Pillaus
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Versione originale in latino


Procedente deinde certamine cum aliis partibus multitudo superaret Latinorum, Manlius consul audito eventu collegae, cum, ut ius fasque erat, lacrimis non minus quam laudibus debitis prosecutus tam memorabilem mortem esset, paulisper addubitavit an consurgendi iam triariis tempus esset; deinde melius ratus integros eos ad ultimum discrimen servari, accensos ab novissima acie ante signa procedere iubet. Qui ubi subiere, extemplo Latini, tamquam idem adversarii fecissent, triarios suos excitaverunt; qui aliquamdiu pugna atroci cum et semet ipsi fatigassent et hastas aut praefregissent aut hebetassent, pellerent [vi] tamen hostem, debellatum iam rati perventumque ad extremam aciem, tum consul triariis 'consurgite nunc' inquit, 'integri adversus fessos, memores patriae parentumque et coniugum ac liberorum, memores consulis pro vestra victoria morte occubantis'.
Ubi triarii consurrexerunt integri refulgentibus armis, nova ex improviso exorta acies, receptis in intervalla ordinum antepilanis, clamore sublato principia Latinorum perturbant hastisque ora fodientes primo robore virorum caeso per alios manipulos velut inermes prope intacti evasere tantaque caede perrupere cuneos ut vix quartam partem relinquerent hostium. Samnites quoque sub radicibus montis procul instructi praebuere terrorem Latinis. Ceterum inter omnes cives sociosque praecipua laus eius belli penes consules fuit, quorum alter omnes minas periculaque ab deis superis inferisque in se unum vertit, alter ea virtute eoque consilio in proelio fuit ut facile convenerit inter Romanos Latinosque, qui eius pugnae memoriam posteris tradiderunt, utrius partis T. Manlius dux fuisset, eius futuram haud dubie fuisse victoriam. Latini ex fuga se Minturnas contulerunt. Castra secundum proelium capta multique mortales ibi vivi oppressi, maxime Campani. Decii corpus ne eo die inveniretur, nox quaerentes oppressit; postero die inventum inter maximum hostium stragem, coopertum telis, funusque ei par morti celebrante collega factum est. Illud adiciendum videtur licere consuli dictatorique et praetori, cum legiones hostium devoveat, non utique se sed quem velit ex legione Romana scripta civem devovere; si is homo qui devotus est moritur, probe factum videri; ni moritur, tum signum septem pedes altum aut maius in terram defodi et piaculum [hostia] caedi; ubi illud signum defossum erit, eo magistratum Romanum escendere fas non esse. Sin autem sese devovere volet, sicuti Decius devovit, ni moritur, neque suum neque publicum divinum pure faciet, sive hostia sive quo alio volet. Qui sese devoverit, Volcano arma sive cui alii divo vovere volet ius est. Telo, super quod stans consul precatus est, hostem potiri fas non est; si potiatur, Marti suovetaurilibus piaculum fieri.

Traduzione all'italiano


Mentre la battaglia continuava e in alcuni punti i Latini stavano avendo la meglio grazie alla superiorità numerica, il console Manlio venne a conoscenza della fine del collega e, dopo aver onorato con il pianto e le giuste lodi - come richiedevano il senso del dovere e la pietà - una morte così gloriosa, rimase per un attimo nel dubbio se fosse già giunto il tempo di una sortita dei triarii. Ma poi, pensando fosse preferibile tenerli in serbo per l'attacco finale, ordinò agli accensi di portarsi dalle retrovie al di là delle insegne. Non appena essi presero posizione, ecco che i Latini, convinti che gli avversari avessero fatto la stessa mossa, mandarono avanti i loro triarii, i quali, pur sfiniti, con le lance rotte o spuntate, dopo aver combattutto con grande accanimento per qualche tempo, riuscirono a respingere il nemico; e credevano di aver già avuto la meglio e di aver raggiunto l'ultima linea avversaria, quando il console disse ai triarii: "Ora alzatevi e affrontate freschi come siete il nemico sfinito, ricordandovi della patria, dei genitori, di mogli e figli, e del console caduto per la vostra vittoria". Quando i triarii si alzarono, pieni di energie, con le loro armi luccicanti, nuova schiera spuntata all'improvviso, accolsero gli antepilani negli spazi vuoti tra le loro schiere e levando il grido di guerra seminarono lo scompiglio tra le prime file dei Latini. Colpendoli in faccia con le aste e massacrandone il fiore della gioventù, penetrarono attraverso gli altri manipoli come se questi non fossero armati, frantumando i loro cunei con un massacro di tali proporzioni che a stento un quarto dei nemici sopravvisse. Anche i Sanniti, schierati a distanza ai piedi delle montagne, terrorizzarono i Latini. Tra tutti i cittadini e gli alleati, la gloria principale di quella vittoria fu dei consoli: uno dei quali aveva attirato unicamente verso la propria persona tutte le minacce e le maledizioni degli dèi celesti e infernali, mentre l'altro aveva dimostrato in battaglia un coraggio e un'accortezza tali che, quanti tra Romani e Latini lasciarono un resoconto della battaglia concordarono agevolmente sul fatto che qualunque fosse stata la parte guidata da Tito Manlio, a quella sarebbe sicuramente andata la vittoria. I Latini in fuga ripararono a Minturno. Il loro accampamento venne preso dopo la battaglia e lì molti uomini - in buona parte Campani - furono catturati e passati per le armi. Il corpo di Decio non venne recuperato quel giorno, perché la notte interruppe le ricerche. Fu rinvenuto il giorno dopo sotto un mucchio di frecce in mezzo all'enorme massa di nemici caduti. Il collega gli tributò onoranze funebri adeguate alla morte toccatagli. Mi sembra opportuno aggiungere che il console, il dittatore o il pretore che offra in sacrificio le legioni nemiche non deve necessariamente immolare se stesso, ma può scegliere di offrire un cittadino incluso in una legione romana regolarmente arruolata e scelto a suo piacimento. Se l'uomo che viene offerto muore, è segno che le cose riusciranno per il meglio. Se invece non muore, allora una sua immagine viene sotterrata a sette o più piedi di pro-fondità nella terra, e viene offerta in sacrificio una vittima espiatoria. E al magistrato romano non sarà consentito di salire sopra il punto in cui l'immagine è stata sotterrata. Se poi vuole offrire se stesso in voto, come fece Decio, e non muore, non può offrire sacrifici di natura né pubblica né privata senza macchiarsi di una colpa, sia che ricorra a una vittima, sia che si serva di un'altra offerta di suo piacimento. Colui che si offre in voto ha il diritto di dedicare le proprie armi a Vulcano o a qualunque altra divinità desideri. È considerata una violazione sacrilega che il nemico si impossessi del giavellotto sul quale è stato in piedi il console nell'atto di pronunciare la sua invocazione. Nel caso in cui la cosa si verifichi, bisogna placare l'ira di Marte offrendo in sacrificio una pecora, un maiale e un toro.

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