Versione originale in latino
Quid autem ego sic adhuc egi, tamquam integra sit causa patriciorum de sacerdotiis et non iam in possessione unius amplissimi simus sacerdotii? Decemviros sacris faciundis, carminum Sibyllae ac fatorum populi huius interpretes, antistites eosdem Apollinaris sacri caerimoniarumque aliarum plebeios videmus; nec aut tum patriciis ulla iniuria facta est, cum duumviris sacris faciundis adiectus est propter plebeios numerus, et nunc tribunus, vir fortis ac strenuus, quinque augurum loca, quattuor pontificum adiecit, in quae plebeii nominentur, non ut vos, Appi, vestro loco pellant sed ut adiuvent vos homines plebeii divinis quoque rebus procurandis, sicut in ceteris humanis pro parte virili adiuvant. Noli erubescere, Appi, collegam in sacerdotio habere, quem in censura, quem in consulatu collegam habere potuisti, cuius tam dictatoris magister equitum quam magistri equitum dictator esse potes. Sabinum advenam, principem nobilitati vestrae, seu Attium Clausum seu Ap. Claudium mavoltis, illi antiqui patricii in suum numerum acceperunt: ne fastidieris nos in sacerdotum numerum accipere. Multa nobiscum decora adferimus, immo omnia eadem quae vos superbos fecerunt. L. Sextius primus de plebe consul est factus, C. Licinius Stolo primus magister equitum, C. Marcius Rutulus primus et dictator et censor, Q. Publilius Philo primus praetor. Semper ista audita sunt eadem penes vos auspicia esse, vos solos gentem habere, vos solos iustum imperium et auspicium domi militiaeque; aeque adhuc prosperum plebeium et patricium fuit porroque erit. En unquam fando audistis patricios primo esse factos non de caelo demissos sed qui patrem ciere possent, id est, nihil ultra quam ingenuos? Consulem iam patrem ciere possum avumque iam poterit filius meus. Nihil est aliud in re, Quirites, nisi ut omnia negata adipiscamur; certamen tantum patricii petunt nec curant quem eventum certaminum habeant. Ego hanc legem, quod bonum faustum felixque sit vobis ac rei publicae, uti rogas, iubendam censeo."
Traduzione all'italiano
Ma perché, fino a questo punto, mi sono espresso come se i patrizi continuassero ad avere privilegi assoluti in materia di cariche sacerdotali, e noi non avessimo già il controllo di una di esse, e per di più molto importante? Sappiamo che sono plebei i decemviri addetti alle cose sacre, interpreti delle profezie della Sibilla e del destino di questa gente, e inoltre custodi del tempio di Apollo e depositari di altri riti. E come i patrizi non hanno subito alcun torto quando il numero dei duumviri addetti alle cose sacre è stato aumentato per far posto ai plebei, allo stesso modo un tribuno forte e intraprendente ha adesso aggiunto quattro cariche pontificali e cinque augurali riservate ai plebei, non certo per scalzarvi dai vostri posti, Appio, ma perché gli esponenti della plebe operino al vostro fianco anche nell'esercizio delle funzioni divine, come già fanno in quelle umane per quanto sta in loro potere. Non vergognarti, Appio, di avere come collega nel sacerdozio chi può esserlo stato nella censura o nel consolato, o potrebbe essere dittatore mentre tu sei maestro di cavalleria o ancora maestro di cavalleria mentre tu eserciti la dittatura. I patrizi di un tempo accolsero tra loro uno straniero venuto dalla Sabina, capostipite della vostra nobile stirpe, l'uomo che voi chiamate Attio Clauso o Appio Claudio: di conseguenza non disdegnare di ammetterci nel numero dei sacerdoti. Portiamo con noi molti titoli di prestigio, anzi quelli stessi che vi hanno resi arroganti. Lucio Sestio fu il primo console plebeo, Gaio Licinio Stolone il primo maestro di cavalleria, Gaio Marcio Rutilo il primo dittatore e il primo censore, Quinto Publilio Filone il primo pretore. Da voi abbiamo sempre sentito le stesse argomentazioni: che gli auspici appartengono a voi, che voi soli avete sangue nobile, voi soli il potere legittimo nonché il diritto di prendere gli auspici in pace e in guerra. Ma fino a oggi il comando affidato ai patrizi e quello affidato ai plebei hanno fatto registrare gli stessi risultati, e sempre sarà così negli anni a venire. Ma non avete mai sentito dire che in origine a essere chiamati patrizi non furono esseri scesi dal cielo, ma piuttosto quelli che potevano chiamare il padre, o più semplicemente quanti erano nati liberi? Io posso ormai chiamare padre un console, e mio figlio potrà chiamare console suo nonno. Quindi, Quiriti, qui null'altro è in causa se non il fatto che ci venga concesso quanto ci era prima negato. La sola cosa che i patrizi cercano è il confronto politico, senza preoccuparsi dell'esito. Io sono dell'idea che questa legge dovrebbe essere approvata così com'è stata presentata, e che ciò possa essere motivo di prosperità per voi e per il paese".