TRAFFICO INTERNAZIONALE DI DROGA
3.1 Introduzione.
L’attività di prevenzione e repressione svolta dalle Forze di Polizia nel
settore degli stupefacenti in genere non può prescindere da una puntuale,
attenta ed aggiornata comprensione del fenomeno in tutte le sue forme e
manifestazioni. Solo attraverso un’appropriata capacità di studio, analisi e
valutazione della minaccia nel suo insieme è possibile elaborare una adeguata
strategia di lotta alle multinazionali del crimine, la cui maggiore fonte di lucro
proviene proprio dai traffici illeciti di droga, così da contrastare, in maniera
sempre più serrata, efficace ed intelligente una offerta che, al momento, non
sembra subire contrazioni o invertire il suo trend.
Per tale ragione, l’attività delle Forze di Polizia volta alla prevenzione e
repressione dei traffici di droga inizia con un’attività di intelligence necessaria
per individuare luoghi di produzione, flussi di traffico, mercati di consumo,
organizzazioni criminali coinvolte nella promozione e nella gestione dei traffici,
per poi proseguire con l’individuazione sul territorio dei terminali di tali flussi e
la concreta neutralizzazione dei responsabili.
Il traffico della droga è un fenomeno estremamente complesso, ha
dimensioni internazionali ed è interconnesso con numerosi fattori (sociali,
culturali, criminali). E’ complesso, in quanto comprende molteplici fasi (dalla
coltivazione alla produzione, raffinazione, acquisizione dei mezzi di trasporto,
distribuzione, consumo e riciclaggio dei relativi proventi), nonché un’articolata
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catena che richiede attori diversi. E’ internazionale, perché le suddette fasi si
svolgono in più Stati, con caratteristiche tali da poter affermare che oggi nessun
Paese sia indenne da tale grave e pernicioso problema. E’ interconnesso con
altri fattori non tutti riconducibili solo alle regole della domanda e dell’offerta.
Da qualunque punto di vista la questione venga affrontata, è di tutta
evidenza che la lotta al narcotraffico coincide con quella alla criminalità
organizzata internazionale che opera con indici di elevata capacità, mobilità e
adattabilità.
La gravità del fenomeno criminale del traffico internazionale di
stupefacenti pone la necessità e l’urgenza di una efficace strategia internazionale
unitaria, articolata su cinque settori di intervento, già chiaramente indicati dalla
Convenzione di Vienna del 1998 come complementari e imprescindibili:
1. attacco alle fonti di produzione e ai primi anelli della catena di criminalità
organizzata che gestisce tale traffico;
2. lotta al contrabbando dei cosiddetti “precursori”, cioè di quelle sostanze
che occorrono per i processi chimici di produzione delle droghe;
3. contrasto del consumo al dettaglio;
4. mutua assistenza giudiziaria internazionale;
5. lotta al riciclaggio dei proventi del narcotraffico.
Il problema, ovviamente, riguarda anche l’Italia in considerazione della
sua particolare posizione geografica, dell’esistenza di centrali criminose
nazionali e della presenza operativa, sul territorio, di malavitosi stranieri
collegati ad associazioni delinquenziali dell’Europa orientale, del Sud America e
dell’Africa.
Il nostro Paese, dove è molto acceso il dibattito sul problema della
droga, in particolare sul trattamento del consumatore (oscillante tra repressione
e recupero) e sulle eventuali modifiche dell’attuale sistema giuridico, è tra i più
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attivi nel perseguire questa strategia internazionale unitaria, purtroppo ancora
molto lontana dal realizzarsi compiutamente, nonostante l’intenso lavoro e i
costanti contatti fra gli operatori giudiziari.
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3.2 Il concetto di criminalità organizzata e le caratteristiche attuali del
fenomeno.
Preliminare all’analisi sul fenomeno dei traffici di sostanze stupefacenti
appare, in primo luogo, la definizione del concetto di criminalità organizzata.
Tale nozione si pone, infatti, quale antecedente logico rispetto a quello di
traffico di stupefacenti (e di riciclaggio dei relativi proventi), posto che tali
attività delittuose non possono che venire svolte in forma organizzata. Con
questa affermazione non si vuole affatto porre l’equazione tra monopolio del
commercio di droghe ed espansione della criminalità organizzata: come è stato
autorevolmente osservato , tale ipotesi non sarebbe fondata.
40
La droga, pur avendo offerto – e continuando ad offrire – alle
organizzazioni criminali straordinarie possibilità di arricchimento, non
costituisce certamente la loro esclusiva fonte di reddito e, forse, nemmeno
ormai la più importante. Anzi, l’esperienza italiana mostra che i sodalizi
criminosi più evoluti tendono sempre più frequentemente a riconvertire i loro
obiettivi verso attività illecite ugualmente redditizie, ma ritenute meno rischiose,
perché considerate moralmente meno ripugnanti, o perché sanzionate meno
pesantemente e sottoposte a minore pressione investigativa, o perché più
difficilmente accertabili, in quanto tale accertamento presupporrebbe la
collaborazione delle vittime, sempre difficile da ottenere (estorsioni, controllo
degli appalti di opere pubbliche, sfruttamento della prostituzione,
contrabbando, frodi, traffico di esseri umani, gioco d’azzardo, ecc.) .
