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Giacomo Leopardi
- Nasce nel 1798 a Recanati, da una famiglia nobile.
- Il padre (il conte Monaldo) era un uomo colto e aveva realizzato all’interno del suo palazzo una biblioteca
personale che conteneva opere di cultura accademica e attardata che contribuirono, insieme agli
orientamenti politici reazionari e ostili alle idee della rivoluzione francese del padre, a influenzare le idee
di Giacomo, cresciuto in un ambiente bigotto e conservatore.
- Viene istruito da precettori ecclesiastici ma all’età di 10 anni decide di continuare gli studi da solo
chiudendosi nella libreria paterna conducendo “sette anni di studio matto e disperatissimo”
impara velocemente latino, greco, ebraico; traduce classici latini e greci e scrive contemporaneamente
componimenti poetici, odi, sonetti, tragedie (cultura arcaica e superata)
- 1815-1816: conversione “Dall’erudizione al bello” : entusiasmo per i grandi poeti (Omero, Virgilio, Dante)
e inizia a leggere i moderni (Rousseau, Alfieri..) , leggendo Staël viene a contatto con la cultura romantica
per la quale avrà forti perplessità.
- Conosce Pietro Giordani, intellettuale di orientamento classicistico ma di idee democratiche e laiche che
costituisce un momento fondamentale per la sua formazione intellettuale ma anche personale in quando
rappresenta per lui l’affetto che gli manca in casa
- 1819: tenta la fuga ma viene scoperto e ricondotto a casa. Lo stato d’animo che ne segue, insieme ad un
problema alla vista che gli impedisce di leggere (unico sollievo) lo portano ad uno stato di sconforto che gli fa percepire la nullità di tutte le cose.
Passaggio dal “bello” al “vero” [ + sperimentazioni
letterarie: Infinito, stagione più originale della poesia, e Zibaldone, diario intellettuale con appunti e
riflessioni]
- 1822: Si reca a Roma, riscontrando una gran delusione: ambienti letterari vuoti e meschini; infastidito dalla monumentalità
della città.
- Torna a Recanati e scrive delle Operette Morali in cui esprime il suo pensiero pessimistico. Il suo stato
d’animo non gli consente di scrivere versi e si dedica alla prosa.
- 1825: l’editore milanese Stella gli offre un assegno fisso per delle collaborazioni (si mantiene con il suo
lavoro), trasferendosi quindi a Milano, Bologna ed infine Firenze. Tra il 1827 e il 1828 si sposta a Pisa dove
il clima placa i suoi mali e contribuisce alla ripresa della sua capacità di sentire e immaginare (’28 -> A
Silvia)
- 1828: La salute si aggrava. Non potendo lavorare gli viene sospeso l’assegno ed è costretto a tornare a
Recanati (“16 mesi di notte orribile”) dove vive isolato e immerso nella sua malinconia Nel 1830
accetta un’offerta degli amici fiorentini (assegno mensile per un anno) : Lascia Recanati per non tornarvi
più.
- Nuova fase: rapporti sociali e passione amorosa per Fanny Targioni Tozzetti: la delusione lo porta a un
nuovo ciclo di canti “Ciclo di Aspasia”, Amicizia fraterna con Antonio Ranieri: si trasferiscono a Napoli
vivono insieme fino alla morte nel 1837.
La natura benigna
- l’opera di Leopardi si basa su un sistema di idee meditate e sviluppate e il loro processo si può seguire
attraverso lo Zibaldone.
- Al centro della meditazione c’è un motivo pessimistico: l’infelicità dell’uomo riconosce come felicità il
piacere sensibile e materiale ma l’uomo, desiderando un piacere infinito per estensione e per durata, non
trovando nulla che possa soddisfare quest’esigenza, rimane con un senso di insoddisfazione.
- L’uomo è quindi necessariamente infelice ma la natura “madre benigna” ha voluto fornire fin dalle origini
un rimedio al male dell’uomo: l’immaginazione e l’illusione, grazie alle quali l’uomo non è riuscito a
vedere le vere condizioni gli antichi, essendo più vicini alla natura, quindi capaci di immaginare e
illudersi, erano felici perché ignoravano la loro vera infelicità: il progresso ha allontanato l’uomo da
questa condizione mettendo sotto i suoi occhi la cruda realtà, rendendolo infelice.
- Come unico custode della virtù antica assume un atteggiamento titanico, decidendo di sfidare da solo il
fato che ha minacciato l’Italia, non più grande come in passato e dominata dall’inerzia.
- Prima fase “pessimismo storico”: antitesi tra natura e ragione, tra antichi e moderni.
Antichi capaci di azioni eroiche grazie all’illusione, più forti fisicamente, vita più attiva che aiutava a
dimenticare il vuoto dell’esistenza ma sa che era una felicità illusoria.
