Pillaus
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Versione originale in latino


Haec victoria tribunorum plebisque prope in haud salubrem luxuriam vertit, conspiratione inter tribunos facta ut iidem tribuni reficerentur, et, quo sua minus cupiditas emineret, consulibus quoque continuarent magistratum. Consensum patrum causabantur, quo per contumeliam consulum iura plebis labefactata essent. Quid futurum nondum firmatis legibus, si novos tribunos per factionis suae consules adorti essent? Non enim semper Valerios Horatiosque consules fore, qui libertati plebis suas opes postferrent.
Forte quadam utili ad tempus, ut comitiis praeesset potissimum M. Duillio sorte evenit, viro prudenti et ex continuatione magistratus invidiam imminentem cernenti. Qui cum ex veteribus tribunis negaret se ullius rationem habiturum, pugnarentque collegae ut liberas tribus in suffragium mitteret aut concederet sortem comitiorum collegis, habituris e lege potius comitia quam ex voluntate patrum, iniecta contentione Duillius consules ad subsellia accitos cum interrogasset quid de comitiis consularibus in animo haberent, respondissentque se novos consules creaturos, auctores populares sententiae haud popularis nactus in contionem cum iis processit. Ubi cum consules producti ad populum interrogatique, si eos populus Romanus, memor libertatis per illos receptae domi, memor militiae rerum gestarum, consules iterum faceret, quidnam facturi essent, nihil sententiae suae mutassent, conlaudatis consulibus quod perseverarent ad ultimum dissimiles decemvirorum esse, comitia habuit; et quinque tribunis plebi creatis cum prae studiis aperte petentium novem tribunorum alii candidati tribus non explerent, concilium dimisit nec deinde comitiorum causa habuit. Satisfactum legi aiebat, quae numero nusquam praefinito tribuni modo ut relinquerentur sanciret et ab iis qui creati essent cooptari collegas iuberet; recitabatque rogationis carmen in quo sic erat: 'Si tribunos plebei decem rogabo, si qui vos minus hodie decem tribunos plebei feceritis, tum ut ii quos hi sibi collegas cooptassint legitimi eadem lege tribuni plebei sint ut illi quos hodie tribunos plebei feceritis.' Duillius cum ad ultimum perseverasset negando quindecim tribunos plebei rem publicam habere posse, victa collegarum cupiditate pariter patribus plebeique acceptus magistratu abiit.

Traduzione all'italiano


Questa volta la vittoria conquistata dai tribuni e dalla plebe per poco non degenerò in un pericoloso stato di sfrenatezza. Infatti i tribuni raggiunsero in segreto un accordo in base al quale i detentori di quella magistratura sarebbero stati riconfermati in carica. E inoltre, per evitare che la loro sete di potere risultasse evidente, stabilirono di rinnovare il mandato anche ai consoli. Il pretesto che veniva addotto era l'accordo realizzato dai senatori i quali, con l'offesa arrecata ai consoli, avevano attentato ai diritti della plebe. Che cosa sarebbe successo se, quando le leggi non erano ancora consolidate, i consoli, appoggiati dalla loro fazione, avessero assalito i nuovi tribuni? Perché di certo i consoli non sarebbero sempre stati uomini dello stampo di Valerio e Orazio, che anteponevano ai propri interessi la libertà della plebe! Ma in quella circostanza una fortunata concomitanza di eventi volle che a presiedere alle elezioni la sorte chiamasse Marco Duillio, uomo prudente e capace di prevedere il risentimento che la rielezione degli stessi magistrati avrebbe provocato. Quando Duillio si rifiutò di prendere in considerazione la candidatura dei tribuni in carica, i suoi colleghi diedero battaglia perché concedesse il voto libero alle singole tribù, oppure cedesse l'incarico di presiedere alle elezioni ai colleghi, che le avrebbero tenute attenendosi alle leggi e non secondo le indicazioni dei senatori. Nell'accesa discussione che seguì, Duillio convocò i consoli presso i banchi delle tribune e chiese loro che intenzioni avessero riguardo alle elezioni consolari. Siccome essi risposero che avrebbero eletto nuovi consoli, Duillio, avendo trovato il sostegno popolare a una proposta certo non popolare, si presentò all'assemblea in compagnia dei consoli. Lì, quando furono di fronte al popolo, gli venne chiesto come si sarebbero comportati se il popolo romano, memore della libertà riconquistata in patria grazie a loro nonché dei successi militari, li avesse riconfermati in carica. Siccome i consoli risposero che non sarebbero tornati sulla propria decisione, Duillio prima li elogiò per la fermezza con la quale si erano fino all'ultimo sforzati di non assomigliare ai decemviri, e quindi tenne i comizi. Eletti cinque tribuni, poiché, per la palese brama a essere rieletti di nove tribuni, nessun altro candidato ottenne i voti necessari, Duillio sciolse la seduta, senza più riconvocarla per le elezioni. Disse che si era agito nel pieno rispetto della legge la quale in nessuna parte definiva il numero, prescriveva solo che fossero eletti dei tribuni e imponeva che i neoeletti si scegliessero i colleghi. Diede quindi lettura della formula prevista dalla legge che diceva: "Se proporrò la nomina di dieci tribuni della plebe e se oggi voi qui eleggerete meno di dieci tribuni, quelli che gli eletti avranno cooptato come colleghi per questa stessa legge siano legittimi tribuni della plebe, così come lo sono quelli che oggi voi chiamerete a ricoprire tale carica." Duillio, sostenendo fino alla fine che la repubblica non poteva avere quindici tribuni della plebe, ed essendo nel contempo riuscito ad avere ragione dell'ingordigia politica dei colleghi, uscì di carica dopo essersi reso gradito tanto ai patrizi quanto ai plebei.

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