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Il motivo per cui ho scelto questa frase e, di conseguenza, la figura di Pasolini e il concetto di mutazione antropologica per lo sviluppo della mia tesina non riguarda una particolare ideologia. Al contrario, è stato leggendo questa frase in un sito internet che ho riconosciuto parte del mio carattere in questa affermazione. L’ indipendenza di cui parla Pasolini, per quanto mi riguarda, riflette molto il mio carattere e in particolare la mia tendenza a non condividere i pensieri o le opinioni con chi mi circonda. Da una parte, questa mia propensione verso la solitudine e la riflessione in privato mi ha dato forza, in quanto mi ha permesso di non essere influenzata dall’ambiente che mi circonda. Questo ambiente,infatti, mentre a volte ha saputo offrirmi ottime opportunità, altre ha tentato di portarmi sulla strada sbagliata. E’ stato proprio grazie al mio carattere indipendente ( unito all’educazione familiare e scolastica) che ho saputo rimanere me stessa. Dall’altra però mi ha portato a sentirmi sola. Questo perché, a causa della mutazione antropologica di cui parla Pasolini, le persone riflessive, che amano pensare in privato innamorandosi della cultura, stanno scomparendo,e molte volte mi sono trovata a non essere capita, riconoscendomi come una persona diversa dal resto. Il motivo per cui ho voluto approfondire questo aspetto, quindi,è del tutto personale. Naturalmente l’indipendenza di cui parla Pasolini è molto differente dalla mia, ma leggendo questa frase ho trovato qualcuno che, guardando al suo carattere, si sentiva nel mio stesso modo,e per questo ho voluto approfondire la sua figura.
Sono quindi questi i motivi che mi hanno spinta a sviluppare la mia tesina di maturità su questi argomenti.
Italiano - La mia provocatoria indipendenza: Testo tratto dalla rubrica “Il Caos” e le motivazioni che hanno spinto Pasolini a scriverlo; la vita di Pasolini, la sua carriera, le tre fasi che la compongono e il rapporto con il giornalismo.
Antropologia- Il concetto di mutazione antropologica: Significato e confronto con Eliot e Montale.
Sociologia - La dimostrazione delle teorie di Pasolini attraverso gli studi di sociologia.
Introduzione:
Il motivo per cui ho scelto questa frase e, di conseguenza, la figura di Pasolini e il concetto di
mutazione antropologica, non riguarda una particolare ideologia. Al contrario,è stato leggendo
questa frase in un sito internet che ho riconosciuto parte del mio carattere in questa affermazione.
L’ indipendenza di cui parla Pasolini,per quanto mi riguarda,riflette molto il mio carattere e in
particolare la mia tendenza a non condividere i pensieri o le opinioni con chi mi circonda. Da una
parte, questa mia propensione verso la solitudine e la riflessione in privato mi ha dato forza ,in
quanto mi ha permesso di non essere influenzata dall’ambiente che mi circonda. Questo
ambiente,infatti, mentre a volte ha saputo offrirmi ottime opportunità, altre ha tentato di portarmi
sulla strada sbagliata. E’ stato proprio grazie al mio carattere indipendente ( unito all’educazione
rimanere me stessa. Dall’altra però mi ha portato a sentirmi
familiare e scolastica) che ho saputo
sola. Questo perché, a causa della mutazione antropologica di cui parla Pasolini, le persone
riflessive,che amano pensare in privato innamorandosi della cultura, stanno scomparendo,e molte
volte mi sono trovata a non essere capita,riconoscendomi come una persona diversa dal resto.
Il motivo per cui ho voluto approfondire questo aspetto, quindi,è del tutto personale.
Naturalmente l’indipendenza di cui parla Pasolini è molto differente dalla mia, ma leggendo questa
frase ho trovato qualcuno che,guardando al suo carattere,si sentiva nel mio stesso modo,e per questo
ho voluto approfondire la sua figura. 3
Questa frase si trova all’interno di un brano intitolato “La mia provocatoria indipendenza”
pubblicato l’11 Gennaio 1969, nel secondo numero della rubrica “Il Caos”. Questa rubrica viene
curata dallo stesso Pasolini nel settimanale “ Il Tempo” a partire dal 1968.
Testo:
Pier Paolo Pasolini
LA MIA PROVOCATORIA INDIPENDENZA
Quando queste pagine usciranno, cioè nella prima settimana del 1969, forse io avrò cambiato
umore, e la stessa situazione mi si presenterà sotto un diverso segno. Si tratta della mia situazione, e
il segno sotto cui ora mi si presenta è quello del terrore. Scrivo queste righe in uno di quei momenti
in cui forse sarebbe necessario tacere. Anche perché un artigiano sa bene che il suo oggetto non può
essere costruito con le mani tremanti. Infatti, mi tremano le mani.
