Versione originale in latino
Pari subinde periculo gloriaeque eventu bellum in Samnitibus erat, qui, praeter ceteros belli apparatus, ut acies sua fulgeret novis armorum insignibus fecerunt. Duo exercitus erant; scuta alterius auro, alterius argento caelaverunt; forma erat scuti: summum latius, qua pectus atque umeri teguntur, fastigio aequali; ad imum cuneatior mobilitatis causa. Spongia pectori tegumentum et sinistrum crus ocrea tectum. Galeae cristatae, quae speciem magnitudini corporum adderent. Tunicae auratis militibus versicolores, argentatis linteae candidae. His dextrum cornu datum: illi in sinistro consistunt. Notus iam Romanis apparatus insignium armorum fuerat doctique a ducibus erant horridum militem esse debere, non caelatum auro et argento sed ferro et animis fretum: quippe illa praedam verius quam arma esse, nitentia ante rem, deformia inter sanguinem et volnera. Virtutem esse militis decus: et omnia illa victoriam sequi et ditem hostem quamvis pauperis victoris praemium esse. His Cursor vocibus instinctos milites in proelium ducit. Dextro ipse cornu consistit, sinistro praefecit magistrum equitum. Simul est concursum, ingens fuit cum hoste certamen, non segnius inter dictatorem et magistrum equitum ab utra parte victoria inciperet. Prior forte Iunius commovit hostem, laevo dextrum cornu, sacratos more Samnitium milites eoque candida veste et paribus candore armis insignes; eos se Orco mactare Iunius dictitans, cum intulisset signa, turbavit ordines et haud dubie impulit aciem. Quod ubi sensit dictator, "ab laevone cornu victoria incipiet" inquit "et dextrum cornu, dictatoris acies, alienam pugnam sequetur, non partem maximam victoriae trahet?" concitat milites; nec peditum virtuti equites aut legatorum studia ducibus cedunt. M. Valerius a dextro, P. Decius ab laevo cornu, ambo consulares, ad equites in cornibus positos evehuntur adhortatique eos, ut partem secum capesserent decoris, in transversa latera hostium incurrunt. Is novus additus terror cum ex parte utraque circumvasisset aciem et ad terrorem hostium legiones Romanae redintegrato clamore intulissent gradum, tum fuga ab Samnitibus coepta. Iam strage hominum armorumque insignium campi repleri; ac primo pavidos Samnites castra sua accepere, deinde ne ea quidem retenta; captis direptisque ante noctem iniectus ignis. Dictator ex senatus consulto triumphavit, cuius triumpho longe maximam speciem captiva arma praebuere. Tantum magnificentiae visum in his, ut aurata scuta dominis argentariarum ad forum ornandum dividerentur. Inde natum initium dicitur fori ornandi ab aedilibus cum tensae ducerentur. Et Romani quidem ad honorem deum insignibus armis hostium usi sunt: Campani ad superbiam et odio Samnitium gladiatores, quod spectaculum inter epulas erat, eo ornatu armarunt Samnitiumque nomine compellarunt. Eodem anno cum reliquiis Etruscorum ad Perusiam, quae et ipsa indutiarum fidem ruperat, Fabius consul nec dubia nec difficili victoria dimicat. Ipsum oppidum - nam ad moenia victor accessit - cepisset, ni legati dedentes urbem exissent. Praesidio Perusiae imposito, legationibus Etruriae amicitiam petentibus prae se Romam ad senatum missis consul praestantiore etiam quam dictator victoria triumphans urbem est invectus; quin etiam devictorum Samnitium decus magna ex parte ad legatos, P. Decium et M. Valerium, est versum, quos populos proximis comitiis ingenti consensu consulem alterum, alterum praetorem declaravit.
