Concetti Chiave
- Francesco Berni adotta un approccio parodico nei confronti della lirica petrarchista, capovolgendo i suoi temi e tópoi pur mantenendone il lessico.
- Il sonetto "Chiome d’argento fino, irte e attorte" di Berni è un esempio di come lodi convenzionali si trasformano in descrizioni ironiche e critiche.
- Berni utilizza un linguaggio ricercato e raffinato per creare un contrasto tra la musicalità del verso e il significato reale delle parole.
- Il poeta gioca con le aspettative del lettore, trasformando elogi tradizionali in critiche sottili, come nel caso dei capelli descritti come "d’argento" per alludere all’età avanzata.
- Attraverso questo gioco letterario, Berni non solo ridicolizza i petrarchisti, ma esplora il concetto di rendere sublime il brutto.
Indice
L'arte parodica di Francesco Berni
In opposizione al codice petarchista, un autore toscano come Francesco Berni (1497/98-1535) fa sue soluzioni espressive di tipo parodico che rovesciano i tópoi della lirica di Petrarca e dei petrarchisti pur utilizzandone il lessico e i temi.
Il sonetto parodico di Berni
Un esempio molto efficace è costituito dal sonetto Chiome d’argento fino, irte e attorte, chiaramente modellato sul sonetto di Bembo Crin d’oro crespo e d’ambra tersa e pura. Ma qui l’esaltazione l’esaltazione canonica della bellezza si rovescia nel suo opposto. Il motivo della lode della bellezza femminile, basato sui modi dell’enumerazione (vengono elencati tutti i pregi fisici e morali di madonna) e della comparazione con elementi naturali, è condotto con le stesse parole-chiave della lirica “alta” (ad essa rinviano sostantivi come Chiome, fronte, luci, armonia, bellezze; aggettivi come fino, vaghi, celeste, rari, pellegrini, ineffabile, alter, gravi, divini; espressioni quali «bel viso d’oro», «mirando io mi scoloro», «labbra di latte» ecc.).
Il linguaggio e il significato rovesciato
La novità consiste nel fatto che questo linguaggio è abilmente selezionato, ripreso e dislocato in modo da rovesciarne o negarne il significato apparente: l’espressione a prima vista preziosa con cui si elogiano i capelli femminili («Chiome d’argento fino») allude infatti a una capigliatura invecchiata e resa grigia dagli anni; l’oro, normalmente attribuito alle chiome e qui applicato all’incarnato del viso, sta a indicare un colorito giallo, tutt’altro che attraente. E l’operazione continua in tutto il sonetto con analogo procedimento. La musicalità soave del ritmo e l’evocatività del lessico cozzano dunque con il significato reale dei termini: grazie a questo raffinato gioco letterario Berni non solo ridicolizza i modelli e lo stile petrarchista, ma si diverte a rendere sublime il brutto.