Versione originale in latino
Haud invitis patribus P. Licinium Calvum praerogativa tribunum militum non petentem creant, moderationis expertae in priore magistratu virum, ceterum iam tum exactae aetatis; omnesque deinceps ex collegio eiusdem anni refici apparebat, L. Titinium P. Maenium Cn. Genucium L. Atilium. Qui priusquam renuntiarentur iure vocatis tribubus, permissu interregis P. Licinius Calvus ita verba fecit: "omen concordiae, Quirites, rei maxime in hoc tempus utili, memoria nostri magistratus vos his comitiis petere in insequentem annum video. Sed collegas eosdem reficitis, etiam usu meliores factos: me iam non eundem sed umbram nomenque P. Licini relictum videtis. Vires corporis adfectae, sensus oculorum atque aurium hebetes, memoria labat, vigor animi obtunsus. En vobis" inquit, "iuvenem", filium tenens, "effigiem atque imaginem eius quem vos antea tribunum militum ex plebe primum fecistis. Hunc ego institutum disciplina mea vicarium pro me rei publicae do dicoque, vosque quaeso, Quirites, delatum mihi ultro honorem huic petenti meisque pro eo adiectis precibus mandetis." datum id petenti patri filiusque eius P. Licinius tribunus militum consulari potestate cum iis quos supra scripsimus declaratus. Titinius Genuciusque tribuni militum profecti adversus Faliscos Capenatesque, dum bellum maiore animo gerunt quam consilio, praecipitavere se in insidias. Genucius morte honesta temeritatem luens ante signa inter primores cecidit; Titinius in editum tumulum ex multa trepidatione militibus collectis aciem restituit; nec se tamen aequo loco hosti commisit. Plus ignominiae erat quam cladis acceptum, quae prope in cladem ingentem vertit; tantum inde terroris non Romae modo, quo multiplex fama pervenerat, sed in castris quoque fuit ad Veios. Aegre ibi miles retentus a fuga est cum pervasisset castra rumor ducibus exercituque caeso victorem Capenatem ac Faliscum Etruriaeque omnem iuventutem haud procul inde abesse. His tumultuosiora Romae, iam castra ad Veios oppugnari, iam partem hostium tendere ad urbem agmine infesto, crediderant; concursumque in muros est et matronarum, quas ex domo conciverat publicus pavor, obsecrationes in templis factae, precibusque ab dis petitum ut exitium ab urbis tectis templisque ac moenibus Romanis arcerent Veiosque eum averterent terrorem, si sacra renovata rite, si procurata prodigia essent.
Traduzione all'italiano
E così non fu certo un dispiacere per i patrizi quando la centuria prerogativa, senza che egli avesse posto la sua candidatura, elesse tribuno militare Publio Licinio Calvo, uomo che aveva già dato prova di grande moderazione durante il suo precedente mandato, ma che in quel periodo era ormai piuttosto avanti negli anni. Ed era chiaro che tutti i suoi colleghi in carica quello stesso anno - e cioè Lucio Titinio, Publio Menio, Gneo Genucio e Lucio Atilio - sarebbero stati riconfermati. Ma prima che venisse annunciata la loro elezione da parte delle tribù chiamate a votare di diritto, Publio Licinio Calvo chiese il permesso all'interré e rivolse loro queste parole: "Mi rendo conto, o Quiriti, che voi state cercando di raggiungere con questi vostri voti segnati dal ricordo della nostra precedente magistratura un vero augurio di concordia per il prossimo anno. E la concordia è la cosa più utile che ci sia in tempi come questi. Se però con i miei colleghi voi scegliete gli stessi uomini di allora trovandoli ancora migliorati grazie al peso dell'esperienza, in me invece non potrete più avere lo stesso Publio Licinio di una volta perché di quell'uomo adesso sono rimasti solo l'ombra e il nome. Il fisico non ha più forza, vista e udito si sono indeboliti, la memoria vacilla e la lucidità mentale si è affievolita". Poi, stringendo a sé il figlio, aggiunse: "Eccovi un giovane che è il perfetto ritratto dell'uomo che tempo fa voi avete voluto fosse il primo plebeo a ricoprire la carica di tribuno militare. Questo giovane che io ho cresciuto secondo i miei principi di vita lo offro e lo consacro al paese come mio legittimo sostituto e supplico voi, o Quiriti, affinché affidiate a lui che la richiede e per il quale io aggiungo le mie raccomandazioni questa carica che mi è stata offerta senza che io la sollecitassi". Il caloroso invito del padre venne accolto e così il figlio Publio Licinio fu nominato tribuno militare con potere consolare insieme a quelli prima menzionati. I tribuni militari Titinio e Genucio marciarono contro i Falisci e i Capenati, ma la loro condotta di guerra fatta più di facili entusiasmi che di vera strategia militare li fece finire in un'imboscata. Genucio, scontando con una morte onorevole l'eccesso di imprudenza, cadde in prima linea davanti alle insegne. Titinio invece, riuscì a riunire su un'altura i suoi uomini sparpagliatisi in preda al panico e riordinò le file, ma non osò affrontare il nemico in campo aperto. Più che una sconfitta si era subito uno smacco, che per poco non si trasformò in un grave disastro, tanto fu il panico diffusosi non solo a Roma (dove erano arrivate le notizie più disparate), ma anche nell'accampamento di fronte a Veio. Lì i comandanti riuscirono a malapena a trattenere i soldati dalla fuga, perché si era sparsa in giro la voce che Capenati, Falisci e tutta la gioventù etrusca, reduci dall'aver massacrato l'esercito e i generali romani, non erano molto lontani. A Roma erano arrivate notizie ancora più allarmanti: l'accampamento di fronte a Veio era già in stato d'assedio e colonne di nemici pronte a battersi stavano ormai marciando alla volta di Roma. Ci fu un accorrere scomposto di gente sulle mura. Le matrone, richiamate fuori dalle case dalla paura generale, si riversarono nei templi a rivolgere preghiere e suppliche agli dèi: promettendo di ripristinare i riti sacri com'era prescritto, di scongiurare i prodigi, esse imploravano le divinità di risparmiare le case, i templi e le mura di Roma dalla distruzione e di scatenare contro i Volsci quell'ondata di terrore.