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Sintesi

Tesina - Premio maturità  2008

Titolo: Pier paolo pasolini

Autore: Silvia Bolzan

Descrizione: il percorso verte sull'indagine di pasolini riguardo i comportamenti istintuali dell'uomo: si è dunque preso in considerazione il libro ragazzi di vita, i film edipo re, medea e salò.

Materie trattate: italiano, storia, greco, latino, filosofia,

Area: umanistica

Sommario: Il percorso verte sull'indagine di Pasolini riguardo l'uomo e i suoi atteggiamenti nella società , a questo proposito è stato preso in considerazione il romanzo Ragazzi di vita in cui l'autore descrive il mondo delle borgate romane da cui è affascinato e la sua attenzione si focalizza in particolare sui ragazzi che seguono i loro istinti ed impulsi. Il tema centrale, ovvero l'indagine degli impulsi che guidano l'uomo, si ritrova in alcuni suoi film quali Edipo re (vicenda tratta dall'omonima tragedia di Sofocle) e Medea (tratta dalla tragedia di Euripide): il primo film è centrato sul dramma di Edipo il quale diventa, per volere del Fato, patricida e marito di sua madre. Nel secondo film vi è il tema della vendetta e del furore che porta la protagonista, Medea, ad essere l'assassina dei suoi stessi figli. Nell'ultima fase della produzione cinematografica di Pasolini, soprattutto in Salò o le 120 giornate di Sodoma, la critica della società  è molto esplicita e provocatoria: il regista-scrittore mette in evidenza, infatti, fino a che punto gli uomini possono spingersi seguendo i propri istinti. Si è infine concluso con il pensiero del filosofo Schopenhauer, secondo il quale alla base delle azioni e dei comportamenti umani ci sarebbe una volontà  inconscia ed irrazionale, comune a tutti gli esseri viventi.

Estratto del documento

Dopo il processo Pasolini si trasferì a Roma con la madre conducendo una

vita d’estrema indigenza e difficoltà per l’esclusione di cui si sentiva

vittima.

Affascinato dal vitalismo dei ragazzi di borgata romani, di cui lo colpì il

coraggio, il senso dell’avventura e la

capacità di vivere alla giornata, scrisse due romanzi: Ragazzi di Vita ’55 e Una

vita violenta ’59, in cui utilizzò

un linguaggio di sua invenzione a metà tra gergo e dialetto.

Nei due romanzi principali i protagonisti sono i giovani di borgata, un

mondo di borgata descritto con

precisione documentaria e con amore spassionato. Pasolini era rimasto

affascinato dalla carica anarchica di

questi ragazzi di vita, dal loro abbandonarsi agli istinti e agli impulsi, dalla

loro capacità a sottrarsi ad ogni

regola di comportamento ufficiale.

L’originalità di queste opere lo pose al centro dell’attenzione del mondo

intellettuale, ma i contenuti gli

valsero un processo per pornografia, da cui uscì con il ruolo di provocatore

nel bene e nel male. Nel ’57

pubblicò Le ceneri di Gramsci, una raccolta di undici poemetti composti tra il

’51 e il ’56 in cui esprime il

tentativo di comporre il dissidio, che l’autore nel suo intimo avverte

lacerante, tra l’attaccamento alla

tradizione culturale, alle suggestioni e agli allettamenti dell’ambiente sociale

da cui proviene da una parte , e

l’adesione alla lotta di classe quale strumento di riscatto per le masse popolari

dall’altro.

Tra il ’57 e il ’61 scrisse anche undici sceneggiature cinematografiche. Fra i

film più famosi si ricordano: Edipo

Divenivano intanto sempre più frequenti i suoi interventi di denuncia contro

il carattere

disumano della nostra società.

Egli distinse lo sviluppo dal progresso, considerando il primo legato al potere

economico e causa del consumismo, cioè della produzione di beni superflui;

il secondo

quale elemento necessario alla produzione dei beni necessari. Accusò quindi

il

consumismo di aver causato la omologazione delle masse, vale a dire l’ottusa

uniformità

degli uomini al di là dei caratteri della classe sociale di appartenenza.

Trovò tragica morte nel 1975 per mano di uno di quei “ragazzi di vita” da lui

studiati

con umana simpatia e in uno squallido paesaggio di borgata romana non

dissimile da quelli usati nei suoi stessi

film e romanzi.

Ragazzi di vita (1955)

Il romanzo, uscito nel ’55, è ambientato nella Roma del II dopoguerra,

racconta le giornate trascorse alla

ricerca di soldi e passatempi di giovani ragazzi che vivono ammassati in

edifici desolanti. Sono personaggi

emarginati dalla città normale e rispettabile, non integrati in un contesto

sociale di lavoro o scuola: la strada è

il loro spazio e la loro scuola. Una delle sensazioni più immediate, durante la

lettura, è che si stia assistendo

alla storia di adolescenti che non sono mai stati bambini. In loro non c'è la

voglia di giocare innocentemente,

nessuno di loro è ingenuo; l'unico ad avere qualcosa in comune con la figura

del bambino, Marcello, muore

quasi subito, proprio nel momento in cui va a cercare il Riccetto, suo

migliore compagno di avventure.

