Concetti Chiave
- Il testo è un ricordo evocativo di Sperlonga, un luogo che fonde mare, natura e storia, attraverso la memoria di un'estate passata.
- Giulia Gonzaga, protagonista del racconto, affronta la devastazione dei Saraceni nel 1534, riflettendo sul passato e su come proteggere il suo bambino non ancora nato.
- La narrazione intreccia il passato storico e le vicende personali di Giulia Gonzaga con la vita contemporanea della protagonista, collegandole attraverso un diario.
- Il paesaggio di Sperlonga, con la sua bellezza naturale e i resti della villa di Tiberio, fa da sfondo alle riflessioni sul tempo e sull'identità.
- La protagonista, colpita da una malattia incurabile, utilizza la storia di Giulia come una fonte di forza e speranza per affrontare le proprie incertezze e paure.
Sperlonga
Quest'acqua salata disseta ogni angolo della mia mente e torna alla memoria come la marea all'arenile mite; dimessa è l'imago di un’estate calda dai colori in lotta all’ora del tramonto. Sale alle narici la fresca sfumatura di un azzurro e di un verde trasparente. Terra e mare, cielo e pietre, mansuete come un gregge addormentato al sole cocente: questo conosco e altro non voglio per nutrire la fame che ho. Ma tu, bimbo mio, non conoscerai il sussurro dei tigli nelle prime ore del giorno quando i fratelli ancora dormono e le stelle non hanno sonno; non conoscerai il verso del cuculo che sposta la cortina di nebbia e svela l'odore di legna bruciata all'alba per chi va al tabacco. E non conoscerai il dolce canto del mare nelle prime ore del mattino quando tutti sono lontani tra il caldo del sonno e del primo focolare.Questo rimuginava la bellissima Giulia , la signora Gonzaga, arrovellandosi il cervello alla ricerca di una qualsiasi soluzione che… non c’era. Le immagini erano incredibilmente nitide nella sua memoria: era notte fonda, la notte tra l’otto e il nove agosto di quel 1534 che, ne era certa, sarebbe passato alla storia, fiamme dilaganti divoravano case, alberi e uomini, urla di dolore e disperazione venivano portate in circolo da violente raffiche di vento. Li conosceva tutti quegli uomini che bruciavano davanti ai suoi occhi per mano dei saraceni; odiosi, feroci, maledetti saraceni! Ora Fondi era distrutta, dopo solo due giorni, incendiata, incenerita! Una seconda Troia, come aveva scritto per lei il cardinale Ippolito…
Il cardinale Ippolito!
Non aveva neppure il coraggio di chiedersi dove fosse finito quell’uomo tanto devoto, tanto innamorato. Nei versi che le aveva dedicato, meraviglioso era stato leggere il paragone che egli aveva fatto tra la passione che lo infiammava per lei e l’incendio di Troia. Ora inevitabile le pareva paragonare l’incendio di Ilio al rogo che infiammava la sua Fondi.
Ma il Barbarossa, così era chiamato l’ammiraglio ottomano Khair Ad Din, non aveva ancora vinto! Non l’avrebbe catturata e non l’avrebbe trattata come merce di scambio consegnandola a Solimano I! Lei, dal canto suo, doveva lottare, soprattutto per quel suo bambino che custodiva dentro di sé, il figlio illegittimo, il figlio di Ippolito.
Si spogliò delle vesti regali, si coprì con dei cenci malmessi e cercò di pensare quale fosse la strada migliore da seguire per allontanarsi da lì. Costeggiò quello che era rimasto della meravigliosa villa imperiale di Tiberio. Lì l’avrebbe protetta l’ampia spelonca che un tempo era parte integrante della villa. Durante la notte era riuscita, infatti, ad arrivare a Sperlonga ed ora che la luce del sole era una fedele alleata, poteva distinguere il familiare biancore della sabbia tipicamente sottile e dorata. L’arenile pianeggiante si alternava a speroni rocciosi che degradavano gettandosi in mare. Poco lontano poteva scorgere i monti Aurunci che contornavano il paesaggio guidando lo sguardo verso il Mar Tirreno e il Golfo di Gaeta.
Quante volte, da bambina, si era lanciata in sfrenate corse lungo quell'arenile! Quante giornate aveva trascorso all’ombra di quella spelonca fingendosi moglie dell’imperatore Tiberio con numerose ancelle al suo seguito! Si tuffò in mare e si lasciò avvolgere dalla refrigerante schiuma che increspava l’acqua. Andò giù più volte e il mondo sottemarino la colpì con i suoi colori, le sue sfumature: rosso corallo, verde smeraldo, blu cobalto, cernie, saraghi, marmore: a caso sul territorio vivevano popoli di pescatori.