Non c'è nessuna ragione precisa che giustifichi questo mio tremare, questo mio sentirmi come una
bestia braccata, che ha perso ogni dignità, e si irrigidisce nello scrivere un pezzo settimanalmente
obbligatorio per un giornale. Ci sono delle ragioni impalpabili, e in fondo quotidiane. Tuttavia, c'è
in esse un sapore, che io ben conosco... Le elenco: 1) la questura non ha dato ancora il permesso di
ritirare le copie sequestrate di « Teorema »*. Il mio produttore, Franco Rossellini, è disperato. Ciò è
per lui di un danno incalcolabile. Il lettore non è tenuto a saperlo, e può pensare: « Son cose che
succedono ai produttori, che del resto se le meritano... ». Fatto sta che le vendite all'estero e le
conseguenti uscite son tutte bloccate; e che quindi la situazione economica è disastrosa per un
giovane produttore che non ha altre carte da giocare. Perché non viene dato il permesso di
dissequestrare il film e rimetterlo in circolazione? Non è stato assolto? Non abbiamo fatto salti di
gioia quando abbiamo saputo la sentenza del tribunale di Venezia? Sono quattro mesi che il film è
in quarantena; un'intera stagione. Nel frattempo un altro film è stato denunciato, sequestrato,
giudicato, assolto, dissequestrato e rimesso in circolazione; in una quindicina di giorni. « Teorema »
è ancora allo stesso punto. Il confronto rende chiaro che si tratta, nei miei confronti, di una precisa
volontà di persecuzione (ecco fatta la terribile parola): e se questa volontà c'è, che cosa mi aspetta
ancora? E se c'è, dov'è? In quale settore del Potere? Chi io offendo particolarmente e con chi mi
misuro? (Come il lettore vede, si tratta di una situazione che, se appena un po' metaforizzata,
diviene quella tipica dei personaggi di Kafka). Sono qui, come un verme schiacciato, che mi
dibatto, e non so chi mi ha schiacciato, e chi vuole schiacciarmi ancora. Ora, questo discorso non lo
farei, se io appartenessi a una regolare « opposizione », appartenessi alle file dei « nemici del potere
»: invece, anche lì, sono un irregolare. Anche nel « potere contrario al potere », ci sono dei settori
(altrettanto oscuri e imprecisabili) che cercano volontariamente di colpirmi, di eliminarmi...
(continua la terminologia delle sindromi persecutorie: da cui, però, io non sono oggettivamente
affetto).
Infatti: 2) ho saputo dal mio stesso produttore che un amico autorevole, una specie di mago, gli ha
detto: « Ma sì, ma sì, è inutile aiutare Pasolini, tanto prima o poi lo metteranno in prigione. Lui non
li sa fare i film, che faccia lo scrittore ». È una boutade ma terrorizzante, per chi si ricorda che
quella stessa persona, potente e magica, una decina di anni fa gli aveva detto: « Stai attento, sei
pedinato, vogliono farti del male », e sono seguiti poi tutti i processi atroci, che mi hanno torturato
fino a due o tre anni fa. 3) Io volevo fare a tutti i costi un film sulla vita di San Paolo, da anni. La
sceneggiatura era già pronta. La fantasia già in moto, disperatamente. Ora non posso più farlo. Non
dico come e perché. 4) Ho saputo per caso stamattina, da una persona che mi dà sempre brutte
notizie, che un regista (appartenente all'intelligenza dell'opposizione) mi ha violentemente attaccato.
Non è che un ennesimo attacco: ma c'è sempre l'attacco che va al di là della sopportazione, proprio
per un puro e semplice fatto numerico. Una certa quantità di dispiacere può essere sopportata: oltre
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un certo limite non può più essere sopportata.
Ora, all'inizio di un nuovo anno (il caso vuole che questo esame della mia situazione coincida con
l'inizio di un nuovo anno) che cosa devo propormi di fare? Io sono completamente solo. E, per di
più nelle mani del primo che voglia colpirmi. Sono vulnerabile. Sono ricattabile. Forse, è vero, ho
anche qualche solidarietà: ma essa è puramente ideale. Non può essermi di nessun aiuto pratico. È
chiaro che, nella lotta contro il potere, bisogna opporre una certa forma di potere: se non altro come
prestigio. In questo momento, grazie a Dio, mi aiuta, in tal senso, miserando, il successo delle mie
opere all'estero: « Edipo Re » in Francia, « Teorema » in Germania, « Una vita violenta » e così
« Teorema » libro in Inghilterra, ecc. È tremendo dire, pubblicamente, queste cose: ma si tratta di
fare calcoli meschini, per vedere come preventivare una certa sicurezza contro meschine ma atroci
« persecuzioni ». Fatti questi calcoli, se tornano, potrò conservare la mia indipendenza: la mia
provocatoria indipendenza. È questa infatti (molto più che l'invidia, per non so che miei eccessivi
successi, per non so che mia capacità di lavoro - come mi dicono gli amici - ma io non so
immaginare l'invidia come qualcosa di reale, qualcosa da prendere in considerazione) che fa nascere
contro di me tante ostilità. La mia indipendenza, che è la mia forza, implica la solitudine, che è la
mia debolezza. Odio - come ho tante volte detto - l'indipendenza politica. La mia è quindi una
indipendenza, diciamo, umana. Un vizio. Non potrei farne a meno. Ne sono schiavo. Non potrei
nemmeno gloriarmene, farmene un piccolo vanto. amo invece la solitudine. Ma essa è pericolosa. di
essa potrei fare gli elogi, e cullarmi nella gioia che mi proviene nel farne indefinitamente gli elogi.