La spacconeria e la spavalderia dei giovani che nutrono la speranza in un

domani migliore si scontra con la

rassegnazione spesso tradotta in rabbia degli adulti e in oltre spesso l'autore

fa risaltare il fatto che ognuno

dietro alla maschera dura e necessaria per non sentirsi inferiore a nessuno,

anzi superiore, celi in realtà

difficoltà comuni a tutti e tanti piccoli problemi personali (le frustate vere o

presunte di Amerigo, la violenza

del padre di Genesio, la morte dei genitori del Riccetto, ecc…).

L'unica vera protagonista di "Ragazzi di vita" è la borgata romana, la periferia

della capitale dentro e attorno

alla quale si snodano tutte le piccole e grandi vicende dei giovani borgatari

che vivono alla giornata, senza

pensare al domani, immersi nella loro povertà, vissuta comunque con

orgoglio, senza rassegnazione, e con la

speranza di "azzeccare il colpo giusto" grazie alle capacità superiori a quelle

degli altri che ognuno crede di

avere.

Il testo Pasolini non si sofferma ad analizzare i pensieri e i sentimenti dei

personaggi, ma in genere tende a

descrivere dettagliatamente le loro azioni. A questo discorso si può forse

legare il fatto che questi ragazzi di

vita siano sboccati e volgari, violenti e usino sempre un tono di voce molto

alto, quasi come fanno i neonati,

sì a causa della loro ignoranza, ma forse anche per distogliere la propria

attenzione da un'analisi interiore di se

stessi, e per chiedere inconsciamente aiuto ad un qualcuno che sia disposto

ad abbandonare le proprie

difficoltà e i propri problemi quotidiani per decidersi ad ascoltarli veramente

e ad occuparsi anche della loro

solitudine interiore.

L’Edipo re di Sofocle

Trama: A Tebe, dove regna Edipo, scoppia una pestilenza e per debellarla i

■ sudditi chiedono aiuto al sovrano, il quale ha già inviato Creonte, il

cognato, a interrogare l’oracolo di Apollo. Il responso dice che per

sconfiggere il morbo che sta devastando la città si deve individuare ed

esiliare l’assassino del precedente re di Tebe, Laio. Edipo si mette subito

alla ricerca dell’omicida ma ciò lo condurrà a scoprire una verità terribile:

ad uccidere Laio è stato proprio lui stesso. A questo punto la narrazione

ritorna indietro a narrare i fatti avvenuti precedentemente il regno di

Edipo, ed è da qui che inizia il film dello stesso Pasolini: Edipo infatti era

stato allevato a Corinto dal re Polibio e da sua moglie, che perciò

considerava suoi genitori, non sapendo che in realtà il suo vero padre

avesse ordinato di ucciderlo dopo la sua nascita, temendo che si compisse

una profezia che voleva il figlio destinato ad ucciderlo e a sposare la sua

stessa madre, e che solo la pietà di un pastore l’avesse salvato da una

morte certa. Da Corinto Edipo si era subito allontanato quando venne a

conoscenza del suo destino: durante il suo cammino però si imbattè in

Laio e in seguito ad una lite scoppiata tra i due, Edipo lo uccise. Sconfitta

poi la sfinge, egli aveva ottenuto dai Tebani il regno e le nozze con

Giocasta, la vedova di Laio, e così si era compiuto anche il profetizzato

incesto. La verità viene pian piano a galla grazie all’indovino Tiresia, ma è

in un primo tempo rifiutata da Edipo. Poi l’interrogatorio all’unico

sopravvissuto della strage in cui aveva perso la vita Laio, e poi del servo

incaricato di ucciderlo quand’era ancora neonato, convincono Edipo della

tremenda realtà. Giocasta, la mogli-madre di Edipo, intuisce tutto prima

del figlio-marito e si impicca. Edipo si acceca poi con uno spillone del

vestito di Giocasta e si avvia ad un volontario esilio.

In questa tragedia Sofocle ribadisce la propria pessimistica visione

dell’esistenza; Edipo rappresenta l’essere

che la divinità ha voluto gravare dei mali e delle colpe più terribili: il suo è un

destino inevitabile di parricida

e incestuoso, anche se vi cerca in tutti i modi di sfuggire.

La vicenda di Edipo serve da monito a tutti, perchè tutti temano la divinità,

perchè non facciano facili

previsioni su di sé e meditino sull’antico precetto in base al quale, prima di

dire che qualcuno è felice bisogna

attendere la fine della sua vita (vv.1524-1530):

O cittadini di Tebe, patria mia, guardate questo Edipo,

Che conosceva gli enigmi famosi ed era il più valente tra gli uomini,

Né alcuno tra i cittadini poteva considerarne senza invidia la sorte,

A quale flutto di tremenda sciagura è giunto.