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40 G. DI GENNARO – G. LA GRECA, La questione droga. Diffusione del consumo e strategie del
contrasto, Milano, 1999.
41 Secondo il Rapporto dell’Unione Europea sulla situazione della Criminalità Organizzata, presentato a
Bruxelles il 6 novembre 1998, “è noto che i gruppi di criminalità organizzata stanno esplorando e
sfruttando nuove aree criminali con un vigore non dissimile da quello delle imprese legali che esplorano e
sfruttano nuovi mercati. Attualmente la criminalità organizzata mostra la tendenza ad un maggior
coinvolgimento in quelle attività criminali che generano alti profitti e allo stesso tempo presentano rischi
minori per i malviventi coinvolti in termini di bassa percentuale di individuazione da parte delle forze
dell’ordine (dovuta in parte alla complessità e al costo delle indagini a lungo termine) e/o di pene inflitte. I
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Basterebbe questo evidente rilievo a fare giustizia della tesi, sostenuta dai
fautori della liberalizzazione o della legalizzazione della droga, secondo cui
queste ultime sarebbero utili al contrasto della criminalità organizzata,
sottraendole fonti di arricchimento. E’ invero evidente che, se i proventi dei
traffici di stupefacenti finissero, continuerebbero ed anzi si intensificherebbero
le altre attività illecite. Senza contare che, in un libero mercato della droga, le
organizzazioni criminali, che ne sono le attuali detentrici in regime di
monopolio, escluderebbero la concorrenza con i ben noti metodi dissuasivi di
minacce e violenze, come già fanno attualmente nei settori economici
formalmente leciti.
Per queste ragioni, non è più possibile articolare una strategia di
contrasto internazionale alla criminalità organizzata analizzando il fenomeno
del traffico internazionale di stupefacenti sganciato dalle altre forme di attività
criminale, per lo meno quelle che più frequentemente vi si associano.
Ciò detto, va rilevato che, se la legislazione italiana non contiene la
esplicita definizione di “criminalità organizzata”, dal complesso normativo
penale, sia sostanziale che processuale, possono individuarsi tre specie di
criminalità organizzata:
– quella mafiosa (prevista nell’art. 416 bis c.p. e le cui forme di
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manifestazione sono catalogate nell’art. 51, comma 3 bis, c.p.p.);
reati che presentano un rischio relativamente basso per il crimine organizzato sono il contrabbando e il
traffico di esseri umani ed altri reati economici comprese le frodi e i reati ambientali. Pertanto si prevede
che i crimini economici continuino ad aumentare sia in volume che in ampiezza”.
42 Art. 416 bis c.p. (Associazione di tipo mafioso): Chiunque fa parte di un’associazione di tipo mafioso
formata da tre o più persone, è punito con la reclusione da tre a sei anni. Coloro che promuovono, dirigono
o organizzano l’associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da quattro a nove anni.
L’associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di
intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per
commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività
economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi
ingiusti per sé o per altri ovvero al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare
voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali. Se l’associazione è armata si applica la pena
della reclusione da quattro a dieci anni nei casi previsti dal primo comma e da cinque a quindici anni nei
casi previsti dal secondo comma. Nei confronti del condannato è sempre obbligatoria la confisca delle cose
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– quella eversiva (associazione con finalità di terrorismo o di eversione
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prevista dall’art. 270 bis c.p.);
– quella comune (associazione per delinquere – prevista dall’art. 416 c.p.).
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La nozione di criminalità organizzata cominciò ad essere usata in Italia a
metà degli anni ‘70, quando, in coincidenza con l’esplodere del fenomeno dei
sequestri di persona e con l’insorgere del terrorismo politico delle Brigate Rosse
e dei gruppi neofascisti, si introdussero modifiche legislative, frutto della
crescente consapevolezza della differenza tra criminalità individuale e
criminalità organizzata. Allora, la distinzione era determinata da due
caratteristiche fondamentali: il numero delle persone coinvolte ed il carattere
permanente e professionale della attività criminale organizzata rispetto al
carattere casuale ed accidentale della criminalità individuale.
Trascorsi venti anni da quei primi approfondimenti, deve osservarsi che
la geografia criminale é completamente mutata. La criminalità individuale é
quasi un residuo folkloristico. L’organizzazione é entrata prepotentemente nel
mondo criminale e non c’é ormai attività illegale che non abbia una propria
forma organizzata, dallo sfruttamento della prostituzione alla immigrazione
che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il prodott
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