Versione originale in latino
Haud diuturna ira populi in Cassium fuit. Dulcedo agrariae legis ipsa per se, dempto auctore, subibat animos, accensaque ea cupiditas est malignitate patrum, qui devictis eo anno Volscis Aequisque, militem praeda fraudavere. Quidquid captum ex hostibus est, vendidit Fabius consul ac redegit in publicum. Invisum erat Fabium nomen plebi propter novissimum consulem; tenuere tamen patres ut cum L. Aemilio Caeso Fabius consul crearetur. Eo infestior facta plebes seditione domestica bellum externum excivit. Bello deinde civiles discordiae intermissae; uno animo patres ac plebs rebellantes Volscos et Aequos duce Aemilio prospera pugna vicere. Plus tamen hostium fuga quam proelium absumpsit; adeo pertinaciter fusos insecuti sunt equites. Castoris aedis eodem anno idibus Quintilibus dedicata est; vota erat Latino bello a Postumio dictatore: filius eius duumvir ad id ipsum creatus dedicavit. Sollicitati et eo anno sunt dulcedine agrariae legis animi plebis. Tribuni plebi popularem potestatem lege populari celebrabant: patres, satis superque gratuiti furoris in multitudine credentes esse, largitiones temeritatisque invitamenta horrebant. Acerrimi patribus duces ad resistendum consules fuere. Ea igitur pars rei publicae vicit, nec in praesens modo sed in venientem etiam annum M. Fabium, Caesonis fratrem, et magis invisum alterum plebi accusatione Sp. Cassi, L. Valerium, consules dedit. Certatum eo quoque anno cum tribunis est. Vana lex vanique legis auctores iactando inritum munus facti. Fabium inde nomen ingens post tres continuos consulatus unoque velut tenore omnes expertos tribuniciis certaminibus habitum; itaque, ut bene locatus, mansit in ea familia aliquamdiu honos. Bellum inde Veiens initum, et Volsci rebellarunt; sed ad bella externa prope supererant vires, abutebanturque iis inter semet ipsos certando. Accessere ad aegras iam omnium mentes prodigia caelestia, prope cotidianas in urbe agrisque ostentantia minas; motique ita numinis causam nullam aliam vates canebant publice privatimque nunc extis, nunc per aves consulti, quam haud rite sacra fieri; qui terrores tamen eo evasere ut Oppia virgo Vestalis damnata incesti poenas dederit.
Traduzione all'italiano
Il risentimento popolare nei confronti di Cassio non durò a lungo. La legge agraria, già allettante di per se stessa, ora che era scomparso il suo promulgatore, affascinava tutti e il desiderio che se ne provava fu accresciuto dalla meschinità dei senatori, i quali, quell’anno, dopo una vittoria sui Volsci e sugli Ernici, privarono i soldati del bottino. Tutto ciò che fu tolto al nemico il console Fabio lo mise all’incanto e ne trasferì i proventi nelle casse dello Stato. Il nome dei Fabi era impopolarissimo proprio a causa di quest’ultimo console. Ciò nonostante, i consoli riuscirono a ottenere che insieme a Lucio Emilio venisse eletto console Cesone Fabio. Questo incrementò il rancore dei plebei che, a séguito dei disordini causati in patria, fecero scoppiare un conflitto all’estero. E con la guerra le discordie civili conobbero una tregua: patrizi e plebei uniti, agli ordini di Emilio con una brillante vittoria sedarono una ribellione dei Volsci e degli Equi. I nemici, tuttavia, ebbero più perdite durante la ritirata che durante lo scontro, tanta fu l’ostinazione con la quale i cavalieri li inseguirono mentre fuggivano sparpagliati. Il quindici luglio di quello stesso anno venne consacrato a Castore il tempio promesso dal dittatore Postumio durante la guerra latina: lo dedicò suo figlio, eletto duumviro espressamente per questo ufficio. Anche quell’anno la plebe cedette al richiamo allettante della legge agraria. I tribuni della plebe cercavano di rinforzare la loro autorità popolare con una legge popolare: i senatori, trovando che era già sufficiente la violenza spontanea della plebe, vedevano le donazioni come un rischioso stimolo alla temerarietà. I fautori più accesi dell’opposizione senatoriale furono i consoli. Così la spuntarono proprio questi ultimi, e non solo nella circostanza presente: infatti, l’anno successivo, riuscirono anche a portare al consolato Marco Fabio, fratello di Cesone, e un personaggio ancora più impopolare, Lucio Valerio, l’uomo cioè che aveva accusato Spurio Cassio. Anche in quell’anno ci fu una grande battaglia coi tribuni. La legge subì uno scacco totale, così come lo subirono quanti l’avevano proposta promettendo cose immantenibili. La famiglia dei Fabi si conquistò una grande stima con quei tre consolati consecutivi, tutti caratterizzati da continui conflitti coi tribuni. Così, visto che era considerato in mani sicure, l’incarico rimase abbastanza a lungo presso quella famiglia. In séguito scoppiò una guerra con Veio e i Volsci si ribellarono. Ma visto che per i conflitti esterni c’era un eccesso di forze, le si impiegò malamente in quelli interni. Al malessere generale vennero anche ad aggiungersi dei prodigi divini che, quasi ogni giorno, si manifestavano a Roma e nelle campagne minacciando sventure. Secondo le interpretazioni pubbliche e private, basate sulle viscere degli animali e sul volo degli uccelli, l’ira degli dèi aveva una sola spiegazione possibile: nelle cerimonie religiose non ci si era attenuti alle prescrizioni rituali. Tutte queste paure non portarono ad altro che alla condanna della vestale Oppia, accusata di aver violato il voto di castità.