Moderni con il progresso sono incapaci di azioni eroiche, sono vili e meschini la causa dell’infelicità
è l’uomo stesso.
La natura maligna
- Si rende conto che la natura mira alla conservazione della specie, accettando di sacrificare il bene del singolo generando sofferenza: è la natura che ha messo nell’uomo il desiderio di felicità senza dare i mezzi per realizzarlo.
- Seconda fase: la responsabilità del male è del fato: dualismo tra fato e natura benigna.
La natura non è più madre benigna ma meccanismo cieco e indifferente alle sue creature: la colpa
dell’infelicità è della natura. L’uomo è solo una vittima
- Prima : infelicità = assenza di piacere
Ora: infelicità = dovuta a mali esterni ai quali nessuno può sfuggire.
Il pessimismo cosmico
- Se l’infelicità è causata dalla natura, tutti gli uomini sono necessariamente infelici, anche gli antichi.
- Se l’infelicità è causata dalla natura non serve a niente protestare o lottare (titanismo), non resta che la
contemplazione della verità (atteggiamento contemplativo): il suo ideale non è più l’eroe antico ma il
saggio antico, caratterizzato dall’atarassia, il distacco dalla vita.
si sposta a Pisa dove
il clima placa i suoi mali e contribuisce alla ripresa della sua capacità di sentire e
A
immaginare (’28 ->
Silvia)
- 1828: La salute si aggrava. Non potendo lavorare gli viene sospeso l’assegno ed è
costretto a tornare a
Recanati (“16 mesi di notte orribile”) dove vive isolato e immerso nella sua
malinconia Nel 1830
accetta un’offerta degli amici fiorentini (assegno mensile per un anno) : Lascia
Recanati per non tornarvi
più.
- Nuova fase rapporti sociali e passione amorosa per Fanny Targioni Tozzetti: la
delusione lo porta a un
“Ciclo di Aspasia”
nuovo ciclo di canti Amicizia fraterna con Antonio Ranieri: si
trasferiscono a Napoli
vivono insieme fino alla morte nel 1837.
LA NATURA BENIGNA:
- l’opera di leopardi si basa su un sistema di idee meditate e sviluppate e il loro
processo si può seguire
attraverso lo Zibaldone.
- Al centro della meditazione c’è un motivo pessimistico: l’infelicità dell’uomo
felicità
riconosce come il
piacere sensibile e materiale ma l’uomo, desiderando un piacere infinito per
estensione e per durata, non
trovando nulla che possa soddisfare quest’esigenza, rimane con un senso di
insoddisfazione (pur.material) “madre benigna”
- L’uomo è quindi necessariamente infelice ma la natura ha voluto
fornire fin dalle origini
un rimedio al male dell’uomo : l’immaginazione e l’illusione, grazie alle quali
l’uomo non è riuscito a
vedere le vere condizioni gli antichi, essendo più vicini alla natura, quindi capaci di
immaginare e
illudersi, erano felici perche ignoravano la loro vera infelicità il progresso ha
allontanato l’uomo da
questa condizione mettendo sotto i suoi occhi la cruda realtà, rendendolo infelice.
- Come unico custode della virtù antica assume un atteggiamento titanico, decidendo
di sfidare da solo il
fato che ha minacciato l’Italia, non più grande come in passato e dominata
dall’inerzia.
- Prima fase “pessimismo storico”: antitesi tra natura e ragione, tra antichi e
moderni.
Antichi capaci di azioni eroiche grazie all’illusione, più forti fisicamente, vita più
attiva che aiutava a
dimenticare il vuoto dell’esistenza ma sa che era una felicità illusoria.
Moderni con il progresso sono incapaci di azioni eroiche, sono vili e meschini la
causa dell’infelicità
è l’uomo stesso.
LA NATURA MALIGNA:
- Si rende conto che la natura mira alla conservazione della specie, accettando di
sacrificare il bene del singolo generando sofferenza è la natura che ha messo
nell’uomo il desiderio di felicità senza dare i mezzi per realizzarlo.
- Seconda fase: la responsabilità del male è del fato dualismo tra fato e natura
benigna.
La natura non è più madre benigna ma meccanismo cieco e indifferente alle sue
creature la colpa
dell’infelicità è della natura. L’uomo è solo una vittima
- Prima : infelicità = assenza di piacere
Ora: infelicità = dovuta a mali esterni ai quali nessuno può sfuggire.
IL PESSIMISMO COSMICO:
- Se l’infelicità è causata dalla natura, tutti gli uomini sono necessariamente infelici,
anche gli antichi.
- Se l’infelicità è causata dalla natura non serve a niente protestare o lottare
(titanismo), non resta che la
contemplazione della verità (atteggiamento contemplativo) il suo ideale non è più
l’eroe antico ma il
saggio antico, caratterizzato dall’atarassia, il distacco dalla vita.
