Versione originale in latino
Nec multo post Granium Marcellum praetorem Bithyniae quaestor ipsius Caepio Crispinus maiestatis postulavit, subscribente Romano Hispone: qui formam vitae iniit, quam postea celebrem miseriae temporum et audaciae hominum fecerunt. Nam egens, ignotus, inquies, dum occultis libellis saevitiae principis adrepit, mox clarissimo cuique periculum facessit, potentiam apud unum, odium apud omnis adeptus dedit exemplum, quod secuti ex pauperibus divites, ex contemptis metuendi perniciem aliis ac postremum sibi invenere. Sed Marcellum insimulabat sinistros de Tiberio sermones habuisse, inevitabile crimen, cum ex moribus principis foedissima quaeque deligeret accusator obiectaretque reo. Nam quia vera erant, etiam dicta credebantur. Addidit Hispo statuam Marcelli altius quam Caesarum sitam, et alia in statua amputato capite Augusti effigiem Tiberii inditam. Ad quod exarsit adeo, ut rupta taciturnitate proclamaret se quoque in ea causa laturum sententiam palam et iuratum, quo ceteris eadem necessitas fieret. Manebant etiam tum vestigia morientis libertatis. Igitur Cn. Piso 'quo' inquit 'loco censebis, Caesar? Si primus, habebo quod sequar: si post omnis, vereor ne inprudens dissentiam.' permotus his, quantoque incautius efrerverat, paenitentia patiens tulit absolvi reum criminibus maiestatis: de pecuniis repetundis ad reciperatores itum est.
Traduzione all'italiano
Non passò molto tempo e il pretore di Bitinia Granio Marcello venne imputato di lesa maestà dal suo questore Cepione Crispino, e l'accusa venne sottoscritta da Romano Ispone. Cepione inaugurò una pratica che l'infamia dei tempi e l'impudenza degli uomini resero di moda. Egli infatti, povero e sconosciuto ma intrigante, riuscì a insinuarsi, attraverso rapporti riservati, nell'animo crudele del principe e a farsi ben presto pericolosissimo per le personalità più in vista, acquistando potere presso una sola persona ed esecrazione da parte di tutti: diede così un esempio, grazie a cui i suoi imitatori, divenuti ricchi da poveri e temibili da insignificanti, provocarono la rovina di altri e, alla fine, anche di se stessi. Cepione denunciava Marcello per aver pronunciato discorsi offensivi contro Tiberio, addebito incontestabile, perché l'accusatore sceglieva dalla vita del principe le peggiori turpitudini e le attribuiva all'accusato: e, trattandosi di cose vere, si credeva anche che fossero state pronunciate. Ispone aggiunse nella denuncia che Marcello aveva assegnato alla propria statua un posto più alto rispetto alle statue dei Cesari, e sostituito, in un'altra statua, il volto di Tiberio alla testa amputata di Augusto. Di fronte a queste accuse, Tiberio si adirò al punto da proclamare, infrangendo il suo abituale silenzio, che, in quella causa, anche lui avrebbe espresso il suo giudizio, palese e sotto giuramento, per costringere gli altri a fare altrettanto. Rimaneva, però, qualche traccia della moribonda libertà. Gneo Pisone infatti chiese: "A che punto darai il voto, Cesare? Se sarai il primo, saprò come regolarmi; se invece dopo tutti, temo di poter dissentire senza volerlo". Scosso da queste parole, Tiberio, remissivo nel ricredersi, quanto più s'era prima scoperto in preda alla collera, lasciò che l'accusato fosse assolto dal reato di lesa maestà e, per il reato di concussione, passò la causa ai giudici competenti.