Concetti Chiave
- Nel 960, il Placito capuano documenta una causa legale in cui l'abate Aligerno accusa Rodelgrimo di Aquino di occupazione indebita di terre del monastero di Montecassino.
- Il documento è ufficialmente in latino, ma include testimonianze in volgare per garantire comprensione a tutte le parti coinvolte nel processo.
- Il volgare usato nel Placito mostra caratteristiche linguistiche della regione campana, come la mancanza di dittongazione e la perdita della -u- nella labiovelare.
- La parola "Sao" nel testo è un esempio del volgare dell'epoca, oggetto di studio per il suo sviluppo e costruzione analogica con altre parole.
- La disglossia nel documento sottolinea l'uso del latino per formalità legali e del volgare per comprensione, evidenziando il ruolo di mediazione del giudice.
Indice
Il contesto
Nel 960, don Aligerno, abate del monastero di Montecassino, intenta una causa contro un certo Rodelgrimo di Aquino, accusato aver occupato terre di proprietà del monastero, senza averne alcun diritto. Il giudice Arechisi emette la sentenza, che allora si chiamava” placito”, un termine medioevale di derivazione latina. Il testo è in latino, però, all’interno sono inserite alcune testimonianze di un chierico e di alcuni abitanti della zona, un chierico rese in volgare. Il documento prende il nome di Placito capuano. In assenza di prove della controparte, il giudice decide di applicare una legge emanata dal re longobardo Astolfo, del 754, in realtà ripresa dalle leggi romane, che prevedeva una sorta di moderna usucapione, qualora il bene fosse stato utilizza da una persona per almeno trenta anni.Questo è il testo:
Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte sancti Benedicti
Analisi
In questo caso per convalidare l’atto giuridico il giudice è obbligato ad utilizzare la lingua volgare, cioè una lingua che fosse comprensibile alla parte e alla controparte e a tutti coloro che a vario titoli avevano preso parte al processo e chiamati a pronunciare il giuramento anche se non conoscevano il latino. Quindi, l’uso del volgare, in questo caso è una necessità, pur all’interno di un documento la cui lingua ufficiale è il latino che resterà tale ancora per un secolo.Traduzione
So che quelle terre, entro quei confini che qui si descrivono, trenta anni li ha avuti in possesso l’amministrazione di Sam Benedetto (= Il Monastero di San Benedetto)
Aspetti linguistici
Questo volgare è tipico della regione campana:
• manca la trasformazione della -e- tonica in dittongo, come invece avviene nel volgare toscano: latino “contenere” > “contene”, ma in toscano “contiene”
• nella labiovelare si perde la -u- per cui quod > ko, eccum ille > kelle, mentre in toscano si ha “quelle”, eccum hic > ki, mentre in toscano si ha “qui”
• “fini” = femminile plurale nel senso di limite di una proprietà, ancora in uso in Campania.
Altre caratteristiche richiamano i dialetti toscano e dell’Italia centrale, in genere come il mantenimento delle doppia (“terre”, kelle) e la caduta delle consonanti finali.
Un'altra parola che ha fatto discutere molto gli studiosi è “Sao”, costruito per analogia con “dao”, “stao”, eccc.
Significativo è anche il “le” di “le possette”, come pronome personali femminile plurale, riferito alla “terre”, una peculiarità che si diffonderà molto in italiano
Da segnalare che a distanza di pochi anni la stessa formula si ritrova in tanti altri documenti giuridici dello stesso tipo.
La disglossia
Ma il fattore più significato è la presenza di due lingue: l’usanza di inserite parti in volgare in un testo in latino si fa sempre più frequente. Il giudice possedeva gli strumenti formali della legge come la conoscenza approfondita del latino, ma ha i problema di rendere i convenuti partecipi delle operazioni che si tengono. In questo caso abbiamo l’abate di Montecassino con un contadino, ma in casi simili abbiamo privati cittadini o mercanti che convengono in presenza di notaio per stipulare un contratto. Finalizzato ad uno scambio di merce. In tutti i casi, l’uomo di legge si deve fare da intermediario fra le regole scritte del codice e i suoi clienti e se da un lato deve dare al documento un aspetto formale, dall’altro rendere comprensibile quanto scritto o testimoniato per rendere i convenuti consapevoli degli impegni che si stanno assumendo.Domande da interrogazione
- Qual è il contesto storico del Placito capuano?
- Perché nel Placito capuano si utilizzò il volgare?
- Quali sono le caratteristiche linguistiche del volgare usato nel Placito capuano?
- Cosa rappresenta il termine "Sao" nel contesto del documento?
- Qual è il significato della disglossia nel contesto del Placito capuano?
Il Placito capuano risale al 960, quando l'abate Aligerno del monastero di Montecassino intentò una causa contro Rodelgrimo di Aquino per l'occupazione indebita di terre del monastero. Il giudice Arechisi emise una sentenza basata su una legge longobarda del 754.
Il volgare fu utilizzato per rendere comprensibile il documento a tutte le parti coinvolte nel processo, poiché non tutti conoscevano il latino, la lingua ufficiale del documento.
Il volgare del Placito capuano presenta caratteristiche tipiche della regione campana, come la mancanza di dittongazione della -e- tonica e la perdita della -u- nella labiovelare. Altre caratteristiche richiamano i dialetti toscano e dell'Italia centrale.
"Sao" è una parola che ha suscitato discussioni tra gli studiosi, costruita per analogia con altre forme come "dao" e "stao", e rappresenta un esempio di come il volgare si stava evolvendo.
La disglossia si riferisce alla presenza di due lingue nel documento: il latino per la formalità legale e il volgare per la comprensione delle parti coinvolte, evidenziando la necessità di mediazione linguistica da parte del giudice.