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Credo che ora abbia un po' meno freddo. Di cosa ti stavo parlando? Ah sì, della Spagna. Tu sì
che lo sapevi cos'era un carro armato. Anche gli internazionali. Un giorno abbatterono le linee
nemiche. I soldati spagnoli erano quasi rimasti senza ufficiali, a causa della loro ribellione, e
non sapevano ancora manovrare quei congegni. Per un motivo o per l'altro, quelli che
guidavano il macchinario, tutti volontari stranieri, giovani e vecchi, ex soldati, operai di Parigi,
di Berlino, di Cuba, contadini da tutte le parti del mondo, si trovarono soli in mezzo alle linee
fasciste. Non vedendo la fanteria, decisero di tornare indietro. Ma dato che non conoscevano
bene il territorio si perdettero. Erano tornati in terra franca, ma non lo sapevano. Ti rendi
conto, no? Erano già in salvo, ma non lo sapevano. Gli finì il carburante. Quindi scesero dai loro
carri e li distrussero. E quando sopraggiunsero i repubblicani, siccome essi non avevano
uniformi distinte da quelle dei superiori, i volontari, credendo che fossero fascisti, si tolsero la
vita: perché non li torturassero o non li obbligassero a dire ciò che sapevano sotto tortura o ad
inventare ciò che non sapevano. Perché anche tra di loro vi erano tedeschi con familiari nel
Reich. E russi. Non ti sembra una storia terribile? E una storia meravigliosa. Non si saprà mai
chi fossero, né come si chiamassero. E' il contrario della paura. Dice Richter che questa si
chiama solidarietà, e che là sono stati sepolti in più di ventimila. Ventimila madri che piangono
perché non sanno dove sono sepolti i loro figli, però ventimila che sanno perché sono sepolti.
Ventimila madri che hanno la certezza che i loro figli non stessero dalla parte degli altri... Che
non sono nel dubbio come sono io. Ma è vero che non è possibile che Samuele fosse in
combutta con quelli? E comunque, sai che a Grossman hanno lasciato la fabbrica? E anche la
banca. Ha solo cambiato nome. E non ne vuole sapere più niente di noi. I suoi soldi gli sono
costati. Io accetto tutto ciò che il Signore vuole mandarmi come sofferenza, ma c'è qualcosa in
me che mi spinge a gridare il dolore delle mie ferite. Lo so che ormai non mi ascoltano più
nemmeno queste pareti. Forse mi sente Susanna, là in America. Sai che non lasciano che i
Lowenthal se ne vadano in Brasile? Hanno tutte le carte in regola, ma esigono che paghino i
contributi di ciò che possedevano, di tutto ciò che gli hanno sottratto. Dato che gli hanno tolto
quel che avevano non possono pagare. Sono andati a trovare Grossmann perché li aiutasse.
