vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi

Leopardi e le lezioni americane di Italo Calvino
LEOPARDI PROSATORE
“Ora una lingua senza prosa, come può dirsi formata? La prosa è la parte più naturale, usuale, e
quindi principale di una lingua, e la perfezione di una lingua consiste essenzialmente nella prosa.”
[Zibaldone,p.1385,25 Luglio 1821]
La frase, divenuta una delle più significative asserzioni leopardiane grazie alla straordinaria
incisività, e per questo entrata a far parte del corpus dei Pensieri tratti dal diario del recanatese, è
situata al termine di una serie di osservazioni squisitamente letterarie, che stanno alla base dello
Zibaldone.
Alla pag. 1367 inizia una “dissertazione” letteraria avente come soggetti Dante, Petrarca e
Boccaccio.
Questi autori trecenteschi- come spiega lo stesso Leopardi- vengono spesso individuati come gli
scrittori con cui la lingua italiana si è perfettamente formata. Dopo essersi opposto a questa
interpretazione Leopardi cita come termine di paragone la poesia di Omero, il quale pur costituendo
uno dei pilastri della letteratura greca e pur possedendo indiscutibili doti, non può rappresentare la
compiuta e definitiva formazione della lingua greca.
Alla pag.1385 il discorso viene ripreso precisando che il medesimo ragionamento è valido per i tre
poeti italiani; essi, nonostante abbiano segnato indelebilmente la storia della letteratura italiana, non
hanno comunque portato la nostra lingua al raggiungimento della perfezione e della piena
formazione per il semplice fatto che non si sono dedicati alla prosa o, se lo hanno fatto, non hanno
1
raggiunto risultati del tutto meritevoli .
E’ proprio a questo punto che si colloca la frase di apertura. Un vero e proprio inno alla prosa, vista
non solo come parte integrante di una lingua, ma addirittura come la massima espressione della
lingua stessa.
Alla luce di tali considerazioni, mi propongo di approfondire il discorso riguardante le prose di
Giacomo Leopardi, con opportuni riferimenti ai contenuti e allo stile che le caratterizzano.
Nelle scuole superiori il poeta in questione viene letto e studiato prendendo in considerazione
soprattutto i capolavori poetici, quali gli “Idilli” o i “Canti Pisano-Recanatesi”.
Tramite una lettura più approfondita si giunge però a scoprire il lato più recondito degli scritti
leopardiani ma, forse proprio per questo motivo, più affascinante.
“Zibaldone” “Pensieri” “Operette morali” costituiscono la “splendida
Lo , i e soprattutto le
inaugurazione della letteratura moderna, irrinunciabili capolavori in prosa di uno dei massimi poeti
di tutti i tempi..” 2 l’attenzione sia focalizzata sulla prosa del poeta di Recanati, saranno
Nonostante nel mio lavoro
presenti anche alcuni cenni all’opera poetica, comunque indispensabile per avere una visione
completa della sua produzione letteraria e del suo pensiero.
25/07/1821: “..il Boccaccio, […] s’ingannò grossamente, e fece un infelice tentativo nella
1 Cfr. Zibaldone,p.1385;
prosa italiana..”
Emanuele Trevi, presentazione alle “Operette morali”, Newton, 2003.
2 Cfr. “PERCHE’ LEGGERE LEOPARDI?”
“Quel che Leopardi afferma, nel corso della sua coraggiosa esplorazione mentale del mondo e del
cuore umano, viene affermato[…]deliberatamente, non dogmaticamente, in quanto non ha altro
scopo che quello di asserire ciò di cui, nel profondo del suo animo e alla fredda luce della sua
impavida ragione, è tenacemente convinto che sia vero”.[…] I pensieri dicono nulla della sua età,
ma questo non costituisce ne il loro difetto, né la loro limitazione, dato che essi sono- e Leopardi
stesso voleva che fossero- pertinenti a tutte le età, e a nessuna in particolare,in quanto la sua
vocazione, come vero filosofo, era di dedurre da ciò che è storico ed esistenziale ciò che ha una
pertinenza e una validità universali.” 3
Nell’ ultima edizione dei pensieri leopardiani, pubblicata con il titolo “Pensieri e detti memorabili”
G. Singh compone una delle introduzioni più oneste ed opportune alle opere di Giacomo Leopardi.
Il critico espone le verità e i pregi dell’opera del recanatese con giustizia e puntualità. Tra le righe
della presentazione ho selezionato quelle che ho ritenuto contenessero la spiegazione più vera del
significato e del compito del pensiero leopardiano.
