Pillaus
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Versione originale in latino


Rerum deinde divinarum habita cura; et quia quaedam publica sacra per ipsos reges factitata erant, necubi regum desiderium esset, regem sacrificolum creant. Id sacerdotium pontifici subiecere, ne additus nomini honos aliquid libertati, cuius tunc prima erat cura, officeret. Ac nescio an nimium undique eam minimisque rebus muniendo modum excesserint. Consulis enim alterius, cum nihil aliud offenderet, nomen invisum civitati fuit: nimium Tarquinios regno adsuesse; initium a Prisco factum; regnasse dein Ser.
Tullium; ne intervallo quidem facto oblitum, tamquam alieni, regni, Superbum Tarquinium velut hereditatem gentis scelere ac vi repetisse; pulso Superbo penes Collatinum imperium esse. Nescire Tarquinios privatos vivere; non placere nomen, periculosum libertati esse. Hinc primo sensim temptantium animos sermo per totam civitatem est datus, sollicitamque suspicione plebem Brutus ad contionem vocat. Ibi omnium primum ius iurandum populi recitat neminem regnare passuros nec esse Romae unde periculum libertati foret; id summa ope tuendum esse, neque ullam rem quae eo pertineat contemnendam. Invitum se dicere hominis causa, nec dicturum fuisse ni caritas rei publicae vinceret: non credere populum Romanum solidam libertatem reciperatam esse; regium genus, regium nomen non solum in civitate sed etiam in imperio esse; id officere, id obstare libertati. "Hunc tu" inquit "tua voluntate, L. Tarquini, remove metum. Meminimus, fatemur: eiecisti reges; absolve beneficium tuum, aufer hinc regium nomen. Res tuas tibi non solum reddent cives tui auctore me, sed si quid deest munifice augebunt. Amicus abi; exonera civitatem vano forsitan metu; ita persuasum est animis cum gente Tarquinia regnum hinc abiturum." Consuli primo tam novae rei ac subitae admiratio incluserat vocem; dicere deinde incipientem primores civitatis circumsistunt, eadem multis precibus orant. Et ceteri quidem movebant minus: postquam Sp. Lucretius, maior aetate ac dignitate, socer praeterea ipsius, agere varie rogando alternis suadendoque coepit ut vinci se consensu civitatis pateretur, timens consul ne postmodum privato sibi eadem illa cum bonorum amissione additaque alia insuper ignominia acciderent, abdicavit se consulatu rebusque suis omnibus Lavinium translatis civitate cessit. Brutus ex senatus consulto ad populum tulit ut omnes Tarquiniae gentis exsules essent; collegam sibi comitiis centuriatis creavit P. Valerium, quo adiutore reges eiecerat.

Traduzione all'italiano


Poi venne presa in esame la sfera religiosa. E poiché certe cerimonie di natura pubblica erano officiate dal re in persona, per evitare che se ne potesse in qualche modo rimpiangere la presenza, nominarono un re dei sacrifici. Questo sacerdozio fu però subordinato al pontefice, in modo tale che la carica unita al titolo non rappresentasse un’insidia per la libertà, che in quel momento era la cosa in assoluto più importante. Può anche darsi che in questo senso (la salvaguardia maniacale della libertà) si esagerò un po’. Infatti il solo torto dell’altro console fu quello di portare un nome odiato da tutti: i Tarquini erano troppo abituati a essere re. Il primo fu Tarquinio Prisco, poi lo scettro toccò a Servio Tullio e nemmeno questo intervallo fece dimenticare il trono a Tarquinio il Superbo; infatti se lo riprese con la violenza degna di un criminale, considerandolo un’eredità di famiglia e non la prerogativa di un altro. Dopo la cacciata di Tarquinio il Superbo, il potere era adesso nelle mani di Collatino. I Tarquini non erano in grado di vivere da privati cittadini. Alla gente non andava a genio il nome: era un pericolo per la libertà. Si cominciò così, mettendo in giro questi argomenti per tastare lo stato d’animo del popolo. Quando poi il sospetto inizia a creare inquietudine in più parti, Bruto convoca un’assemblea generale. Lì, prima di tutto, legge ad alta voce ciò che il popolo aveva giurato, e cioè di impedire che in futuro qualcuno potesse diventare re di Roma o rappresentare una minaccia alla libertà. Era quindi un dovere morale attenersi rigorosamente a quel giuramento e non trascurare nessun dettaglio che lo potesse in qualche modo riguardare. Gli dispiaceva alludere a qualcuno di preciso e avrebbe evitato di parlare se non fosse stato per il suo attaccamento alla patria. Non era convinto che il popolo romano avesse riconquistato in pieno la libertà: la famiglia reale e il suo nome non erano soltanto in città ma addirittura al governo, e ciò rappresentava un ostacolo insormontabile per la libertà. “Sta a te,” disse, “o Lucio Tarquinio, prendere l’iniziativa e dissipare questa paura. Certo, non bisogna dimenticarselo che hai cacciato i re. Vai fino in fondo col tuo nobile gesto e porta via da Roma il loro nome. Sulle tue proprietà non metterà le mani nessuno, ti do la mia parola. Anzi, se non sono adeguate, subiranno dei ritocchi munifici. Vattene da amico. Libera la gente da questa paura, può darsi del tutto infondata, ma nell’animo di tutti vi è questo convincimento: soltanto quando il nome dei Tarquini scomparirà da Roma, la monarchia sarà solo più un ricordo.” Sulle prime il console rimase senza parole di fronte a una cosa così sbalorditiva e imprevedibile. Poi, quando stava per replicare, viene circondato dai personaggi più influenti della città i quali gli rivolgono la stessa richiesta, anche se con scarso successo emotivo. Spurio Lucrezio, invece, univa il prestigio dell’anzianità allasua posizione di suocero: perciò, quando cominciò, passando dalla supplica alla persuasione, a convincerlo di piegarsi alla volontà unanime del popolo, Collatino, temendo che allo scadere del mandato consolare si sarebbe ritirato a vita privata senza più nulla in mano e con magari l’aggiunta di qualche altra ignominiosa aggravante, rinunciò alla sua carica e abbandonò Roma dopo aver trasferito a Lavinio tutti i suoi beni. Su delibera del senato, Bruto propose al popolo un decreto che sancisse l’esilio per tutti i membri della famiglia dei Tarquini. Con l’approvazione dei comizi centuriati nominò suo collega Publio Valerio, che era stato un valido aiuto nella cacciata dei re.

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