Versione originale in latino
Inde in consilia publica adhiberi. Ubi cum de aliis rebus adsentire se veteribus Gabinis diceret quibus eae notiores essent, ipse identidem belli auctor esse et in eo sibi praecipuam prudentiam adsumere quod utriusque populi vires nosset, sciretque invisam profecto superbiam regiam civibus esse quam ferre ne liberi quidem potuissent. Ita cum sensim ad rebellandum primores Gabinorum incitaret, ipse cum promptissimis iuvenum praedatum atque in expeditiones iret et dictis factisque omnibus ad fallendum instructis vana adcresceret fides, dux ad ultimum belli legitur. Ibi cum inscia multitudine quid ageretur, proelia parva inter Romam Gabiosque fierent quibus plerumque Gabina res superior esset, tum certatim summi infimique Gabinorum Sex. Tarquinium dono deum sibi missum ducem credere. Apud milites vero obeundo pericula ac labores pariter, praedam munifice largiendo tanta caritate esse ut non pater Tarquinius potentior Romae quam filius Gabiis esset. Itaque postquam satis virium conlectum ad omnes conatus videbat, tum ex suis unum sciscitatum Romam ad patrem mittit quidnam se facere vellet, quando quidem ut omnia unus publice Gabiis posset ei di dedissent. Huic nuntio, quia, credo, dubiae fidei videbatur, nihil voce responsum est; rex velut deliberabundus in hortum aedium transit sequente nuntio filii; ibi inambulans tacitus summa papaverum capita dicitur baculo decussisse. Interrogando exspectandoque responsum nuntius fessus, ut re imperfecta, redit Gabios; quae dixerit ipse quaeque viderit refert; seu ira seu odio seu superbia insita ingenio nullam eum vocem emisisse. Sexto ubi quid vellet parens quidve praeciperet tacitis ambagibus patuit, primores civitatis criminando alios apud populum, alios sua ipsos invidia opportunos interemit. Multi palam, quidam in quibus minus speciosa criminatio erat futura clam interfecti. Patuit quibusdam volentibus fuga, aut in exsilium acti sunt, absentiumque bona iuxta atque inter emptorum divisui fuere. Largitiones inde praedaeque; et dulcedine privati commodi sensus malorum publicorum adimi, donec orba consilio auxilioque Gabina res regi Romano sine ulla dimicatione in manum traditur.
Traduzione all'italiano
In séguito Sesto fu ammesso alle riunioni di governo, durante le quali, sul resto delle questioni, si professava dello stesso avviso degli anziani di Gabi per la loro maggiore esperienza. Da parte sua, invece, non faceva che parlare di guerra e sosteneva di esserne un grande esperto in quanto conosceva le forze dei due popoli e sapeva che Tarquinio aveva raggiunto un punto tale di arroganza che non solo i cittadini ma i figli stessi non riuscivano più a tollerarlo. Così, con questa tecnica, riuscì piano piano a convincere i capi di Gabi a riaprire le ostilità. Avrebbe guidato lui in persona delle azioni di guerriglia con un gruppo di giovani particolarmente coraggiosi. Calcolando perfettamente ogni cosa che faceva e diceva, riuscì a incrementare a tal punto la malriposta fiducia nella sua persona, che alla fine gli affidarono il comando in capo delle operazioni. Siccome il popolo ignorava quel che stava realmente succedendo e le prime scaramucce tra Romani e Gabini vedevano quasi sempre prevalere questi ultimi, allora tutti, senza distinzioni di classe, cominciarono a credere che Sesto Tarquinio fosse l'uomo mandato dal cielo per guidare le loro truppe. E i soldati, vedendo che egli era sempre disposto a condividere rischi e fatiche ed era oltremodo generoso nella spartizione del bottino, gli si affezionarono a tal punto che non era meno potente lui a Gabi di quanto suo padre Tarquinio lo fosse a Roma. E così, quando Sesto capì di essere abbastanza forte per affrontare qualsiasi impresa, mandò a Roma un suo uomo per chiedere al padre cosa dovesse fare, visto che a Gabi gli dèi gli avevano concesso di esser padrone incontrastato della situazione politica. Al messaggero - suppongo per la scarsa fiducia che ispirava - non venne affidata una risposta a voce. Il re, dando a vedere di essere perplesso, si spostò nel giardino del suo palazzo e l'inviato del figlio gli andò dietro. Lì, passeggiando avanti e indietro in silenzio, pare che il re si mise a decapitare i papaveri a colpi di bacchetta. Il messaggero, stanco di fare domande senza ottenere risposte, ritornò a Gabi convinto di non aver compiuto la missione. Lì riferì ciò che aveva detto e ciò che aveva visto: il re, fosse per ira, per insolenza o per naturale disposizione all'arroganza, non aveva aperto bocca. Sesto, appena gli fu chiaro a cosa il padre volesse alludere con quei silenzi sibillini, eliminò i capi della città, accusandone alcuni davanti al popolo, e con altri facendo leva sull'impopolarità che si erano acquistati da soli. Per molti ci fu l'esecuzione sotto gli occhi di tutti. Certi invece, più difficili da mettere sotto accusa, vennero assassinati di nascosto. Altri ebbero il permesso di lasciare il paese o vennero esiliati. Le proprietà di tutti, morti o esiliati, subirono la stessa sorte: vennero confiscate e quindi distribuite in una corsa sfrenata all'accaparramento. Badando quindi solo all'interesse particolare, la gente perse il senso del disastro in cui la città era franata. Finché un bel giorno, rimasta priva di una direzione e di risorse, Gabi si onsegnò nelle mani del re di Roma senza opporre resistenza.