Versione originale in latino
Recrudescente Manliana seditione sub exitum anni comitia habita creatique tribuni militum consulari potestate Ser. Cornelius Maluginensis iterum P. Valerius Potitus iterum M. Furius Camillus quintum Ser. Sulpicius Rufus iterum C. Papirius Crassus T. Quinctius Cincinnatus iterum. Cuius principio anni et patribus et plebi peropportune externa pax data: plebi, quod non avocata dilectu spem cepit, dum tam potentem haberet ducem, fenoris expugnandi: patribus, ne quo externo terrore avocarentur animi ab sanandis domesticis malis. Igitur cum pars utraque acrior aliquanto coorta esset, iam propinquum certamen aderat. Et Manlius advocata domum plebe cum principibus novandarum rerum interdiu noctuque consilia agitat, plenior aliquanto animorum irarumque quam antea fuerat. Iram accenderat ignominia recens in animo ad contumeliam inexperto: spiritus dabat, quod nec ausus esset idem in se dictator quod in Sp. Maelio Cincinnatus Quinctius fecisset, et vinculorum suorum invidiam non dictator modo abdicando dictaturam fugisset sed ne senatus quidem sustinere potuisset. His simul inflatus exacerbatusque iam per se accensos incitabat plebis animos. 'quousque tandem ignorabitis vires vestras, quas natura ne belvas quidem ignorare voluit? Numerate saltem quot ipsi sitis, quot adversarios habeatis. Quot enim clientes circa singulos fuistis patronos, tot nunc adversus unum hostem eritis. Si singuli singulos adgressuri essetis, tamen acrius crederem vos pro libertate quam illos pro dominatione certaturos. Ostendite modo bellum; pacem habebitis. Videant vos paratos ad vim; ius ipsi remittent. Audendum est aliquid universis aut omnia singulis patienda. Quousque me circumspectabitis? Ego quidem nulli vestrum deero; ne fortuna mea desit videte. Ipse vindex vester, ubi visum inimicis est, nullus repente fui, et vidistis in vincula duci universi eum qui a singulis vobis vincula depuleram. Quid sperem, si plus in me audeant inimici? An exitum Cassi Maelique exspectem? Bene facitis quod abominamini. Di prohibebunt haec; sed nunquam propter me de caelo descendent; vobis dent mentem oportet ut prohibeatis, sicut mihi dederunt armato togatoque ut vos a barbaris hostibus, a superbis defenderem civibus. Tam parvus animus tanti populi est ut semper vobis auxilium adversus inimicos satis sit nec ullum, nisi quatenus imperari vobis sinatis, certamen adversus patres noritis? Nec hoc natura insitum vobis est, sed usu possidemini. Cur enim adversus externos tantum animorum geritis ut imperare illis aequum censeatis? Quia consuestis cum eis pro imperio certare, adversus hos temptare magis quam tueri libertatem. Tamen, qualescumque duces habuistis, qualescumque ipsi fuistis, omnia adhuc quantacumque petistis obtinuistis, seu vi seu fortuna vestra. Tempus est etiam maiora conari. Experimini modo et vestram felicitatem et me, ut spero, feliciter expertum; minore negotio qui imperet patribus imponetis quam qui resisterent imperantibus imposuistis. Solo aequandae sunt dictaturae consulatusque, ut caput attollere Romana plebes possit. Proinde adeste; prohibete ius de pecuniis dici. Ego me patronum profiteor plebis, quod mihi cura mea et fides nomen induit: vos si quo insigni magis imperii honorisve nomine vestrum appellabitis ducem, eo utemini potentiore ad obtinenda ea quae voltis.' inde de regno agendi ortum initium dicitur; sed nec cum quibus nec quem ad finem consilia pervenerint, satis planum traditur.