Non li ha voluti ricevere. Quando morirà gli si riempirà lo scheletro di lerciume e sarà
tormentato all'infinito. Non te lo volevo ancora dire, ma Susanna mi ha scritto da Chicago,
dicedomi che devo fare tutto il possibile per provare di uscire, che loro mi invieranno il denaro
di cui ho bisogno. Subito sono venuti quelli della polizia a dirmi di accettare. Hanno fatto la
stessa cosa con la zia Maria, e quando ha ricevuto i dollari se li sono tenuti loro, per pagare le
loro imposte... Non appena ti hanno portato via la seconda volta, sono andati alla fabbrica,
hanno fatto un inventario e hanno confiscato ciò che c'era. Dopodiché hanno portato le fatture
di ogni cosa e ho dovuto pagare come se avessimo comprato le nostre cose. Walter ha provato
di protestare: gli hanno mostrato l'inventario. Dato che non c'erano più soldi, il capo del
gruppo si è tenuto tutto. Elsa mi ha detto che sono anche stata fortunata: suo padre l'hanno
messo a lavorare ad uno dei suoi tornii, fino a che non avesse pagato il dovuto per la morte di
von Rath con i suoi giornali. Dicono che l'abbiano fatto uccidere loro stessi. Tutto d'un colpo si
sono liberati di lui perché li disturbava, e hanno dato la colpa agli ebrei. Von Rath... Te lo
ricordi, no? Io avevo lasciato la torta a metà. Andai a casa di Marta. All'entrata del viale vidi
venire verso di me un gruppo di persone; non erano molti, no. Urlavano in mezzo alla strada,
facevano fermare le automobili vicino alla parete, aspettando di vedere che succedeva. Mi
presero per il braccio, provando di trascinarmi perché stessi con loro, ma io mi ero resa conto
di ciò che si trattava e gli dissi che non mi sentivo bene. E mi lasciarono andare. Non sono mai
stata una persona che si fa notare. Ricordo che il cielo era basso e che svolazzavano in cerchio
alcuni fogli di carta. Io stavo tremando, avevo freddo. Ma non come adesso, perché adesso
ormai ho paura. No, non ho paura. La paura adesso è di tutti. E' l'odio ciò che ho ora, e l'odio
riscalda. Si sentivano dei rumori da lontano, e io non potevo nemmeno girare la testa. Poi me
ne andai in tutta fretta. Perché ti racconto di nuovo questa cosa? O ho sempre pensato che tu
lo sapessi e non te l'ho mai raccontato? Di quanto mi sarò allontanata? Di venti passi? Subito
dopo vidi i negozi distrutti. Almeno dieci. Ti ricordi? Di fianco al negozio di Schlesinger c'era
quella dei vecchi di Bratislava che vendevano vestiti usati; poi il negozio di cianfrusaglie di
Fuchs e la cappelleria di quel bravo ragazzo di Berlino che si è voluto sposare con la figlia di
Marta, e, dall'altra parte, il caffè e la tinteria degli Schiller. E in mezzo alla strada era pieno di
gente; sul marciapiede, pieno di vetri rotti. Sembravano specchi e su di loro si specchiava il
cielo. Edmondo, il figlio maggiore degli Schiller, con la sua espressione indecifrabile, spazzava
il marciapiede di fronte a casa sua, molto serio, con gli occhi bassi. Mi ha visto e non ha detto
nulla. Un uomo lo guardava fissamente e rideva; prese una pietra da non so dove e ruppe lo
specchio che c'era su un lato del negozio. "Lavora, figlio di un cane, che non ti costa nulla", gli
ha detto. Forse alcuni si sono vergognati, perché si sono girati e se ne sono andati. Io non mi
potevo muovere. Dentro il negozio di Fuchs non c'era nessuno e per il marciapiede correva un
rivolo di sangue; due bambini lo guardavano, molto seri. "Io l'ho visto", ha detto uno dei due.
"Voleva picchiare un S.S." La gente era accorsa di nuovo e io, anche se avessi voluto, non sarei
potuta passare. Avevo paura che qualche vicino mi riconoscesse. Tutto questo per quel rivolo
di sangue. "Sangue di maiali" dicevano. "Lavalo", ordinarono a Edmondo. Lui continuava a
spazzare come se non si accorgesse di quello che stava succendendo. "Che lo pulisca", gli
gridarono in due o tre, tra di loro c'era una donna che sembrava ubriaca. "Ci senti?" gli dissero.