Onde non si stimi felice nessun mortale guardando al mondo estremo

Prima che abbia trascorso il termine di vita senza avere sofferto nulla di doloroso.

C’è un profondo senso religioso in tutta la vicenda ovvero che l’uomo può si

imparare a decifrare gli enigmi

e a dominare il dubbio (la Sfinge) con la ragione ma non potrà mai imparare

a sottrarsi al proprio destino.

La psicanalisi di Freud ha dato il nome di Edipo per designare un complesso,

cioè un’inconscia situazione

psicoemotiva che si crea nel bambino ancora neonato, la cui caratteristica è

Pier Paolo Pasolini riprende il tema della tragedia di Sofocle per

approfondire il tema sulla condizione

Interiore dell’uomo, l’intento autobiografico è evidente soprattutto nella

scelta dell’ambientazione iniziale e

finale del film (Bologna, città natale dello scrittore) ma anche e soprattutto si

nota nella scelta del tema del

film: Pasolini si concentra in particolare sul rapporto incestuoso di Edipo e

sul profondo senso di colpa del

protagonista.

“Questo è ciò che di Sofocle mi ha ispirato: il contrasto tra la totale innocenza e l’obbligo del

sapere”, dice Pasolini a

Edipo re. “Non è tanto la crudeltà della vita che determina i

commento del suo E aggiunge:

crimini, quanto il fatto

che la gente non tenta di comprendere la storia, la vita e la realtà.”

Alla fine della tragedia e del film Edipo si acceca, questo gesto ha una doppia

valenza: da un lato è simbolo di

“autoevirazione” (dato anche il noto legame della psicanalisi tra occhi e

genitali maschili) ma anche

simboleggia l’incapacità dell’uomo contemporaneo di “vedere” – e di

sforzarsi di comprendere – le situazioni

in cui si trova, situazioni per molti versi drammatiche e terribili.

Il suo vagare in un paesaggio desertico, in totale assenza di rapporti umani,

senza che pronunci alcuna parola

soprattutto senza una meta che non sia quella che il “destino” stesso gli indica

ineluttabilmente, dà il senso

preciso di questo estraniamento, di questa tremenda, assoluta mancanza di

Edipo re (1967)

In questo film del ’67, Pasolini si

concentra soprattutto

sul sentimento di colpa del

protagonista e sulle sue

azioni inconsce determinate da un

destino ineluttabile.

Egli con Edipo re inizia a percorrere,

continuata nei suoi

lavori successivi, la via di una denuncia

contro la società

e soprattutto contro i comportamenti

degli uomini

sempre più aperta, provocatoria e priva

di intenti

giustificatori, che avrà la sua massima

espressione nella

rappresentazione delle atrocità di Salò.

Pasolini conosce la realtà e conosce

anche il mutamento

dei comportamenti e della mentalità

dell’uomo del suo

tempo, sente quindi come suo compito

morale, civile e

politico, di dover “risvegliare” i suoi

contemporanei

affinché non diventino "ciechi“ come

La Medea di

Euripide

Trama: dopo alcuni anni di serena convivenza trascorsi a Corinto

■ con Medea, Giasone decide di interrompere il suo legame con lei

per sposare Glauce, figlia di Creonte, re della città. Creonte,

conoscendo il carattere vendicativo di Medea, vorrebbe esiliarla

ma, convinto dalle sue preghiere, le concede di rimanere in città

per qualche altro giorno. Il tempo necessario alla maga di ideare

una tremenda vendetta verso Giasone, con cui ha una violenta

conversazione (infatti l’ex compagno le ha confermato

l’irrevocabile decisione delle nuove nozze): in primo luogo,

fingendo di dare ragione all’ex compagno, invia alla novella sposa,

tramite i suoi due bambini, un peplo e un diadema, entrambi

avvelenati. Una volta indossati, l’ingenua Glauce muore tra atroci

tormenti e con lei il padre che era venuto a soccorrerla; la sua

morte però non placa il furore di Medea. Ella infatti troverà la

forza per compiere la sua vendetta fino in fondo, uccidendo i due

figli avuti da Giasone, i cui cadaveri porterà con sé, in fuga sul

carro del Sole, togliendo all’odiato padre anche i corpi su cui

piangere e il conforto di dar loro sepoltura.

La tragedia di Euripide si può suddividere in due parti: nella prima il

desiderio di vendetta è già molto forte

ma non vi è un obiettivo preciso, vi è solo l’idea della vendetta; nella seconda

parte invece l’oggetto del

furore di Medea è perseguitato con lucida e gelida consapevolezza.

In questo dramma Euripide scava a fondo, arriva agli abissi più profondi

dell’animo umano e soprattutto penetra nella psicologia come mai era

avvenuto nella civiltà greca. Medea infatti appare come una donna

consapevole delle discriminazioni femminili in una società greca arcaica e

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