XXXVI
Non è dunque grave se gli strateghi che vinsero la battaglia navale, quando dissero di non aver potuto raccogliere i cadaveri dal mare a causa della tempeste, li abbiate condannati a morte, convinti di dover esigere da loro giustizia per il valore dei caduti, e questi, che da privati cittadini per quanto fu in loro potere fecero sì che i combattenti (ad Egospotami) fossero vinti, e quando giunsero al potere ammettono di aver volontariamente mandato a morte molti cittadini senza processo, non bisogna dunque che voi condanniate loro e i loro figli all'estremo supplizio?
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Io dunque, giudici, crederei sufficienti le accuse contestate: fino a questo punto infatti penso che bisogna sviluppare l'accusa, fino a che sembri (ai giudici) che l'accusato ha compiuto delitti degni della pena di morte. Questa infatti è la pena estrema che possiamo infliggere loro. Così che non so perché si debba accusare di molte cose uomini siffatti, che neppure morendo due volte potrebbero pagare una pena conveniente per ciascuna delle loro azioni.
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Infatti a lui non si addice neppure questo, fare cioè ciò che è in uso in questa città, ossia non difendersi affatto dalle accuse, ma (i vostri concittadini) vi informano talora divagando su loro stessi, sbandierandovi di essere stati valorosi soldati, o di aver catturato molte navi dei nemici come trierarchi, o di aver reso alleate città nemiche;
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invitatelo dunque a dimostrarvi quando (i trenta) hanno mai ucciso tanti nemici quanti cittadini, o quando hanno mai catturato tante navi quante ne hanno consegnate, o quale sì grande città hanno conquistato quale la vostra che hanno reso schiava.
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Ma davvero spogliarono i nemici di tante armi quante erano proprio quelle che tolsero a voi, ma davvero conquistarono mura tali quali erano quelle della loro patria che rasero al suolo? Loro che abbatterono le fortezze dell'Attica e vi dimostrarono che demolirono il Pireo non per ordine degli Spartani, ma perché pensavano che così il loro potere fosse più sicuro.