“La teoria del piacere” (935)
- L’anima umana desidera sempre il piacere, ovvero la felicità. Questa tendenza non
ha limiti e termina solo
con la vita perché non esiste nessun piacere eterno e immenso quando desideri
un cavallo lo desideri
come piacere illimitato e immenso, ma quando ottieni il cavallo lo trovi un piacere
circoscritto, limitato e
ti senti triste perché non è ciò che ti aspettavi realmente
tutti i piaceri sono quindi misti al dispiacere perché l’anima cerca ciò che non può
avere (piacere
infinito) e si dispiace quando scopre che non è ciò che pensavo
il piacere infinito non si trova nella realtà ma nell’IMMAGINAZIONE (speranza,
illusioni) perché
attraverso questa l’anima si immagina ciò che non vede e si immagina cose che non
potrebbe.
“Il vago,l’indefinito e le rimembranze della fanciullezza”
- da giovani si concepisce il mondo in maniera diversa, attraverso un gioco di
immaginazione che crescendo
si perde da grandi si cerca di ritrovare quelle stesse sensazioni ed il piacere che
proviamo è un ricordo
del piacere provato da piccoli, ma non sarà mai uguale.
I CANTI
- Raccolgono la produzione poetica di Leopardi
“Canzoni”
- 1818-1823 con un impianto classicistico e linguaggio aulico; base del
pensiero: pessimismo
(“Ultimo canto di Saffo”)
storico “Idilli” (“Infinito”)
- Stesso periodo: con tematiche autobiografiche e con un
linguaggio più colloquiale “I grandi Idilli”
- Dopo un silenzio poetico fino al 1828 riprende con i che trattano gli
stessi temi degli Idilli
ma con più consapevolezza del vero, contemplazione davanti la verità (base
pensiero: pessimismo (“A silvia” , “La quiete
cosmico); linguaggio più pacato e metrica libera dagli schemi
dopo la tempesta”)
“L’INFINITO” (pag. 953)
- Composto nel 1819 e pubblicato nel 1825.
- Sensazioni visive o uditive, essendo vaghe e indefinite, provocano piacere perché
inducono l’anima a Sensazione visiva:
immaginare. I° MOMENTO (v.1-8) impossibilità di vedere oltre
la siepe si esclude
il reale ed entra in gioco il “fantastico” : il pensiero costruisce
l’idea di uno spazio infinito
immerso in “sovraumani silenzi” e in una “profondissima quiete”
sgomento
Sensazione uditiva:
II° MOMENTO (v.8-15) lo stormire del vento tra
le piante la voce
del vento, immagine vaga, viene paragonato al silenzio infinito
creato dall’immaginazione
e suggerisce l’idea del perdersi delle cose umane nel silenzio
dell’oblio Infinito
temporale (l’eterno) l’io poetico si annega nell’immensità fino a
perdere la sua identità
- Il perdersi dell’io nell’infinito potrebbe essere considerata un’esperienza mistica ma
in realtà nel
componimento non sono presenti accenni a dimensioni sovrannaturali, infatti
l’infinito non ha
caratteristiche del divino (escluso con fermezza da Leopardi); inoltre non è un infinito
oggettivo (come
dovrebbe essere una divinità) ma è tutto soggettivo, creato dall’immaginazione
“LA SERA DEL Dì DI FESTA” (pag. 956)
- Composto nel 1820 e pubblicato nel 1825.
- La poesia si apre con un notturno lunare, immagine vaga e indefinita e si basa sulla
sovrapposizione di due realtà: quella vissuta e quella immaginata
contrapposizione
- Si riconoscono due temi fondamentali I° : tra due figure: quella
della fanciulla che si abbandona alle sue gioie, e quella del
poeta, che la natura ha creato per essere infelice e che
assume posizioni titaniche con atteggiamenti di ribellione (sottolinea
la sua diversità rispetto agli altri uomini e alla natura, che crea
l’uomo per essere infelice ma appare quieta e serena)
il passare di tutte le cose,
II°: il tempo
che vanifica il canto
solitario che risuona nella notte fa risaltare il silenzio
“ULTIMO CANTO DI SAFFO” (pag.969)
e ricorda il giorno di festa
- Composto nel 1822 e pubblicato nel 1824; monologo lirico attribuito a Saffo,
poetessa greca dell’amore,
che si sarebbe uccisa per amore di Faone Saffo diviene proiezione autobiografica
- Il canto si apre con il tema principale dell’infelicità dell’io lirico ma, in realtà, si
allarga progressivamente
all’idea di un’infelicità universale (= passaggio al pessimismo cosmico) poiché tutti
gli uomini di ogni epoca
sono condannati a perdere la gioia giovanile e a patire malattie, vecchiaia, morte
perché sono mali
derivanti dall’esterno (non a caso Saffo come esempio)
- Linguaggio del Vero: aulico , solenne e mira a dare un senso di fermezza;
metafore ardite che tendono
alla materializzazione dell’astratto
- All’inizio è descritta la bellezza dell’alba, di cui si può godere, come degli altri
spettacoli della Natura ,
finché non si prende coscienza della condizione del destino dell’uomo. Ma anche in
preda alla
disperazione, l’uomo può provare piacere (“insueto gaudio”) in una sorta di
comunione con la Natura,
quando essa si presenta sconvolta, agitata, distruttrice (riflette lo stato d’animo).