Improvvisamente sentì delle urla, riaffiorò in superficie e riconobbe le armature dei saraceni. Atterrita nuoto’ rapidamente verso la costa, a destra, e quando vi giunse si issò sulle braccia stendendosi poi ansimante sulla battigia. Stava per alzarsi quando si vide circondata da una decina di uomini: erano gli abitanti di Itri.
“E proprio il popolo di Itri l’aiutò a scappare dal Barbarossa che ben presto arrivò a Sperlonga radendola al suolo”
Mia nonna chiude il diario, sospira. Sento che si gira a guardarmi mentre resto ancora un po’ con la testa appoggiata sulle sue ginocchia; ho chiuso gli occhi nello sforzo di visualizzare il mare refrigerante e spumoso che avvolgeva Giulia come un telo protettivo di fronte al pericolo saraceno.
Probabilmente mia nonna sta pensando che io stia dormendo poiché si alza lasciando il diario accanto a me. Ripenso, come in un sogno, all’ultima estate trascorsa qui a Sperlonga, prima della mia malattia, prima dello scorso inverno quando i medici con poche parole hanno cambiato definitivamente il corso della mia vita. “ Un male incurabile” lo hanno definito.
E ora sono qui, nella mia terra natia; tento di non frantumarmi in mille pezzi.
Mia nonna esce dalla stanza, io mi alzo decisa a fare due passi. Porto il diario con me. Da quando avevo sei anni, d’estate, è divenuta un’abitudine, quasi un rituale, una convenzione tra me e mia nonna leggere quelle pagine che ripropongono una fonte storica sulle origini di Sperlonga. Mi aveva fatto compagnia, quel diario, durante le sere piovose o troppo afose quando, adolescente, non avevo voglia di uscire.
In strada l’aria profuma ancora d’estate, anche se settembre è inoltrato. Raggiungo in breve tempo il borgo antico. Tra i vicoletti e le stradine mi riscalda il pensiero del silenzio, quasi di marmo, che pesa sulle orecchie di gente dalle mani rugose intorno al camino in attesa del sonno. Svolto l’angolo imbiancato di calce e impreziosito da un grande vaso in cui troneggia una palma nana, tipica di questo luogo. Percorro la piazzetta e senza avvedermene mi ritrovo di fronte alla chiesa sconsacrata: torno indietro nel tempo, a quando ero bambina e insieme ai miei compagni di scuola, facevamo a gara a chi aveva il coraggio di entrarvi.
Decido di raggiungere il lungomare scendendo per le bianche scalette di pietra ornate di colorati corrimano. Ogni cosa, qui, racconta di gente semplice, genuina, generosa.
Giunta sul lungomare mi accoglie una panchina consunta dal tempo e dalla salsedine.
Sono stanca, mi appoggio sul ferro freddo a strisce e scruto il litorale laziale: resto senza fiato. Dinanzi a me si estende uno specchio d’acqua azzurrina, cristallo frangibile che riflette la vita di una cittadina arroccata ai piedi di monte San Magno. Un’ampia distesa di sabbia bianchissima e dalla grana sottile si alterna ad anfratti e speroni rocciosi. Il mio sguardo vaga dal porticciolo sormontato dalla bellissima Torre Truglia, famosa per essere stata in passato più volte attaccata dagli invasori, sino a giungere alla splendida grotta di Tiberio. Quanta storia trasuda da quell’ombroso rifugio!
Lascio vagare lo sguardo tra cielo e mare. La vastità del Belvedere mi sovrasta, come sempre.
È blu, questo mar Tirreno che bagna la costa, è talmente trasparente da lasciar intravedere, ad uno sguardo attento cernie, triglie e occhiate dai riflessi argentati. Sul fondale, nascosti alla voracità dei pescatori, so di per certo che guizzano ricciole e murene, mentre tra gli scogli, a tratti, luccicano al sole granchi e paguri in movimento.
Tra il blu cobalto e il rosso corallo di questa simpatica vita sottomarina, è facile scorgere il riflesso, a pelo d’acqua, del panorama circostante: case addossate come vecchie matrone di paese si stringono l’una all’altra, mostrando pareti di un candido biancore e finestre dai battenti dello stesso colore blu del mare. Mi volto, alzo lo sguardo e le vedo, quelle casette, sul piccolo promontorio di Sperlonga, a picco sul mare. Pare stiano lì lì per cadere in avanti, come me che vacillo sull’incertezza del mio futuro. Una folata di vento mi fa rabbrividire.
