Fabrizio Del Dongo
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Concetti Chiave

  • La questione della lingua tra Quattrocento e Cinquecento vede un ritorno del latino, seguito dal recupero del volgare, con un dibattito tra sostenitori delle diverse lingue letterarie.
  • Baldassare Castiglione promuove una lingua duttile e aperta agli scambi linguistici, basata sull'uso e adattata al contesto culturale delle corti italiane.
  • Niccolò Machiavelli sostiene che il fiorentino contemporaneo sia la lingua volgare per eccellenza, arricchendosi attraverso l'acquisizione di vocaboli da altre lingue senza snaturarsi.
  • Pietro Bembo propone un approccio "arcaizzante" per la lingua, puntando all'eccellenza e al giudizio dei posteri, evitando l'uso popolare e mirando a un pubblico colto.
  • Il dibattito sulla lingua nel Cinquecento vede prevalere la tesi di Bembo, che riflette i principi umanistici di perfezione e imitazione selettiva degli Antichi.

Indice

  1. Evoluzione della Lingua nel Quattrocento
  2. Dibattito Linguistico nel XVI Secolo
  3. Machiavelli e la Lingua Fiorentina
  4. Tesi Arcaizzante di Pietro Bembo

Evoluzione della Lingua nel Quattrocento

La questione della lingua comincia a svilupparsi fra il Quattrocento e il Cinquecento. Il Quattrocento, dopo la diffusione del volgare, segna il ritorno del latino, a seguito dell’interesse per le civiltà classiche. Nei secoli precedenti, i volgari si erano diffusi notevolmente, fino ad essere utilizzati come lingua letteraria. Dante aveva contribuito alla fortuna del volgare sia sul piano pratico (Divina Commedia e Convivio), sia su quello teorico (De vulgari eloquentia). Petrarca aveva decisamente optato per il latino, limitando il volgare solo a pochi generi specifici come nel Canzoniere o ne I Trionfi, cercando, però, di dare al volgare un decoro formare simile al latino. Le sue scelte stanno alla base del dibattito sulla lingua nel XV secolo.

La storia della lingua letteraria del Quattrocento e del primo Cinquecento è caratterizzata da due fasi, assai nettamente distinte:

1) Il periodo che va dal 1400 al 1480 vede il dominio pressoché incontrastato del latino, chiamato latino umanistico

2) Il periodo dal 1480 al 1550 registra un recupero lento, ma significativo e progressivo della lingua volgare

Dibattito Linguistico nel XVI Secolo

Nel XVI secolo, tre grandi scrittori si inseriscono nel dibattito.

Baldassare Castiglione riporta sua posizione sulla questione della lingua nel Libro del Cortegiano (1513-1518). La sua tesi, che si colloca a uguale distanza fra il fiorentino vivo e il fiorentino arcaico del Boccaccio, parte da un principio molto importante: l’uso è la vera forza che regola il “parlare bene”; viceversa, l’utilizzo di termine che non abbiamo consuetudine di usare è un vizio da rigettare. Non tutti i linguisti dell’epoca condividevano questa posizione. In sostanza, la concezione della lingua del Bembo è piuttosto duttile, perché essa deve tener conto del variare dei tempi, delle circostanze e degli argomenti da trattare. Per esempio, egli sostiene di non aver potuto utilizzare il volgare arcaico del Boccaccio perché il Decameron e il Cortegiano appartengono a due generi diversi. Tuttavia non è favorevole all’uso del toscano della sua epoca; giudica invece positivo lo scambio linguistico fra diverse nazioni che contribuisce ad arricchire una lingua di nuovi vocaboli e di nuove espressioni. In sintesi egli sostiene una lingua che sia duttile, eclettica, ritagliata sull’uso, aperta a scambi con altre lingue e soprattutto che prenda come riferimento le parlate in uso presso le corti dei Stati italiani e, pertanto, con un taglio nobile.