Traduzione all'italiano
Mentre i disordini causati da Manlio si stavano aggravando, verso la fine dell'anno ci furono delle elezioni nelle quali risultarono eletti tribuni militari con potere consolare Servio Cornelio Maluginense, Publio Valerio Potito, Servio Sulpicio Rufo, Gaio Papirio Crasso, Tito Quinzio Cincinnato (tutti per la seconda volta) e Marco Furio Camillo (per la quinta). La pace esterna della quale si godette all'inizio di quell'anno fu estremamente vantaggiosa sia per la plebe che per la nobiltà. E se per i plebei lo fu perché, non dovendo prestare servizio militare, finché avevano dalla loro un capo prestigioso come Marco Manlio, nutrivano la speranza di eliminare i debiti, per i patrizi lo fu in quanto non desideravano che preoccupazioni provenienti dall'esterno distogliessero gli animi dal pensiero di risanare i mali interni. E così, visto che entrambe le parti si erano buttate nella contesa con maggiore accanimento, l'ora dello scontro era ormai vicina. Manlio invitava i plebei a casa sua e discuteva coi loro capi giorno e notte progetti rivoluzionari, era più arrogante e irato di quanto non fosse stato prima. L'umiliazione subìta di recente aveva infiammato la rabbia in un animo non abituato agli affronti: il suo orgoglio era risvegliato dal fatto che il dittatore non aveva osato agire nei suoi confronti come Quinzio Cincinnato aveva agito contro Spurio Melio, e che non solo il dittatore con la rinuncia alla dittatura si era voluto sottrarre all'ondata di sdegno suscitata dal suo arresto, ma anche che neppure il senato aveva potuto sostenerla. Nel contempo infiammato ed esacerbato da questi pensieri, Manlio istigava gli animi già di per sé eccitati della plebe. "Fino a quando", chiedeva, "continuerete a ignorare la vostra forza, cosa che la natura non consente nemmeno alle fiere di ignorare? Fate almeno il conto del vostro numero e del numero dei vostri avversari. Infatti quanti eravate in qualità di clienti intorno a un solo patrono, altrettanti adesso sarete contro un solo nemico. Se doveste affrontarli uno contro uno, anche così credo che combattereste con maggiore accanimento voi per la libertà di quanto non farebbero loro per il potere. Minacciate la guerra e avrete la pace. Fatevi vedere che siete pronti a ricorrere alla forza, essi rinunceranno ai loro diritti. Bisogna osare qualcosa tutti insieme. Oppure dovrete a uno a uno sopportare tutto. Fino a quando starete a guardare me? Lo sapete benissimo, io non abbandonerò mai nessuno di voi. Ma badate che la buona sorte non abbandoni me. Io, il vostro difensore, quando è parso opportuno ai miei nemici, sono stato annientato all'improvviso. E voi tutti avete visto trascinare in prigione l'uomo che aveva allontanato le catene da ciascuno di voi. Che cosa potrei sperare, se i nemici osassero di più nei miei confronti? Una fine come quella di Cassio e di Melio? Fate bene a pronunziare scongiuri. "Gli dèi non lo permetteranno!". Ma per me non scenderanno mai dall'alto del cielo. Devono infondere a voi il coraggio di impedirlo, così come a me hanno dato, in pace e in guerra, il coraggio necessario per difendervi dalla barbarie dei nemici e dall'arroganza dei concittadini. Questo grande popolo ha così poco carattere che per contrastare i vostri nemici continuate ancora ad accontentarvi del diritto di ausilio e non conoscete nessun altro tipo di lotta contro i patrizi, se non in quali limiti permettere che spadroneggino su di voi? Anche questa non è in voi una caratteristica congenita, ma vi lasciate dominare per abitudine. Perché, vi domando, con i popoli stranieri combattete con tanta animosità da ritenere giusto di ridurli in vostro potere? Perché con loro siete abituati da sempre a combattere per la supremazia, mentre contro i senatori siete avvezzi a combattere più per cercare di ottenere la libertà che per difenderla. Tuttavia, qualunque sia stato il valore specifico vostro e degli uomini che vi hanno guidato, fino a oggi avete ottenuto, vuoi con la violenza, vuoi con l'aiuto della vostra buona stella, tutto ciò che avete voluto. Ma ora è tempo di aspirare anche a qualcosa di più grande. Mettete solo alla prova la vostra buona sorte e me (che, lo spero, avete già messo alla prova con esiti felici). Vi costerà meno fatica imporre ai patrizi qualcuno che li comandi di quanta non ve ne sia costata l'imporre qualcuno che si opponesse al loro potere. Bisogna fare tabula rasa del consolato e della dittatura, perché la plebe di Roma possa alzare la testa. Perciò siate pronti: impedite che si pronuncino le sentenze nelle cause per debiti. Io mi dichiaro protettore della plebe, titolo del quale sono stato investito per il mio zelo e il mio leale attaccamento alla causa: se voi deciderete di attribuirne al vostro capo uno più prestigioso per autorità e dignità, egli avrà maggiore potere per ottenere ciò che volete." Fu allora, pare, che si cominciò a parlare di monarchia. Ma dalla tradizione non risulta molto chiaro né chi fosse implicato nel complotto, né fino a che stadio esso fosse stato portato avanti.