Lo sai che il poveretto è sordo come una campana. "Se non lo pulisce, che lo lecchi", urlò la
donna. Quell'idea mosse un gran entusiasmo e si avventarono in quattro sopra il ragazzo. Lo
presero, due per i piedi e due per le braccia, e lo dondolarono come una scopa, con la testa in
basso, sfregandogli il grugno contro le piastrelle del marciapiede. Ogni volta compariva più
sangue. E non mi potevo allontanare. Ti rendi conto? Non potevo. Al ragazzo dovevano
conficcarsi i vetri nella faccia. Si stancarono dopo poco, perché i due ragazzetti si erano
intrufolati all'interno del negozio ed erano usciti con due "renards" attorno al collo. La gente si
precipitò dentro il negozio come un torrente. Pestarono Edmondo, che se ne andò
trascinandosi al suolo fino a casa sua. Io in quel momento ero incastrata in un portone, perché
la gente continuava ad aumentare. Mi sentivo come morta. Volevo andarmene, uscire, gridare,
ma non riuscivo. Mi stringevano contro il muro, mi schiacciavano. Credo che ad un certo punto
svenni, ma non potei nemmeno cadere per terra dato che ero sostenuta da tanti corpi. Nel
frattempo arrivarono i pompieri, perché la casa di fronte stava bruciando, ma gli ostruirono il
passaggio con le asce che si erano portati dietro. La gente urlava: "Che brucino, che brucino."
Un uomo, ben vestito, ruppe l'unico vetro ancora integro in casa di Anna. Sembrava
soddisfatto della sua impresa, come un bambinetto orgoglioso della sua mira. Urlavano tutti
come matti. Io non mi potevo muovere se non dove mi portava la folla. Come quando abbiamo
preso la metro, a Parigi, non più di dieci anni fa. A una donna che gridava come un'ossessa
venne un attacco di nervi, cadde e la pestarono. Sembravano posseduti dal demonio. Credi che
potesse essere così? Sembrava che avessero fame. Credevo di morire. La guerra dev'essere una
cosa simile, anche se voi ci raccontate altre cose per tranqullizzarci. Quello che ricorderai di
sicuro è di come arrivai a casa. E di come piansi abbracciata a te. Tu cercavi di calmarmi, come
sempre, assicurandomi che non ci sarebbe potuto accadere niente. Parlammo poco mentre
cenammo; ricordo solo che mentre ti servivo il caffè, ti dissi: "Sono quasi contenta che sia
morto". E che piansi. Allora riuscivo ancora a piangere. Tu mi davi delle pacchette sulla spalla,
dicendomi: "Su, non essere sciocca, non essere sciocca", come se avessimo vent'anni. Quella
stessa notte vennero per te. E ti liberarono il giorno seguente. Perché ti hanno preso? Non l'hai
mai saputo. Quella notte fu spaventosa, anche peggio di queste di adesso. Pensavo solo come
sarebbe stato facile uccidermi, e meno doloroso. Se avessi avuto qualcuno vicino forse mi sarei
suicidata. Morire soli è più difficile che morire con un'altra persona di fianco. Per questo
capisco Emilia Kühne. Era durante le celebrazioni delle feste in occasione della rottura del
fronte est dei repubblicani spagnoli. "La morte non ha importanza", diceva Emilia. Ma non
voleva morire da sola. E venne a cercarmi. Non perché morissi con lei, ma perché le stessi
accanto in quel momento. Io non ne ebbi il coraggio, mi rifiutai e ci andò Maria. Maria era
molto coraggiosa: quando eravamo piccole era sempre la più decisa, era sempre la prima a
salire l'inferriata di quel giardino in cui della casa andavamo a giocare noi, i bambini del
palazzo. Maria era quella che rispondeva al portiere, quando gli pestavamo il prato. Stette con
Emilia fino alla fine. Si avvelenò. Maria tenne la sua mano dentro la sua fino a che non morì. Fu
un peccato, ma un bel peccato. Io non avrei potuto farlo. Di sicuro Emilia aveva sofferto più di
chiunque altro. Più di me, lo sai che non è vero; ma più di chiunque altro...
Avrei voluto dormire, anche se per poco. Ormai non dormo quasi mai, o se dormo non me
ne accorgo. Fa troppo freddo. Domani devo pulire la nostra sala da pranzo. Ogni mobile mi
ricorda la nostra vita, e quella di Samuele. Non mi hanno lasciato il tempo di portare via nulla.
Roberto ha detto alle S.S. che non avevano alcun diritto, che avrebbe chiamato il commissario.
Gli hanno risposto di farlo, s