Dopo la descrizione di
una Natura furiosa emerge una certezza: la bellezza del cielo e della terra. A questo
punto Saffo si pone
di fronte a una frattura terribile: la bellezza della natura è infinita, a lei dell’infinita
bellezza non è toccato
nulla. È la frustrazione assoluta dell’uomo che aspira all’infinito e scopre di essere
destinato al Nulla.
È vano cercare il perché di ciò. Spiegazione prende corpo: fra gli uomini regna la
bellezza; a chi ne è privo
non è apprezzata nessuna virtú. Questa è la sorte che Zeus (il Padre) ha dato agli
uomini.
Il corpo si dissolverà, sia esso stato brutto o bello; ma l’amore sopravviverà
nell’amato che vivrà felice.
“ A SILVIA” (p.972)
- Composto nel 1828 e pubblicato nel 1831
- PRIMA PARTE: ricorda l’età felice della giovinezza in cui Silvia amava interrompere le
azioni nelle quali era
impegnata per ascoltare il canto degli uccelli e Giacomo amava guardarla
interrompendo i suoi studi.
SECONDA PARTE: le immagini della primavera si dissolvono con l’arrivo dell’inverno e
con essa si spengono sogni e speranze. All’impatto con la vita il cuore viene oppresso
da un dolore inconsolabile: silvia, vinta dal male, muore e con lei tutti i sogni del
poeta. sfogo con la natura che promette agli uomini ma non mantiene le promessa.
Ultima strofa: dialogo con la speranza che è morta insieme a Silvia.
- Tutto il componimento è pervaso dalla vaghezza e dal senso di indefinito: infatti non
vi sono descrizioni, la
figura femminile non presenta dettagli concreti: l’unico particolare concreto cui si
accenna è lo sguardo
ridente, luminoso che illumina la figura di Silvia e ne sottolinea l’atteggiamento
spensierato, felice ma
anche riflessivo; anche l’ambiente circostante è rarefatto e caratterizzato solo da
pochi aggettivi
evocativi: “quiete”, “odoroso”, “sereno”, “dorate”. La poesia è resa possibile soltanto
dal filtro del
ricordo, che, come il filtro “fisico” rappresentato dalla finestra del “paterno ostello”,
rende le immagini L’infinito,
sfocate, quindi “vaghe e indefinite”. La finestra, come la siepe de infatti,
limita il contatto con il
reale, scatenando l’immaginazione. Inoltre il filtro del ricordo concorre in maniera
determinante a
spegnere le illusioni, che non possono essere vissute ingenuamente come nella
giovinezza, bensì sono
interrotte dalla consapevolezza del vero. Tuttavia, anche se la poesia si chiude con
l’immagine lugubre Leopardi
della morte, è tutta pervasa da immagini di vita e di gioia, poiché vuole
levare un grido di
protesta contro la natura “matrigna” che ha negato queste cose belle all’uomo: non
si rassegna al dolore,
ma, pur nella disperazione, non rinuncia mai a rivendicare il diritto alla felicità.
LE OPERETTE MORALI (pag.1019)
- Composte nel 1824 dopo la delusione subita dal viaggio a Roma
- Prose di argomento filosofico in cui espone il suo “sistema” aiutandosi con il
materiale dello Zibaldone,
attraverso invenzioni fantastiche e molte operette sono dialoghi
- Trattazione del vero.
“DIALOGO DELLA NATURA E DI UN ISLANDESE”
Un uomo, dopo aver viaggiato molto per varie parti del mondo, per fuggire la Natura arriva in
Africa. Qui vede donna gigantesca, seduta per terra, con il dorso e il gomito appoggiati ad una
montagna, viso bello e terribile e i capelli nerissimi. A lei che gli domanda chi sia e che cosa
cerchi in quei luoghi ancora inesplorati l’uomo risponde di essere un Islandese che sta
fuggendo la natura. Quando la donna gli dice di essere la natura che egli fugge, l’Islandese
pronuncia una lunga predica contro di essa, parlando della sua vita di patimenti e
accusandola di essere la causa della sofferenza e dell’infelicità degli uomini.