Machiavelli e la Lingua Fiorentina

Nicolò Machiavelli confuta la tesi secondo cui la lingua usata dai grandi scrittori del Trecento fosse una lingua comune. Egli, a tal fine, enuncia un principio importante: ogni lingua venendo contatto on altre lingue, assume nuovi vocaboli, pur tuttavia rimanendo sempre se stessa, non si snatura, anzi, adatta dal punto di vista morfologico e fonetico i nuovi termini alle proprie regole.. In sintesi, la lingua fiorentina, acquisendo nuovi vocaboli da altre lingue si arricchisce. Soltanto con trascorrere di molti secoli una lingua, in presenza di particolari circostanze si modificano talmente da snaturarsi. In questo caso, è ovvio che Machiavelli pensa al latino che ha dato origine alle lingue volgari. Per Machiavelli, tutti quei vocaboli e quelle forme che indichiamo come comuni, in realtà sono tali perché gli altri dialetti li hanno derivati dal fiorentino, che è la lingua egemone nel sistema linguistico della penisola italiana.

Per Machiavelli la lingua volgare per eccellenza, è il fiorentino contemporaneo a cui ci si deve attenere e non ai modelli letterari cristallizzati. Il concetto del Machiavelli, grosso modo, viene ripreso anche da Giuliano de’ Medici (uno dei protagonisti delle Prose della volgar lingua del Bembo) che sostiene la mutevolezza delle lingue nel tempo e l’opportunità che essa si adegui alle circostanze, con lo scopo di farsi capire dai contemporanei.

Tesi Arcaizzante di Pietro Bembo

La tesi di Pietro Bembo viene definita anche “arcaizzante” e si basa sui seguenti principi:

1) gli scrittori non devono tendere a piacere agli uomini del proprio tempo, ma soprattutto ai posteri, per cui essi devono mirare all’eccellenza assoluta;

2) per raggiungere l’obiettivo dell’eccellenza, occorre evitare l’uso popolare (che dà notorietà soltanto nel proprio tempo), come del resto fecero nel passato i classici;

3) i competenti che possono giudicare l’eccellenza di un’opera letteraria sono molto pochi ed è del loro giudizio che va tenuto conto

4) non è sempre necessario imitare gli Antichi per perseguire l’obiettivo dell’eccellenza (Cicerone e Virgilio non hanno mai imitato Ennio e se lo avessero fatto i loro scritti non sarebbero stati eccellenti); è indispensabile seguire l’esempio degli Antichi quando essi sono migliori dei contemporanei dal punto di vista linguistico e letterario: in questo caso, imitare gli Antichi non significa scrivere ai morti, come aveva detto Giuliano de’ Medici perché se si raggiunge l’eccellenza lo scrittore avrà sempre un pubblico di lettori affezionato.

In sintesi, Bembo risolve la questione della lingua, proponendo un tesi aristocratica che rispecchia, fra l’altro, uno dei più importanti principi informatori dell’Umanesimo e sarà proprio tale tesi che risulterà vincente nel Cinquecento.

Domande da interrogazione

  1. Qual è stata l'evoluzione della lingua nel Quattrocento?
  2. Nel Quattrocento, dopo la diffusione del volgare, si è assistito a un ritorno del latino a causa dell'interesse per le civiltà classiche. Tuttavia, il volgare aveva già guadagnato terreno come lingua letteraria grazie a figure come Dante e Petrarca.

  3. Qual era la posizione di Baldassare Castiglione nel dibattito linguistico del XVI secolo?
  4. Castiglione sosteneva che l'uso fosse la vera forza che regola il "parlare bene" e promuoveva una lingua duttile e aperta agli scambi con altre lingue, basata sull'uso corrente nelle corti italiane.

  5. Come vedeva Machiavelli la lingua fiorentina?
  6. Machiavelli considerava il fiorentino contemporaneo come la lingua volgare per eccellenza, arricchita da vocaboli di altre lingue senza snaturarsi, e riteneva che i dialetti avessero derivato i loro termini dal fiorentino.

  7. Quali erano i principi della tesi arcaizzante di Pietro Bembo?
  8. Bembo sosteneva che gli scrittori dovessero mirare all'eccellenza assoluta per piacere ai posteri, evitando l'uso popolare e seguendo l'esempio degli Antichi solo quando erano migliori dei contemporanei.

  9. Qual è stata l'influenza della tesi di Bembo nel Cinquecento?
  10. La tesi aristocratica di Bembo, che rispecchiava i principi dell'Umanesimo, risultò vincente nel Cinquecento, influenzando profondamente la questione della lingua.

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