Pillaus
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Versione originale in latino


Facerent ut vellent permittentibus cunctis, mox redituros se legati rebus perfectis adfirmant. Profecti cum mandata plebis patribus exposuissent, alii decemviri, quando quidem praeter spem ipsorum supplicii sui nulla mentio fieret, haud quicquam abnuere: Appius truci ingenio et invidia praecipua odium in se aliorum suo in eos metiens odio, 'haud ignaro' inquit, 'imminet fortuna. Video donec arma adversariis tradantur diferri adversus nos certamen.
Dandus invidiae est sanguis. Nihil ne ego quidem moror quo minus decemviratu abeam.' Factum senatus consultum ut decemviri se primo quoque tempore magistratu abdicarent, Q. Furius pontifex maximus tribunos plebis crearet; et ne cui fraudi esset secessio militum plebisque. His senatus consultis perfectis dimisso senatu, decemviri prodeunt in contionem abdicantque se magistratu, ingenti hominum laetitia. Nuntiantur haec plebi. Legatos quidquid in urbe hominum supererat prosequitur. Huic multitudini laeta alia turba ex castris occurrit. Congratulantur libertatem concordiamque civitati restitutam. Legati pro contione: 'Quod bonum faustum felixque sit vobis reique publicae, redite in patriam ad penates coniuges liberosque vestros; sed qua hic modestia fuistis, ubi nullius ager in tot rerum usu necessario tantae multitudini est violatus, eam modestiam ferte in urbem. In Aventinum ite, unde profecti estis; ibi felici loco, ubi prima initia incohastis libertatis vestrae, tribunos plebi creabitis. Praesto erit pontifex maximus qui comitia habeat.' Ingens adsensus alacritasque cuncta adprobantium fuit. Convellunt inde signa profectique Romam certant cum obviis gaudio. Armati per urbem silentio in Aventinum perveniunt. Ibi extemplo pontifice maximo comitia habente tribunos plebis creaverunt, omnium primum L. Verginium, inde L. Icilium et P. Numitorium, avunculum Verginiae, auctores secessionis, tum C. Sicinium, progeniem eius quem primum tribunum plebis creatum in Sacro monte proditum memoriae est, et M. Duillium, qui tribunatum insignem ante decemviros creatos gesserat nec in decemviralibus certaminibus plebi defuerat. Spe deinde magis quam meritis electi M. Titinius M. Pomponius C. Apronius P. Villius C. Oppius. Tribunatu inito L. Icilius extemplo plebem rogavit et plebs scivit ne cui fraudi esset secessio ab decemviris facta. Confestim de consulibus creandis cum provocatione M. Duillius rogationem pertulit. Ea omnia in pratis Flaminiis concilio plebis acta, quem nunc circum Flaminium appellant.

Traduzione all'italiano


Siccome venne loro concesso di agire come ritenevano più opportuno, i legati dichiararono che sarebbero ritornati dopo aver concluso l'accordo. Quindi partirono ed esposero ai senatori le richieste della plebe. Gli altri decemviri, quando si resero conto che, al di là di ogni speranza, non si accennava minimamente a punizioni nei loro confronti, non fecero alcuna obiezione; ma Appio, che era violento di natura e sapeva di essere particolarmente impopolare, misurando l'odio degli altri verso di lui dall'odio che egli nutriva nei loro riguardi, disse: "Non sono certo ignaro della sorte che mi attende. Mi rendo però conto che l'attacco contro di noi sarà ritardato fino al momento in cui le armi verranno consegnate ai nostri avversari. L'odio vuole il suo sangue. Tuttavia non esiterò neppure io a rinunciare al decemvirato." Il senato approvò quindi un decreto in base al quale i decemviri avrebbero dovuto dimettersi al più presto, al pontefice massimo Quinto Furio sarebbe toccato il cómpito di nominare i tribuni della plebe e nessuno avrebbe dovuto subire delle conseguenze a séguito della secessione delle truppe e della plebe. Approvati questi decreti e sciolta la seduta, i decemviri si presentano di fronte all'assemblea popolare e rinunciano alla propria magistratura fra il tripudio generale. La notizia è riferita alla plebe. Tutti quelli che erano rimasti in città accompagnano gli inviati. A questa folla andò incontro un'altra folla festante che veniva dall'accampamento. Si congratularono reciprocamente per il ritorno del paese alla libertà e alla concordia. Gli inviati di fronte all'assemblea dissero: "Perché il bene, la buona sorte e la felicità possano di nuovo essere con voi e la repubblica, tornate in patria, alle vostre case, dalle mogli e dai figli! Ma visto che vi siete comportati con moderazione qui, dove nessuna proprietà è stata violata nonostante che molte fossero le cose necessarie a un così elevato numero di persone, ebbene, portate la stessa moderazione in città. Tornate sull'Aventino da dove siete venuti. In quel fausto luogo, da dove avete mosso i primi passi verso la libertà, potrete nominare dei tribuni della plebe. Per tenere i comizi avrete a disposizione il pontefice massimo." Grande fu il consenso, unanime l'entusiasmo. Levano le insegne e partono alla volta di Roma, facendo a gara in manifestazioni di allegria con la gente che incontrano. Armati attraversano la città e in silenzio raggiungono l'Aventino. Qui, durante i comizi sùbito tenuti dal pontefice massimo, elessero i tribuni. Il primo degli eletti fu Lucio Verginio, al quale fecero poi séguito Lucio Icilio e Publio Numitorio, zio materno di Verginia, cioè i due artefici della secessione. Quindi Gaio Sicinio, discendente di quel Sicinio che, stando alla tradizione, sarebbe stato il primo a essere eletto tribuno della plebe sul monte Sacro, e Marco Duillio, figura di spicco come tribuno prima dell'avvento dei decemviri e che non aveva mai abbandonato la plebe negli scontri coi decemviri stessi. Infine, non per i meriti ma per quello che si sperava da loro, vennero eletti Marco Titinio, Marco Pomponio, Gaio Apronio, Appio Villio e Gaio Oppio. Entrato in carica, Icilio propose e fece approvare alla plebe che a nessuno fosse imputata come colpa la secessione contro i decemviri. Súbito dopo Marco Duillio presentò una proposta di legge che prevedeva l'elezione di consoli il cui potere fosse limitato dal diritto d'appello. Tutto questo venne portato a termine dall'assemblea della plebe tenutasi nei prati Flamini, prati che oggi si chiamano Circo Flaminio.

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