Inizio la mia passeggiata lungo i lidi attrezzati per le famiglie e osservo la frenesia della vita intorno a me. Molti stabilimenti sono ancora affollati da bambini festanti, ristorantini e camping dipingono di folklore ogni angolo. Il carrubo e il ginepro fenicio incorniciano il variopinto paesaggio. Inspiro l’aria umida e settembrina, profumata di sabbia e mare, e ripenso alla mia vita, condotta fino ad oggi senza un obiettivo reale, dominante. Mi rivedo distratta da futili preoccupazioni, condurre le giornate senza un credo interiore. Domani saprò che scorciatoia prenderà la mia vita, l’esito dell’ultima visita medica si sta facendo attendere più del previsto. Penso che la vita sia molto simile ad un viaggio e il viaggio più importante è quello che lo riporta verso i nodi fondanti del proprio essere. È il viaggio che, in seguito a svariate scorciatoie, diverse deviazioni e svolte errate, ci riconduce dinanzi all'incrocio o al bivio più impegnativo: da lì, dalla decisione di svoltare a destra o a sinistra, di procedere o tornare indietro, comincerà il vero cammino che prevede lunghe soste per riflettere, meditare e riposare la mente ed il cuore. È un viaggio verso casa, poiché per trovare e raggiungere la propria metà, è necessario fare i conti e risolvere tutti i dubbi, le incertezze, le incomprensioni e le amarezze che ci si è buttati alle spalle quando non si è avuto il coraggio o la maturità per affrontarli. Risolti i nodi della propria esistenza si può allora, con la mente scevra da paure e tentennamenti, guardare all’orizzonte.
E, tra un pensiero e l’altro, eccomi giunta alla meravigliosa Villa dell’imperatore Tiberio.
Qui ha lasciato la sua impronta la cultura romana. Qui si odono ancora parole regali. La grotta, relativamente profonda, dispensa ombra e refrigerio. Dinanzi ad essa i resti di una piscina naturale che offriva acqua marina ricca di pesci di ogni specie. Vedo solo resti con il mio occhio, invece scorgo vite, passioni e dolori con il mio cuore. Tutto racconta di un tempo che non è estinto, ma solo sopito, un tempo di gloria e onore e coraggio che ancora mi insegna a vivere.
Mi addentro, siedo all’ombra, riapro il diario: le parole di Giulia Gonzaga mi guidano verso una luce di salvezza che supera i confini temporali…e regala un barlume di speranza.
Domande da interrogazione
- Chi era Giulia Gonzaga e quale evento storico ha segnato profondamente la sua vita?
- Qual è il legame tra Giulia Gonzaga e il cardinale Ippolito?
- Come ha reagito Giulia Gonzaga all'attacco dei saraceni a Fondi?
- Qual è il significato del diario letto dalla protagonista e quale ruolo gioca nella narrazione?
- Quali sono i sentimenti e le riflessioni della protagonista riguardo alla sua vita e alla sua malattia?
Giulia Gonzaga era una nobildonna vissuta nel XVI secolo, la cui vita fu segnata dall'attacco dei saraceni a Fondi nel 1534, evento durante il quale temette di essere catturata e consegnata a Solimano I.
Il cardinale Ippolito era profondamente innamorato di Giulia Gonzaga, tanto da dedicarle versi in cui paragonava la sua passione per lei all'incendio di Troia, un legame che emerge chiaramente dal testo.
Giulia Gonzaga ha reagito all'attacco dei saraceni cercando di sfuggire alla cattura. Si è spogliata delle sue vesti regali, si è coperta con dei cenci e ha cercato rifugio, riuscendo a raggiungere Sperlonga e a nascondersi in una spelonca della villa imperiale di Tiberio.
Il diario, che racconta la storia di Giulia Gonzaga e degli eventi di Sperlonga, funge da collegamento tra il passato e il presente, offrendo alla protagonista e alla sua nonna un modo per rivivere e tramandare la storia e le origini di Sperlonga, oltre a essere fonte di conforto e riflessione.
La protagonista riflette sulla sua vita e sulla sua malattia incurabile con una certa rassegnazione ma anche con la determinazione di affrontare il futuro. Considera la vita come un viaggio pieno di incroci e bivi, e la malattia come un punto di svolta che la costringe a riflettere sui veri valori e sul significato del suo cammino.