Pillaus
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Versione originale in latino


Eadem nocte et Tusculum de arce capta Capitolioque occupato et alio turbatae urbis statu nuntii veniunt. L. Mamilius Tusculi tum dictator erat. Is confestim convocato senatu atque introductis nuntiis magnopere censet, ne exspectent dum ab Roma legati auxilium petentes veniant; periculum ipsum discrimenque ac sociales deos fidemque foederum id poscere; demerendi beneficio tam potentem, tam propinquam civitatem nunquam parem occasionem daturos deos.
Placet ferri auxilium; iuventus conscribitur, arma dantur. Romam prima luce venientes procul speciem hostium praebuere; Aequi aut Volsci venire visi sunt; deinde ubi vanus terror abiit, accepti in urbem agmine in forum descendunt. Ibi iam P. Valerius relicto ad portarum praesidia collega instruebat aciem. Auctoritas viri moverat, adfirmantis Capitolio reciperato et urbe pacata si edoceri se sissent quae fraus ab tribunis occulta in lege ferretur, memorem se maiorum suorum, memorem cognominis quo populi colendi velut hereditaria cura sibi a maioribus tradita esset, concilium plebis non impediturum. Hunc ducem secuti nequiquam reclamantibus tribunis in clivum Capitolinum erigunt aciem. Adiungitur et Tusculana legio. Certare socii civesque utri reciperatae arcis suum decus facerent; dux uterque suos adhortatur. Trepidare tum hostes nec ulli satis rei praeterquam loco fidere; trepidantibus inferrunt signa Romani sociique. Iam in vestibulum perruperant templi cum P. Valerius inter primores pugnam ciens interficitur. P. Volumnius consularis vidit cadentem. Is dato negotio suis ut corpus obtegerent, ipse in locum vicemque consulis provolat. Prae ardore impetuque tantae rei sensus non pervenit ad militem; prius vicit quam se pugnare sine duce sentiret. Multi exsulum caede sua foedavere templum, multi vivi capti, Herdonius interfectus. Ita Capitolium reciperatum. De captivis, ut quisque liber aut servus esset, suae fortunae a quoque sumptum supplicium est. Tusculanis gratiae actae, Capitolium purgatum atque lustratum. In consulis domum plebes quadrantes ut funere ampliore efferretur iactasse fertur.

Traduzione all'italiano


Quella stessa notte anche a Tuscolo arrivò la notizia che la cittadella era stata conquistata, che il Campidoglio si trovava in stato d'assedio e che nel resto di Roma regnava il disordine. Lucio Mamilio era allora dittatore a Tuscolo. Dopo aver immediatamente convocato il senato e aver fatto entrare in sala i messaggeri, sostenne con calore che non si doveva aspettare l'arrivo da Roma di inviati con richieste d'aiuto: lo esigevano la situazione di grave pericolo, le divinità che sancivano il vincolo di alleanza e la fedeltà ai patti. Gli dèi non avrebbero più offerto un'occasione così propizia di guadagnarsi la gratitudine di una città tanto potente e vicina. Si decide quindi di portare aiuto e con questo scopo si organizza una leva di giovani e si danno loro delle armi. Quando alle prime luci del giorno le truppe di Tuscolo vennero avvistate da lontano in assetto di marcia, furono scambiate per contingenti nemici. Sembrò che Equi e Volsci stessero arrivando. Una volta però dissipati i falsi timori, gli uomini di Mamilio sono accolti in città e incolonnati scendono al foro. Qui Publio Valerio, affidato al collega il presidio delle porte, stava già schierando le truppe. Con il peso della sua autorità, il console aveva convinto il popolo con queste dichiarazioni. Una volta riconquistato il Campidoglio e ristabilita la pace in città, se solo gli fosse stato concesso di smascherare l'inganno celato nella legge proposta dai tribuni, memore dei propri antenati e del soprannome col quale essi gli avevano tramandato come in eredità il dovere di preoccuparsi del popolo, non avrebbe impedito l'assemblea della plebe. Seguendolo quindi come loro comandante, nonostante le vane proteste dei tribuni, gli uomini cominciano a salire su per il colle del Campidoglio. A loro si aggiunge la legione di Tuscolo. Tra alleati e Romani fu allora una vera gara di valore per vedere a chi sarebbe toccato l'onore di riconquistare la cittadella. I comandanti dei due schieramenti esortavano a gran voce le proprie truppe. In quel momento i nemici si fecero prendere dall'affanno perché non potevano contare che sulla posizione occupata. Mentre il panico serpeggiava tra le loro file, ecco arrivare l'attacco di Romani e alleati. Gli attaccanti erano già penetrati nel vestibolo del tempio, quando Publio Valerio rimase ucciso proprio mentre guidava l'assalto nelle prime file. L'ex-console Publio Volumnio lo vide cadere. Dopo aver ordinato ai suoi di proteggerne il corpo, si butta a occupare la posizione tenuta dal console. Nell'ardore dell'impeto i soldati non si accorsero nemmeno di un fatto così clamoroso e arrivarono a conquistare la vittoria ancor prima di essersi resi conto di combattere ormai privi del comandante. Il sangue dei molti esuli massacrati insozzò le pareti dei templi: parecchi furono catturati vivi, mentre Erdonio rimase ucciso. Fu così che il Campidoglio tornò in mani romane. Quanto ai prigionieri, a ciascuno di essi toccò una pena commisurata alla loro condizione, a seconda che si trattasse di uomini liberi o di schiavi. I Tuscolani vennero ringraziati e il Campidoglio fu purificato con riti espiatori. Pare che i plebei andassero a gettare un quadrante a testa nella casa del console morto, perché fosse sepolto con esequie più sontuose.

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