Versione originale in latino
63. Ubi haec atque talia velut in commune disseruit, complectitur uxorem, et paululum adversus praesentem fortitudinem mollitus rogat oratque temperaret dolori [neu] aeternum susciperet, sed in contemplatione vitae per virtutem actae desiderium mariti solaciis honestis toleraret. Illa contra sibi quoque destinatam mortem adseverat manumque percussoris exposcit.
Tum Seneca gloriae eius non adversus, simul amore, ne sibi unice dilectam ad iniurias relinqueret, “vitae” inquit “delenimenta monstraveram tibi, tu mortis decus mavis: non invidebo exemplo. Sit huius tam fortis exitus constantia penes utrosque par, claritudinis plus in tuo fine.” Post quae eodem ictu brachia ferro exsolvunt.
Seneca, quoniam senile corpus et parco victu tenuatum lenta effugia sanguini praebebat, crurum quoque et poplitum venas abrumpit; saevisque cruciatibus defessus, ne dolore suo animum uxoris infringeret atque ipse visendo eius tormenta ad impatientiam delaberetur, suadet in aliud cubiculum abscedere. Et novissimo quoque momento suppeditante eloquentia advocatis scriptoribus pleraque tradidit, quae in vulgus edita eius verbis invertere supersedeo.
Traduzione all'italiano
63. Dopo che ebbe fatto questi e tali discorsi, per così dire presenti, abbraccia la moglie e, un po’ intenerito, rispetto alla fortezza d’animo di quel momento, la prega e scongiura di moderare il dolore e di non mantenerlo per sempre, ma di sopportare nella contemplazione di una vita trascorsa nella virtù la nostalgia del marito con onorevoli consolazioni. Ella, al contrario, afferma con forza che la morte era stata destinata anche per lei e chiede la mano del carnefice.
Allora Seneca, non opponendosi alla gloria di lei, contemporaneamente per amore, per non lasciare (Paolina), da lui amata come nessun’altra cosa, alle offese, disse: “Ti avevo mostrato i conforti della vita, tu preferisci il vanto della morte: non ti priverò della possibilità di un gesto esemplare. La fermezza di questa morte così nobile sia pari presso entrambi, ci sia maggior splendore nella tua fine”. E dopo queste parole, col medesimo colpo, aprono con la spada le vene delle braccia.
Seneca, poiché il corpo vecchio e indebolito da un tenore di vita frugale offriva lente vie d’uscita al sangue, spezzò anche le vene delle gambe e quelle dietro le ginocchia; e sfinito dagli atroci tormenti, per non spezzare il coraggio della moglie col suo dolore e per non lasciarsi andare egli stesso alla debolezza vedendo le sofferenze di lei, la persuade a ritirarsi in un’altra stanza. E anche nel supremo istante, poiché aveva ancora abbondante facondia, chiamati gli scrivani, dettò parecchi pensieri che, poiché sono stati pubblicati tra il volgo con le sue parole, mi astengo dal parafrasare.