Forse è una nostalgia della perfetta solitudine goduta nel ventre materno. Anzi, sono quasi certo che
è questo. Ma ditemi voi, come può, un feto, vivere tra gli adulti? Avrei potuto, agli inizi di un anno,
disegnarmi un programma di lotta ideologica, oggettivamente coraggiosa (come del resto, più o
meno, oggettivamente, sarà). Ma in cosa consiste il coraggio di una lotta ideologica, poi?
Rinunciare a qualche guadagno? Dover pagare gli avvocati? Rischiare qualche mese di prigione?
Qualche accusa infamante? Qualche persecuzione ricattatoria e razzistica? Sì, è tutto qui. ripeto,
non c'è poi molto da gloriarsi. Sono semplicemente i diritti di un'esistenza che vanno a farsi
benedire. Ma in cose come queste consistono poi le vere tragedie.
Scusami, paziente lettore, per questi stupidi lamenti.
In: « Tempo », n. 2, a. XXXI, 11 gennaio 1969
*Teorema: Il film si sviluppa intorno alle vicissitudini di una famiglia di un industriale milanese
scossa dall'arrivo di un enigmatico ospite, un giovane venticinquenne silenzioso e affascinante. Il
visitatore ottiene le grazie della moglie, ha rapporti erotici con la figlia, il figlio, la domestica e con
lo stesso capofamiglia.
Il contatto sessuale ed intellettuale con il giovane fa prendere coscienza agli abitanti della casa della
vanità della propria esistenza e della propria vera natura. Quando il misterioso viaggiatore ripartirà
tutto sarà cambiato: la madre si concede sessualmente a vari giovanotti, la figlia diventa catatonica,
il figlio abbandona la famiglia e si mette a dipingere, il capofamiglia lascia la fabbrica agli operai, si
denuda nella stazione di Milano e si perde nel deserto. 5
Il motivo che spinge Pasolini a scrivere questo intervento è la rabbia. Egli stesso lo ammette
scusandosi numerose volte con il lettore.
Questa rabbia è causata da quattro avvenimenti particolari,che egli elenca in modo molto chiaro.
E’ proprio grazie alla descrizione di questi avvenimenti che Pasolini si rende conto di essere
continuamente attaccato come persona e ostacolato nel suo lavoro.
Tuttavia,il fatto che più lo sconforta è che ad attaccarlo sono intellettuali appartenenti ad
“ intelligenze dell’opposizione” quindi personalità autorevoli che,come Pasolini, si battevano
contro l’omologazione compiuta dal potere.
Egli capisce di essere diverso anche all’interno degli oppositori,quindi solo.
E’ proprio attraverso la frase da me scelta che Pasolini enuncia la sua principale caratteristica : la
sua solitudine è causata dalla sua indipendenza. Indipendenza intesa non in senso politico,come egli
sottolinea, ma in senso umano, una sorta di vizio, di dipendenza.
che più che l’invidia è proprio la sua indipendenza e la sua diversità che lo rendono
Pasolini capisce
bersaglio di critiche,facendo nascere nei suoi confronti tanta ostilità.
Questa indipendenza è per lui un’arma a doppio taglio.
Da una parte ne individua le cause (ovvero la nostalgia della perfetta solitudine goduta nel ventre
materno) esaltandone la forza, dall’altra capisce che l’indipendenza e la solitudine sono
atteggiamenti pericolosi per un uomo adulto. Solo un feto nel ventre materno vive serenamente da
solo, un uomo adulto, invece,costretto a relazionarsi con gli altri, vive la sua solitudine come una
debolezza. Questa debolezza è visibile in Pasolini nella continua ricerca del rapporto con il
lettore,rapporto che non perderà mai anche se i mezzi utilizzati per ottenerlo cambieranno nel corso
della sua vita passando attraverso poesia,narrativa,cinema e giornalismo.
Il concetto di mutazione antropologica viene elaborato da Pasolini a partire dal 1960,periodo in cui
avviene un svolta nel suo pensiero,causata dalla nascita del boom economico che determina la
formazione di una società consumistica,padroneggiata dai mass media. Pasolini capisce che sta
avvenendo una vera e propria”mutazione antropologica” ovvero una scomparsa delle culture
in Italia con la Seconda rivoluzione Industriale. L’Italia rurale è
popolari alternative,realizzata
scomparsa, mentre il sottoproletariato urbano (quello delle borgate,narrato nel romanzo Ragazzi di
vita) ha rinunciato a qualsiasi tipo di antagonismo di classe e a ogni identità propria,e adesso guarda
agli stessi modelli della borghesia. Cambia il modo di vestire,di parlare,di gesticolare e di