Versione originale in latino
Tum matronae ad Veturiam matrem Coriolani Volumniamque uxorem frequentes coeunt. Id publicum consilium an muliebris timor fuerit, parum invenio: pervicere certe, ut et Veturia, magno natu mulier, et Volumnia duos parvos ex Marcio ferens filios secum in castra hostium irent et, quoniam armis viri defendere urbem non possent, mulieres precibus lacrimisque defenderent. Ubi ad castra ventum est nuntiatumque Coriolano est adesse ingens mulierum agmen, ut qui nec publica maiestate in legatis nec in sacerdotibus tanta offusa oculis animoque religione motus esset, multo obstinatior adversus lacrimas muliebres erat; dein familiarium quidam qui insignem maestitia inter ceteras cognoverat Veturiam, inter nurum nepotesque stantem, "nisi me frustrantur" inquit, "oculi, mater tibi coniunxque et liberi adsunt." Coriolanus prope ut amens consternatus ab sede sua cum ferret matri obviae complexum, mulier in iram ex precibus versa "sine, priusquam complexum accipio, sciam" inquit, "ad hostem an ad filium venerim, captiva materne in castris tuis sim. In hoc me longa vita et infelix senecta traxit ut exsulem te deinde hostem viderem? Potuisti populari hanc terram quae te genuit atque aluit? Non tibi, quamvis infesto animo et minaci perveneras, ingredienti fines ira cecidit? Non, cum in conspectu Roma fuit, succurrit: intra illa moenia domus ac penates mei sunt, mater coniunx liberique? Ergo ego nisi peperissem, Roma non oppugnaretur; nisi filium haberem, libera in libera patria mortua essem. Sed ego mihi miserius nihil iam pati nec tibi turpius usquam possum, nec ut sum miserrima, diu futura sum: de his videris, quos, si pergis, aut immatura mors aut longa servitus manet." Uxor deinde ac liberi amplexi, fletusque ob omni turba mulierum ortus et comploratio sui patriaeque fregere tandem virum. Complexus inde suos dimittit: ipse retro ab urbe castra movit. Abductis deinde legionibus ex agro Romano, invidia rei oppressum perisse tradunt, alii alio leto. Apud Fabium, longe antiquissimum auctorem, usque ad senectutem vixisse eundem invenio; refert certe hanc saepe eum exacta aetate usurpasse vocem multo miserius seni exsilium esse. Non inviderunt laude sua mulieribus viri Romani - adeo sine obtrectatione gloriae alienae vivebatur - ; monumento quoque quod esset, templum Fortunae muliebri aedificatum dedicatumque est. Rediere deinde Volsci adiunctis Aequis in agrum Romanum; sed Aequi Attium Tullium haud ultra tulere ducem. Hinc ex certamine Volsci Aequine imperatorem coniuncto exercitui darent, seditio, deinde atrox proelium ortum. Ibi fortuna populi Romani duos hostium exercitus haud minus pernicioso quam pertinaci certamine confecit. Consules T. Sicinius et C. Aquilius. Sicinio Volsci, Aquilio Hernici - nam ii quoque in armis erant - provincia evenit. Eo anno Hernici devicti: cum Volscis aequo Marte discessum est.
Traduzione all'italiano
Allora le matrone corsero in massa da Veturia, madre di Coriolano, e da Volumnia, sua moglie; non è chiaro se tale decisione sia stata ispirata da una pubblica iniziativa o dettata dalla paura delle donna: sta di fatto che indussero Veturia, una matrona molto anziana, e Volumnia a recarsi al campo nemico, conducendo con sé i figli di Marcio, due bimbi in tenera età. Poiché gli uomini non erano in grado di difendere la città con le armi, provvidero le donne a difenderla con le suppliche e con le lacrime. Quando giunsero all'accampamento dei Volsci e fu annunciato a Coriolano che c'era una folla di donne, in un primo tempo, visto che non si era lasciato commuovere né dalla maestà degli ambasciatori né dalla sacralità dei sacerdoti che colpiva gli occhi e lo spiritoo, rimase ancora più duro a lacrime di donne. A un tratto riconobbe Veturia, che si distingueva fra le altre per l'intensità del dolore, e vicino a lei la moglie e i nipotini. "Se i miei occhi non m'ingannano - disse allora - ci sono qui tua madre, tua moglie e i tuoi figli". Come fuori di sé Coriolano balzò giù dal suo scanno e si fece incontro alla madre per abbracciarla, ma la donna, passando dalla supplica all'ira, gli disse: "Lascia che io sappia, prima di ricevere il tuo abbraccio, se sono giunta presso un nemico o presso un figlio, se mi trovo nel tuo accampamento come prigioniera o come amdre. A questo mi ha condotto una lunga vita e una sventurata vecchiaia, a vedere te dapprima esule e quindi nemico? Hai avuto il coraggio di devastare questa terra che ti ha generato e che ti ha nutrito? Per quanto avessi il cuore gonfio di collera e di minacce, quando hai varcato il confine, non è venuto meno ogni sentimento d'ira? Quando Roma ti è stata di fronte, non ti è venuto in mente: "Entro quelle mura c'è casa mia, ci sono i miei genitori, mia madre, mia moglie, i miei figli?". Dunque se non ti avessi partorito, Roma oggi non correrebbe pericoli; se non avessi un figlio, sarei dunque morta libera in una patria libera! Ma a me nulla può ormai capitare che non sia fonte di vergogna per te che di dolore per me e, per quanto infelice io sia, non potrò esserlo a lungo: pensa a questi! Se prosegui nel tuo intento li attende una morta prematura o una lunga schiavitù. L'abbraccio della moglie e dei figli, il pianto che sorgeva da tutta la schiera di donne e i lamenti sulla propria sorte e su quella della patria, spezzarono infine il suo animo. Abbracciati i suoi li congedò e quindi allontanò l'esercito da Roma e successivamente lo condusse fuori dall'agro romano; si narra che egli fu vittima dell'ira provocata dal suo operato, ma sulla sua morte ci sono diverse versioni: presso Fabio, di gran lunga la fonte più antica, ho trovato che morì di vecchiaia. In ogni modo, egli riferisce che quando ormai era un vecchio, Coriolano ripeteva spessissimo che l’esilio è ancora più duro se si è avanti con gli anni. Gli uomini romani non invidiarono le donne per il loro nobile gesto (tanto lontani si era allora dal vivere nell’invidia della gloria altrui). Anzi, a ricordo dell’episodio, fu costruito e consacrato un tempio alla Fortuna delle donne. In séguito i Volsci, alleatisi con gli Equi, invasero di nuovo l’agro romano, ma gli Equi non accettarono più Tullo Azio come comandante in capo. La questione - a chi cioè affidare il comando dei due eserciti uniti - creò prima un aperto contrasto per poi finire in un bagno di sangue. In quel caso la buona stella del popolo romano annientò due eserciti nemici in una battaglia non meno rovinosa che accanita. Consoli Tito Sicinio e Caio Aquilio. A Sicinio toccarono i Volsci, ad Aquilio gli Ernici, scesi anche loro in campo. Quell’anno gli Ernici furono sconfitti. La guerra coi Volsci, dopo alterne fortune, si risolse in un nulla di fatto.