Kanakin
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Versione originale in latino


Est ardalionum quaedam Romae natio,
trepide concursans, occupata in otio,
gratis anhelans, multa agendo nil agens,
sibi molesta et aliis odiosissima.
hanc emendare, si tamen possum, volo
vera fabella; pretium est operae attendere.
Caesar Tiberius2 cum petens Neapolim
in Misenensem villam venisset suam,
quae, monte summo posita Luculli manu,
prospectat Siculum et respicit Tuscum mare,
ex alte cinctis unus atriensibus,
cui tunica ab umeris linteo Pelusio
erat destricta, cirris dependentibus,
perambulante laeta domino viridia,
alveolo coepit ligneo conspargere
humum aestuantem, iactans come officiolum:
sed deridetur.
inde notis flexibus
praecurrit alium in xystum, sedans pulverem.
agnoscit hominem Caesar, remque intellegit:
«Heus!» inquit dominus. ille enimvero adsilit,
donationis alacer certae gaudio.
tum sic iocata est tanta maiestas ducis:
«Non multum egisti et opera nequiquam perit;
multo maioris alapae mecum veneunt».

Traduzione all'italiano


Circola per Roma una razza di faccendoni, sempre
in moto e frettolosa, beata nel dolce far niente;
si affanna gratuitamente, mentre crede di fare tanto,
non conclude nulla; ed è di intralcio a se stessa e odiosa agli altri.
Vorrei con questo racconto vero correggerla se solo
vi riuscissi. Il prezzo dell’opera sta nell’ascolto. Cesare
Tiberio, in viaggio per Napoli, sostò nella sua villa
di Miseno costruita da Lucullo in cima al monte
con davanti il mare di Sicilia e alle spalle
il Tirreno. Uno dei suoi maestri di casa – con la tunica
tessuta di lino Pelusio che gli scendeva giù dalle spalle
imponente, con frange pendenti – mentre il suo padrone
tra le verdi aiuole passeggiava, si affrettò a dare acqua
con un secchio di legno al terreno tutto arso, mostrando
il proprio zelo, ma venne deriso. Poi, attraverso
una scorciatoia, raggiunse prima dell’altro
un vialetto, trattenendo al suolo la polvere. Cesare
inquadrò subito l’uomo e capì che si attendeva
non si sa che cosa. «A te» esclamò il signore.
Il domestico fece un balzo, giubilante,
per il piacere di un dono certo. Allora
la maestà di un così grande duce, scherzando
disse: «Nulla di rilevante hai fatto
e la tua opera non vale nulla; presso di me
a prezzo più alto vendiamo gli scappellotti».

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