Il primo punto sottolineato da Singh è quello del non-dogmatismo del pensiero espresso da
Ciò va inteso non come l’insieme di asserzioni discutibili e di verità da considerarsi non
Leopardi.
fondamentali, bensì come l’espressione di pensieri di varia natura sulla vita umana che vengono
presentati al lettore come consigli o semplicemente sotto forma di giudizi personali ritenuti fondati.
Il poeta di Recanati non si presenta mai sotto le vesti di severo ammonitore; non è un moralista a
tutti gli effetti. La definizione più calzante è senza dubbio quella di “poeta spettatore”, il quale
mantiene il debito distacco dalla realtà per poter giudicare, analizzare, studiare e commentare,
spesso in chiave satirica, con uno stile che si configura pungente e lucido al tempo stesso.
Il secondo motivo portato alla luce nell’ introduzione è il tema dell’ universalità: è impossibile non
accorgersi dell’ attualità e della freschezza che Leopardi esibisce nella straordinaria mole di
pensieri, intuizioni e verità riguardanti l’ esistenza; è senza dubbio la ragione per cui un uomo
vissuto più di due secoli or sono è letto ed apprezzato con attenzione sempre crescente,in misura
direttamente proporzionale al trascorrere degli anni.
“L’orgoglio,l’ipocrisia, l’invidia,la vanità,l’impostura,l’intolleranza,la sopraffazione e i loro effetti
sugli uomini e sulla società:Leopardi affronta tali vizi come appartenenti non solo a questa o a
quell’epoca o società, ma a 4
tutte le epoche e a tutte le società”.
L’intento del recanatese è quello di sviscerare i meccanismi che stanno alla base del comportamento
fare riferimento all’una o all’altra epoca,né tanto meno a personaggi
umano, senza la necessità di
storici perché ciò non è necessario. I problemi e le domande fondamentali che l’uomo trova sulla
propria strada sono sempre gli stessi, nonostante l’evolversi dei costumi e delle abitudini.
A riprova del concetto enunciato mi sembra più che opportuno riportare alcune righe del pensiero
con cui inizia il testo citato in apertura,pensiero al quale è affidato il limpido incarico di fungere da
proemio all’opera intera:
“..i birbanti, che al mondo sono i più di numero[…]tengono ciascheduno gli altri birbanti[…]per
compagni e consorti loro, e nei bisogni si sentono tenuti a soccorrerli per quella specie di
lega[…]che v’è tra essi.[…]All’opposto i buoni e i magnanimi sono tenuti[…]quasi creature
d’altra specie,[…]stimati non partecipi dei diritti sociali.[…]..così nelle aggregazioni di molti
uomini la stessa natura porta che chiunque differisce grandemente dall’universale di quelli[…]con
Cfr. G.Singh, introduzione a “Pensieri e detti memorabili”,Newton,1998.
3 Cfr. G.Singh, introduzione a “Pensieri..”,Op. Cit.
4
ogni sforzo sia cercato di distruggere o discacciare.Anche sogliono essere odiatissimi i buoni e i
generosi perché ordinariamente sono sinceri, e chiamano le cose con i loro nomi.” 5
In poche righe, con uno stile lineare e ricondotto all’estrema semplicità, Leopardi descrive uno dei
sistemi che stanno alla base della società.Non si tratta di una società contemporanea o antica, bensì
di una “società assoluta”, perché il poeta descrive un meccanismo riscontrabile ai suoi tempi così
come lo era in passato e così come, secondo le sue incrollabili certezze, sarà presente anche in un
lontano futuro.Le due categorie di uomini a cui assegna le definizioni convenzionali di “birbanti” e
“buoni” sono pertinenti ad ogni età. Con il trascorrere del tempo cambiano solo le loro vesti ma
rimangono inalterati i comportamenti e le abitudini secondo cui vengono stabilite alleanze o
dichiarazioni di guerra tra due mondi inconciliabili, in cui sono paradossalmente sovvertiti i ruoli e
la considerazione da parte dei simili. Non c’è alcun riferimento, come già ricordato in precedenza, a
personaggi particolari o a periodi specifici perché ciò condurrebbe solo a polemiche inutili, quando
in realtà l’argomento è trattato come universale e valido in ogni tempo.Tanto è vero che il
procedimento che porta gli uomini giusti ad essere emarginati e distrutti è regolato dalla natura,
nemica e onnipresente oppositrice del genere umano.
