Versione originale in latino
Nihilo militiae quam domi melius res publica administrata est. Illa modo in ducibus culpa quod ut odio essent civibus fecerant: alia omnis penes milites noxia erat, qui ne quid ductu atque auspicio decemvirorum prospere usquam gereretur vinci se per suum atque illorum dedecus patiebantur. Fusi et ab Sabinis ad Eretum et in Algido ab Aequis exercitus erant. Ab Ereto per silentium noctis profugi propius urbem, inter Fidenas Crustumeriamque, loco edito castra communierant; persecutis hostibus nusquam se aequo certamine committentes, natura loci ac vallo, non virtute aut armis tutabantur. Maius flagitium in Algido, maior etiam clades accepta; castra quoque amissa erant, exutusque omnibus utensilibus miles Tusculum se, fide misericordiaque victurus hospitum, quae tamen non fefellerunt, contulerat. Romam tanti erant terrores allati, ut posito iam decemvirali odio patres vigilias in urbe habendas censerent, omnes qui per aetatem arma ferre possent custodire moenia ac pro portis stationes agere iuberent, arma Tusculum ad supplementum decernerent, decemvirosque ab arce Tusculi digressos in castris militem habere, castra alia a Fidenis in Sabinum agrum transferri, belloque ultro inferendo deterreri hostes a consilio urbis oppugnandae.
Traduzione all'italiano
Il paese, adesso che era in guerra, non conobbe una gestione migliore di quella avuta in tempo di pace. La sola colpa dei comandanti fu quella di essersi resi invisi agli occhi dei cittadini. Il resto della responsabilità gravava quasi per intero sulle spalle dei soldati i quali, volendo evitare che sotto la guida e gli auspici dei decemviri qualunque iniziativa avesse esito favorevole, si lasciavano sconfiggere di proposito, coprendo di ignominia se stessi e i loro comandanti. Gli eserciti vennero così sbaragliati sia dai Sabini a Ereto, sia dagli Equi sull'Algido. Da Ereto, fuggendo nel silenzio della notte, si andarono ad accampare nei pressi di Roma, in un punto leggermente rialzato a metà strada tra Fidene e Crustumeria. Incalzati dai nemici, non si avventuravano mai a combattere in campo aperto, ma si facevano difendere dalla natura del luogo e dalla trincea, non dal loro valore e dalle armi. Sul monte Algido il disonore fu ancora più grande e più grave la sconfitta: perduto l'accampamento e privati di tutto l'equipaggiamento, i soldati ripararono a Tuscolo, sperando nel sostegno e nella sincera compassione degli ospiti che in verità non vennero loro a mancare. A Roma erano arrivate notizie così allarmanti che i patrizi, lasciando da parte l'odio verso i decemviri, ritennero opportuno disporre delle sentinelle in città e ordinare che tutti gli uomini in età di portare le armi andassero a proteggere le mura e costituissero posti di guardia in prossimità delle porte. Quindi decisero che s'inviassero rinforzi a Tuscolo, che i decemviri scendessero dalla cittadella di Tuscolo e trattenessero i soldati nell'accampamento, che l'altro campo fosse spostato da Fidene alla campagna sabina; il ritorno all'offensiva avrebbe distolto il nemico dal proposito di assediare Roma.