Versione originale in latino
Stupentes tribunos et suam iam vicem magis anxios quam eius cui auxilium ab se petebatur, liberavit onere consensus populi Romani ad preces et obtestationem versus ut sibi poenam magistri equitum dictator remitteret. Tribuni quoque inclinatam rem in preces subsecuti orare dictatorem insistunt ut veniam errori humano, veniam adulescentiae Q. Fabi daret; satis eum poenarum dedisse. Iam ipse adulescens, iam pater M. Fabius contentionis obliti procumbere ad genua et iram deprecari dictatoris. Tum dictator silentio facto 'bene habet' inquit, 'Quirites; vicit disciplina militaris, vicit imperii maiestas, quae in discrimine fuerunt an ulla post hanc diem essent. Non noxae eximitur Q. Fabius, qui contra edictum imperatoris pugnavit, sed noxae damnatus donatur populo Romano, donatur tribuniciae potestati precarium non iustum auxilium ferenti. Vive, Q. Fabi, felicior hoc consensu civitatis ad tuendum te quam qua paulo ante insultabas victoria; vive, id facinus ausus, cuius tibi ne parens quidem, si eodem loco fuisset quo fuit L. Papirius, veniam dedisset. Mecum, ut voles, reverteris in gratiam; populo Romano, cui vitam debes, nihil maius praestiteris quam si hic tibi dies satis documenti dederit ut bello ac pace pati legitima imperia possis.' cum se nihil morari magistrum equitum pronuntiasset, degressum eum templo laetus senatus, laetior populus, circumfusi ac gratulantes hinc magistro equitum, hinc dictatori, prosecuti sunt, firmatumque imperium militare haud minus periculo Q. Fabi quam supplicio miserabili adulescentis Manli videbatur. Forte ita eo anno evenit ut, quotienscumque dictator ab exercitu recessisset, hostes in Samnio moverentur. Ceterum in oculis exemplum erat Q. Fabius M. Valerio legato, qui castris praeerat, ne quam vim hostium magis quam trucem dictatoris iram timeret. Itaque frumentatores cum circumventi ex insidiis caesi loco iniquo essent, creditum volgo est subveniri eis ab legato potuisse, ni tristia edicta exhorruisset. Ea quoque ira alienavit a dictatore militum animos iam ante infensos quod implacabilis Q. Fabio fuisset et, quod suis precibus negasset, eius populo Romano veniam dedisset.
Traduzione all'italiano
I tribuni, attoniti e ormai preoccupati più per se stessi che per l'uomo a favore del quale veniva richiesta la loro intercessione, vennero liberati dal peso della responsabilità per il volere unanime del popolo romano che si rivolse al dittatore implorandolo con suppliche e preghiere di condonare per grazia sua la pena al maestro di cavalleria. Anche i tribuni, seguendo quell'esempio, imploravano con insistenza il dittatore di perdonare l'errore dell'uomo e la giovane età di Quinto Fabio, il quale aveva già pagato abbastanza. Ora il ragazzo stesso, ora il padre, messa da parte ogni intenzione polemica, si prostravano alle ginocchia del dittatore cercando di stornarne la collera. Fu allora che il dittatore, dopo aver ottenuto silenzio, disse: "Così sia, o Quiriti: hanno avuto la meglio la disciplina militare e l'autorità della carica, che dopo la giornata di oggi avevano corso il rischio di non esistere più. Quinto Fabio, che ha combattuto contro gli ordini del dittatore, non viene assolto dal reato; pur essendo stato riconosciuto colpevole di tale imputazione, viene graziato in nome del popolo romano e del potere dei tribuni, i quali sono intervenuti in suo aiuto con le suppliche e non con l'intercessione prevista dalla legge. Vivi, Quinto Fabio, più felice per il consenso unanime dimostrato dalla città nel volerti proteggere che per la vittoria per la quale poco fa esultavi. Vivi, anche se hai osato commettere un'azione che nemmeno un padre ti avrebbe perdonato, trovandosi al posto di Papirio. I rapporti con me torneranno a essere dei migliori quando tu lo vorrai. Quanto al popolo romano, al quale devi la vita, non puoi fare nulla di meglio che dimostrare che questo giorno ti ha insegnato chiaramente a sottostare, tanto in pace quanto in guerra, all'autorità costituita". Poi, dopo aver dichiarato che lasciava libero il maestro di cavalleria, scese dalla tribuna e il senato in festa e il popolo ancora più in tripudio li circondarono e li seguirono, rallegrandosi ora con il maestro di cavalleria, ora con il dittatore. Sembrò così che il pericolo corso da Fabio non avesse contribuito meno della miserabile fine del giovane Manlio a consolidare l'autorità militare. Per caso quell'anno successe che, ogni qual volta il dittatore si allontanava dall'esercito, i nemici prendevano iniziative nel Sannio. Ma con l'esempio di Quinto Fabio di fronte agli occhi, Marco Valerio, il luogotenente preposto all'accampamento, temeva la collera irrazionale del dittatore più di qualunque assalto nemico. E così, quando un gruppo di soldati inviati a fare provviste di frumento caddero in un'imboscata in un punto sfavorevole e furono massacrati, l'opinione comune fu che il luogotenente li avrebbe potuti soccorrere se non avesse avuto paura delle severe disposizioni del dittatore. L'indignazione per questo fatto alienò ancora di più al dittatore le simpatie dei soldati, i quali erano già in precedenza maldisposti per l'intransigenza dimostrata nei confronti di Quinto Fabio e per il fatto che Papirio aveva concesso quella grazia al popolo romano, disdegnando invece le loro suppliche.