In ultima analisi è interessante osservare come la società descritta da Leopardi sia conforme alla
visione che si può estrapolare dalle favole di Fedro.Il favolista latino, vissuto oltre diciotto secoli
prima dell’autore dello Zibaldone, propone una visione del mondo decisamente pessimistica, in
quanto il nostro pianeta gli pare abitato da un ristretto numero di potenti che attraverso l’ipocrisia,
la violenza e l’ingiustizia riescono a sopraffare i più deboli, vittime indifese.
Nonostante la lontananza temporale tra i due autori,appare notevole l’assonanza di alcuni temi;la
differenza sta nel fatto che Fedro utilizza gli animali come emblemi delle nostre virtù e dei nostri
vizi, mentre Leopardi si riferisce direttamente agli esseri umani,tracciando un percorso più
introspettivo ed approfondito riguardo l’ indole del nostro genere e i meccanismi che conducono ai
comportamenti più insensati.
La corrispondenza contenutistica tra i due autori e la stima di Leopardi nei confronti dello scrittore
6
macedone è attestabile dalla lettura di un passo dello Zibaldone in cui Fedro è indicato come uno
degli scrittori del passato lodevole per quanto riguarda la semplicità e la chiarezza dello stile, ma
che non fu adeguatamente apprezzato ai suoi tempi.
Cfr. “Pensieri..”,Op.cit.,I
5 8/10/1823: “Osservo infatti che fra gli scrittori dell’aureo secolo quelli che fra noi tengono
6 Cfr. Zibaldone,pag. 3628; e della lingua[…],o non si trovano pur nominati dagli antichi,o appena, o in
le prime lodi per la semplicità e dello stile
stata come di autori, al più, di second’ordine.Tali sono Cornelio
modo che la loro stima si vede essere Terenzio…”
Nepote,Celso,Fedro, giudicato dal Le Fèvre il più vicino alla semplicità di
UNA LETTURA PARZIALE
La mia filosofia non solo non è conducente alla misantropia,come può parere a chi la guarda
superficialmente,e come molti l’accusano;[……] La mia filosofia fa rea d’ogni cosa la natura e,
discolpando gli uomini totalmente,rivolge l’odio,o se non altro il lamento,a un principio più
alto,all’origine vera dei mali dei viventi. [Zibaldone,p.4428,2 Gennaio 1829]
annota in quell’ “immenso monumento al pensiero” 7
Nel 1829 un Leopardi maturo e compassato
che è lo Zibaldone uno dei concetti più significativi per una lettura corretta ed adeguata della sua
filosofia, una chiarificazione indispensabile per chi, ancora oggi, tende a giudicare l’opera del
recanatese come quella di un uomo indotto dalle proprie condizioni di salute ad esporre teorie dal
tono pessimistico che, coadiuvate da una lettura parziale della sua opera, paiono volte a sminuire il
valore del genere umano,nonché a disprezzarlo.
Il pensiero espresso nella p.4428 dello Zibaldone è semplicemente uno dei più emblematici, ma ci
sarebbero decine di esempi analoghi in cui Leopardi si sforza di dare anche ai lettori più diffidenti
gli strumenti per evitare qualsiasi tipo di equivoco riguardo la materia trattata nella sua opera.
Il poeta desidera solamente che i suoi simili si facciano capaci di “accettare una filosofia
dolorosa,ma vera” 8 , senza mai esprimere un odio sconsiderato verso la specie di cui fa parte e alla
quale augura,nonostante le speranze siano vane,tutto il bene possibile.
Nel “Dialogo di Timandro e di Eleandro”, scritto a conclusione della prima edizione delle “Operette
morali”(1827),l’interlocutore principale(Eleandro), chiara proiezione dell’autore,risponde a chi lo