Astolfo sulla Luna
Approdato sulla Luna Astolfo la osserva meravigliato e nota che si tratta di un ambiente esteriormente simile alla Terra, dal momento che sulla sua superficie vi sono fiumi, laghi, monti e città, ma molto più grande di quanto appaia dal nostro pianeta. San Giovanni Evangelista, la sua guida, lo conduce in uno stretto vallone dove sono ammucchiate tutte le cose che si perdono sulla Terra (ottava 73). Astolfo vede molti oggetti materiali che rappresentano, in forma simbolica, i beni terreni il cui possesso non può essere durevole (ad esempio le ricchezze, i regni, il potere, il favore del principe a corte, la bellezza delle donne) e le attività infruttuose (come le suppliche a Dio da parte dei peccatori, l’ozio dei perdigiorno, i progetti mai realizzati, l’adulazione dei cortigiani). Dopo aver esplorato e ammirato tutto con stupore, Astolfo giunge in un luogo specifico del vallone dove vede un’infinità di ampolle di varie dimensioni, nelle quali è conservato il senno degli uomini in forma di liquido. Tra di esse trova e prende con sé quella contenente il senno di Orlando, la più capiente di tutte. Prima di lasciare il luogo scorge però anche il proprio senno e, dietro concessione di san Giovanni, lo aspira al punto da ridiventare saggio (ma non per sempre visto che, come anticipa il narratore, è destinato a smarrirlo un’altra volta).
Il carattere illusorio degli oggetti perduti
Gli oggetti persi sulla Terra e presenti sulla Luna sono di vario genere, ma hanno in comune la caratteristica di essere inutili o transitori, cioè di valore temporaneo: l’ambiente lunare ne rivela la vera essenza in tutta la sua illusorietà. Il narratore sottolinea infatti che essi sono stati smarriti dagli uomini in parte perché sottratti loro dal passare del tempo o dalla Fortuna, ma in parte anche per «nostro diffetto», espressione che si riferisce ai nostri errori di valutazione. Sono state ad esempio perse (nel senso di versate inutilmente) le lacrime di chi ha sofferto per amore; è stato perso «l’inutil tempo» sprecato nel gioco d’azzardo; sono andati persi, poiché insensati fin dall’inizio, i momenti trascorsi a oziare, i progetti non portati a termine e i desideri irrealizzabili.
Il folle inseguimento di obiettivi precari e deludenti
È stato smarrito per errato giudizio degli uomini soprattutto il senno, consumato nel perseguire obiettivi deludenti o effimeri come l’amore non corrisposto, le cariche onorifiche, le ricchezze, il favore dei signori, i poteri magici, gli oggetti preziosi e di rara bellezza. Mentre infatti la follia sulla Luna scarseggia, perché essa è rimasta quasi tutta sulla Terra, il senno vi è presente in quantità maggiore di quella di tutti gli altri oggetti perduti. La morale che se ne evince è che gli esseri umani sono tutti, chi più e chi meno, “folli”, ovvero irragionevoli e privi di senso critico. Prigionieri di un’esistenza trascorsa inseguendo ciascuno la propria illusione, essi perdono infatti tempo in sciocchezze, desiderano l’impossibile e sopravvalutano beni che l’azione del tempo o il destino porteranno loro via.
La prospettiva distanziata sulla follia degli uomini
L’arrivo sulla Luna del paladino Astolfo dà modo ad
Ariosto di riflettere sulle attività e sulle aspirazioni degli esseri umani. La caratteristica stilistica più rilevante dell’episodio consiste pertanto nel continuo coinvolgimento dell’autore, che fa sentire la propria voce esprimendosi in prima persona («parlo», «intender voglio ancora» 74, vv. 1 e 4; «seppi», 78, v. 3) e che soprattutto si colloca tra gli esseri umani che per proprio errore perdono qualcosa («ciò che si perde … per nostro diffetto», 73, v. 6). Ciò testimonia che la sua critica alla follia umana è condotta con un atteggiamento di comprensione e di indulgenza dal momento che, vivendo sulla Terra, egli stesso sa di essere incline all’errore di giudizio. Soltanto osservando la follia degli uomini con gli occhi di Astolfo, cioè dalla prospettiva distanziata di chi si trova sulla Luna, Ariosto può dunque distaccarsene e giudicarla.