Traduzione all'italiano
Poco tempo dopo i Romani corsero un pericolo analogo, riportando però un successo altrettanto netto contro i Sanniti i quali, oltre agli altri preparativi militari, avevano fatto sì che le loro armate fossero più splendenti grazie a una nuova e brillante armatura. Gli eserciti erano due: uno aveva lo scudo cesellato in oro, l'altro in argento. La forma dello scudo era questa: più largo in alto per coprire il petto e le spalle, il bordo livellato e, sul fondo, fatto a cuneo per renderlo più maneggevole. A protezione del torace avevano una corazza spugnosa, mentre per la gamba sinistra c'era uno schiniere. Gli elmi erano dotati di cresta, per accrescere l'imponenza delle persone. Le tuniche dei soldati provvisti di scudo dorato erano di varie tinte, mentre quelle dei soldati con lo scudo d'argento erano di lino bianchissimo. Ai primi venne affidata l'ala sinistra, ai secondi la destra. Ma i Romani erano già stati informati di quell'armatura splendente, e i comandanti avevano ricordato loro che il soldato deve avere un aspetto rude, non avere addosso armi cesellate d'oro e d'argento, ma confidare nella propria spada e nel proprio valore. A essere sinceri, non armi erano quelle, ma futuro bottino: brillanti prima dello scontro, segno di infamia tra il sangue e le ferite. Il valore era l'ornamento dei soldati: tutto quel prezioso splendore sarebbe stato il séguito della vittoria, e un nemico ricco era il premio del vincitore, per quanto povero questi potesse essere. Risollevati i suoi uomini con queste parole, Cursore li guidò in battaglia. Egli andò ad occupare l'ala destra, mentre alla sinistra collocò il maestro di cavalleria. All'inizio dello scontro la lotta col nemico fu accesa, e non meno viva la competizione tra il dittatore e il maestro di cavalleria per stabilire chi avesse dato il via per primo alla vittoria. Il destino volle che Giunio fosse il primo a far indietreggiare i nemici, attaccando con l'ala sinistra il fianco destro del nemico (composto di uomini votatisi agli dèi, secondo la tradizione sannita, e per questo vestiti tutti di bianco). Proclamando che avrebbe immolato i nemici all'Orco, Giunio si lanciò all'attacco e ne scompigliò le file, costringendo il fronte a indietreggiare sensibilmente dalla sua linea. Quando il dittatore se ne accorse, disse: "Allora la vittoria inizierà dall'ala sinistra, e l'ala destra, con le truppe del dittatore, starà a guardare le sorti del combattimento altrui, non farà la parte del leone nella vittoria?". Con questo intervento infiammò gli animi dei suoi soldati, e i cavalieri non furono da meno dei fanti quanto a valore dimostrato, così come i luogotenenti non lo furono rispetto ai comandanti. Marco Valerio all'ala destra, Publio Decio a sinistra (entrambi ex consoli), si lanciarono dalla parte dei cavalieri schierati alle due ali, esortandoli a conquistarsi la loro parte di gloria. Poi andarono all'assalto in diagonale contro i fianchi del nemico. Poiché questa nuova minaccia si era abbattuta sullo schieramento avversario da entrambe le parti, e la fanteria romana, vedendo i Sanniti in preda al panico, aveva di nuovo levato il grido di battaglia prendendo ad avanzare, i Sanniti cominciarono a fuggire. Le campagne già erano ingombre di cumuli di cadaveri e armi luccicanti. In un primo momento i Sanniti, terrorizzati, si andarono a rifugiare nell'accampamento; poi però non riuscirono a tenere nemmeno questo, che prima del calar della notte venne conquistato, saccheggiato e dato alle fiamme. Su decreto del senato il dittatore ottenne il trionfo, il cui più splendido ornamento furono le armi strappate ai Sanniti. Sembrarono così straordinarie, che gli scudi dorati furono consegnati ai banchieri, affinché fungessero da addobbo per il Foro. Si dice che di lì sia nato l'uso degli edili di adornare il Foro per le processioni solenni sui carri. Mentre i Romani utilizzarono le armi dei nemici per rendere omaggio agli dèi, i Campani, per sfrontatezza e risentimento verso i Sanniti, dotarono con quelle armature i gladiatori che si esibivano durante i banchetti, e diedero loro il nome di Sanniti. Nello stesso anno il console Fabio combatté contro i resti dell'esercito etrusco nei pressi di Perugia, che aveva violato la tregua, e conseguì una vittoria facile e netta. E avrebbe anche espugnato con la forza la città - alle cui mura si stava già avvicinando dopo la vittoria -, se non ne fossero usciti ambasciatori a offrire la resa. Lasciata una guarnigione armata a Perugia, il console mandò avanti in senato, a Roma, gli ambasciatori etruschi con la richiesta di un trattato di amicizia, ed entrò poi in città in trionfo, dopo aver conseguito una vittoria ancora più memorabile di quella del dittatore. A dir la verità, gran parte del merito della sconfitta inflitta ai Sanniti venne attribuito ai luogotenenti Publio Decio e Marco Valerio, i quali, nel corso delle successive elezioni, vennero nominati con ampia maggioranza console il primo e pretore il secondo.