Versione originale in latino
Anno circumacto bellum deinceps ab dictatore Q. Fabio gestum est. Consules novi, sicut superiores, Romae manserunt; Fabius ad accipiendum ab Aemilio exercitum ad Saticulam cum supplemento venit. Neque enim Samnites ad Plisticam manserant sed accitis ab domo novis militibus multitudine freti castra eodem quo antea loco posuerunt lacessentesque proelio Romanos avertere ab obsidione conabantur. Eo intentius dictator in moenia hostium versus id bellum tantum ducere quod urbem oppugnabat, securior ab Samnitibus agere stationibus modo oppositis ne qua in castra vis fieret. Eo ferocius adequitare Samnites vallo neque otium pati; et cum iam prope in portis castrorum esset hostis, nihil consulto dictatore magister equitum Q. Aulius Cerretanus magno tumultu cum omnibus turmis equitum evectus summovit hostem. Tum in minime pertinaci genere pugnae sic fortuna exercuit opes ut insignes utrimque clades et clara ipsorum ducum ederet funera. Prior Samnitium imperator aegre patiens, quo tam ferociter adequitasset, inde se fundi fugarique, orando hortandoque equites proelium iteravit; in quem insignem inter suos cientem pugnam magister equitum Romanus infesta cuspide ita permisit equum ut uno ictu exanimem equo praecipitaret. Nec, ut fit, ad ducis casum perculsa magis quam inritata est multitudo; omnes qui circa erant in Aulium temere invectum per hostium turmas tela coniecerunt; fratri praecipuum decus ulti Samnitium imperatoris <di> dederunt. Is victorem detractum ex equo magistrum equitum plenus maeroris atque irae trucidavit, nec multum afuit quin corpore etiam, quia inter hostiles ceciderat turmas, Samnites potirentur. Sed extemplo ad pedes descensum ab Romanis est coactique idem Samnites facere; et repentina acies circa corpora ducum pedestre proelium iniit, quo haud dubie superat Romanus, reciperatumque Auli corpus mixta cum dolore laetitia victores in castra referunt. Samnites duce amisso et per equestre certamen temptatis viribus, omissa Saticula, quam nequiquam defendi rebantur, ad Plisticae obsidionem redeunt intraque paucos dies Saticula Romanus per deditionem, Plistica per vim Samnis potitur.
Traduzione all'italiano
A fine anno, la guerra fu poi proseguita dal dittatore Quinto Fabio. I nuovi consoli, così come i loro predecessori, rimasero a Roma. Fabio arrivò a Saticula con rinforzi per prendere in consegna l'esercito da Emilio. I Sanniti, infatti, non erano rimasti nei dintorni di Plistica ma, fatte arrivare dalla patria delle nuove forze e confidando nella loro superiorità numerica, si erano accampati nella stessa posizione di prima, e cercavano di distogliere i Romani dall'assedio provocandoli allo scontro. E il dittatore, rivoltosi con impeto ancora maggiore contro le mura nemiche, convinto che la vera guerra fosse soltanto quella che aveva come meta ultima l'espugnazione della città, non dava troppo peso ai Sanniti, opponendosi alle loro sortite solo con presidi armati a guardia dell'accampamento, per premunirsi di fronte a un'eventuale incursione nemica. Per questo i Sanniti cavalcavano tanto più baldanzosi davanti alla trincea, senza concedersi un attimo di tregua. E poiché il nemico era ormai quasi alle porte del campo, il maestro di cavalleria Quinto Aulio Cerretano, senza richiedere il parere del dittatore, utilizzando tutti gli squadroni di cavalleria, organizzò un'impetuosa sortita e respinse i Sanniti. In quel frangente, in un combattimento che di solito non vede mai troppa determinazione, la sorte esercitò il suo potere al punto da mietere stragi in entrambi gli schieramenti e causare la morte gloriosa dei comandanti stessi. Il capo dei Sanniti per primo, non accettando l'eventualità di essere sconfitto e messo in fuga da posizioni occupate con tanta ostinazione, pregò e incitò i suoi cavalieri a rituffarsi nella mischia. Contro di lui, che si distingueva tra i suoi nel rinnovare la battaglia, il maestro di cavalleria romano, la lancia spianata, spronò il cavallo con tanta furia da sbalzarlo esanime di sella al primo colpo. Le truppe, contrariamente al solito, non furono scoraggiate dalla caduta del loro comandante: anzi, si infiammarono. I Sanniti in massa scagliarono le loro frecce contro Aulio, che si era spinto imprudentemente in mezzo agli squadroni nemici. Fu soprattutto al fratello che gli dèi concessero la gloria di vendicarsi del comandante sannita caduto: dopo aver trascinato giù dal cavallo il maestro di cavalleria vincitore, lo massacrò col cuore gonfio di rabbia e di dolore, e poco mancò che i Sanniti si impossessassero anche della salma, finita tra gli squadroni nemici. Ma i Romani scesero immediatamente da cavallo e si misero a combattere da fanti, costringendo i Sanniti a fare altrettanto. L'improvvisata fanteria iniziò il combattimento intorno ai cadaveri dei comandanti. I Romani ebbero la meglio, rientrando così in possesso del corpo di Aulio, che riportarono vittoriosi all'accampamento, divisi tra il dolore e la gioia. I Sanniti, perso il comandante, stremati dalla battaglia a cavallo, abbandonarono Saticula, che ormai sembrava inutile difendere, e tornarono all'assedio di Plistica. Così, nell'arco di pochi giorni, i Romani presero Saticula che si arrese spontaneamente, mentre i Sanniti conquistarono Plistica con il ricorso alla forza.