere, si pone fuori dall'esperienza vitale; guarda da fuori e
compatisce non solo gli altri ma se stesso. Questo distacco riflessivo, amaro, pietoso e ironico
insieme, è il segno distintivo dell'umorismo.
L'ARTE EPICA “COMPONE”, QUELLA UMORISTICA “SCOMPONE” (pag. 678-679)
Pirandello contrappone “l'arte in genere” (tradizionale) all'arte umoristica: la prima idealizza la
realtà, la seconda ne mostra le contraddizioni. Per spiegare ciò, l'autore fa l'esempio dell'arte
tragica e di quella epica, che tendono alla composizione, mentre quella umoristica mira alla
scomposizione, ponendo in primo piano non l'aspetto costruttivo e propositivo, bensì quello critico
e negativo. A differenza dell'epica, l'arte umoristica “non riconosce eroi” e demistifica i miti e le
leggende, perché creano personaggi che per gli umoristi non possono esistere. L'umorista sa che
ciascun uomo ha dentro di sé “quattro, cinque anime in lotta fra loro”.
LA FORMA E LA VITA (pag. 679-680) (non lo mette nel programma)
La vita è un flusso continuo che noi cerchiamo di arrestare, di fissare in forme stabili e determinate,
dentro e fuori di noi, perché noi già siamo forme fissate, forme che mi muovono in mezzo ad altre
immobili […].
In certi momenti tempestosi, investite dal flusso, tutte quelle forme fittizie crollano miseramente; e
anche quello che non scorre sotto gli argini e oltre i limiti, ma che si scopre a noi distinto e che noi
abbiamo con cura incanalato nei nostri affetti, nei doveri che ci siamo imposti, nelle abitudini che ci
siamo tracciate, in certi momenti di piena straripa e sconvolge tutto.
Pirandello sottolinea qui non l’assurdità della vita, ma la forza vitalistica, soffocata dalla rigidità
delle convenzioni. Attraverso la metafora del flusso delle acque, l’autore definisce quello che è
spesso l’oggetto delle sue opere: il cedere delle forme sotto l’impeto della vita.
LA DIFFERENZA TRA UMORISMO E COMICITÀ: L’ESEMPIO DELLA VECCHIA IMBELLETTATA (pag.681)
Pirandello dà grande importanza al momento della riflessione. Questo serve a passare dall’
avvertimento del contrario, proprio del comico, al sentimento del contrario, proprio
dell’umoristico. Grazie a questo sentimento, se si riflette sulle ragioni per cui una vecchia si
imbelletta come se fosse una giovinetta, si può giungere a compatirla amaramente. (Ricorda la
scheda su Don Abbondio)
LA SIGNORA FROLA E IL SIGNOR PONZA SUO GENERO
La signora Frola e il signor Ponza, suo genero è una novella con taglio umoristico e ambientazione
realistica. Il significato è riassumibile in poche frasi: due persone sconosciute giunte in un paese,
Valdana, sostengono due opposte verità su una terza persona, una giovane donna. Secondo la
signora Frola, la donna è sua figlia mentre il marito, impazzito, la crederebbe la sua seconda
moglie; secondo il signor Ponza la donna è la sua seconda moglie ma la signora Frola, impazzita, la
crederebbe sua figlia, che in realtà sarebbe morta. La gente del paese non ha alcun elemento per
poter dire chi sia il folle e chi dica la verità. L’unica depositaria della verità è la moglie del signor
Ponza, ma lei non si esprime.
La tesi sviluppata da Pirandello riguarda l'impossibilità di stabilire la verità. Questa tesi è
ulteriormente chiarita nell'opera teatrale tratta dalla novella, Così è, se vi pare, composta nel
1917, in cui nel finale la donna che potrebbe risolvere l'enigma viene fatta entrare in scena. Ella
dichiara: "Io sono colei che mi si crede", rivelando così di essere una sorta di allegoria della verità
(principio del relativismo).