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Così come la sua psicologia da iniziati, il suo sapere intorno al delitto,

soprattutto la sua capacità di suggerire l'idea di una colpa misteriosa e di farne

il substrato dell'esistenza dei suoi personaggi in parte così terribili, sono tutti

elementi indissolubilmente congiunti con la malattia.

Oltre al parricidio vi è un’altra fonte che contribuisce ad alimentare il senso di

colpa: la bisessualità. Questa disposizione subentra nel momento in cui il

bambino reagisce alla minaccia della sua virilità, rappresentata dall’evirazione,

ponendosi nella posizione della madre e assumendo il suo ruolo di oggetto

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d’amore agli occhi del padre. “Una disposizione accentuatamente bisessuale

diventa così un elemento che rende possibile e rafforza la nevrosi”. Freud

ipotizza questa predisposizione nel caso di Dostoevskij considerando

l’importanza delle amicizie maschili nella sua vita e la dolcezza del suo

comportamento verso i rivali in amore. Probabilmente l’esempio più chiaro lo

troviamo nel racconto “Cuore debole” del 1848 in cui è raccontata l’amicizia

molto intima tra due uomini che vivono nello stesso appartamento ( “non te

l’ho mai detto prima, Arkadij… Arkadij! La tua amicizia mi rende così felice,

senza di te non sarei al mondo – no, no, non dire niente, Arkaša! Dammi la tua

mano perché la stringa, lascia che … ti ringrazi!” Arkadij Ivanovič avrebbe

voluto subito gettarsi al collo di Vasija, (…)” ).

L’identificazione con il padre si inserisce all’interno dell’ Io; “Super-io è

diventato sadico, l’Io diventa masochistico, ossia in fondo femminilmente

passivo”. In questa prospettiva gli “accessi simili alla morte” costituiscono

un’identificazione dell’Io con il padre che viene “consentita a titolo punitivo

dal Super-io”. Fedor conservò negli anni il suo odio verso il padre, come

mantenne il suo desiderio di morte verso questo genitore cattivo, che nel tempo

peggiorava caratterialmente anziché migliorare. Se questi desideri rimossi si

avverano, inevitabilmente la fantasia diventa realtà e di conseguenza tutte le

misure difensive vengono potenziate. “A questo punto gli accessi di

Dostoevskij assumono carattere epilettico, significano ancora l’identificazione

punitiva col padre ma sono diventati terribili, come terribile è stata la morte

spaventosa del padre”. L’intenzione parricida costituì un vero e proprio peso di

coscienza, che lo scrittore russo non riuscì ad elaborare nel corso della sua vita;

per questo motivo anche il suo atteggiamento verso l’autorità statale e verso la

fede in Dio, due sfere nelle quali il rapporto col padre è determinante, ne fu

influenzato.

Nel romanzo I fratelli Karamazov,che si può interpretare come un’opera di

“esorcismo” verso il suo senso di colpa per desiderare la morte del padre, si

notano molti elementi che appartengono anche alla vita privata dello scrittore.

Fëdor Pávlovič Karamàzov, il padre del romanzo in questione è raffigurato

come “il tipo dell’uomo non soltanto abbietto e dissoluto ma anche insieme

sconclusionato”,come un “maligno buffone”. Era vedovo, aveva la tendenza a

bere un bicchiere di troppo ed era solito utilizzare la sua autorità per dominare

le persone a lui dipendenti e divenne “ tanto noto ai suoi tempi per la sue

tragica e oscura fine”. Si ritiene che Michaìl Andrèevič Dostoevskij, il padre

dello scrittore, fosse un uomo collerico e turpe; il fatto che fosse stato

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assassinato da alcuni contadini per le brutalità che egli era solito commettere,

conferma questa ipotesi. Un altro aspetto reale che si intreccia con il romanzo è

che sia tra Dostoevskij padre e scrittore, che tra Fëdor Pávlovič Karamàzov e i

figli, l’argomento predominante era il denaro. E ancora, parlando del rapporto

che intercorre tra la figura paterna, l’autorità statale e Dio, Ivan ,uno dei

quattro fratelli Karamàzov, (ma pure altri protagonisti come Raskolnikov in

“Delitto e castigo”) continua a tormentarsi sulla scoperta che il padre sia Dio.

Ma se la presenza del padre e dunque del Padre nell’“io” è un ingombro alla

nascita dell’“io” stesso, allora come uscirne? Se Dio non esiste allora tutto è

permesso. Questa frase è l’immediata conseguenza della voglia di parricidio: se

il padre non ci fosse più a vincolare il mio ‘io’, allora tutto ciò che il mio ‘io’

può, mi sarebbe permesso: e dal padre terreno a quello divino, tale frase potrà

naturalmente percorrere tutti i gradi intermedi, in un crescendo rivoluzionario:

se le autorità spirituali non ci fossero, allora tutto sarebbe permesso, se lo zar

non ci fosse allora tutto sarebbe permesso, e così via. E’ interessante notare ciò

che scrive Vladimir Laksin ( critico letterario apertamente contro l’alta

società ) nel suo saggio “giudizio su Ivan karamàzov”: “un solo eroe

rappresenta il cuore e il centro della sua ricerca ideale e questi è,naturalmente,

Ivan”; “è indiscutibile che nel progetto dell’autore proprio Ivan è il principale

perturbatore della quiete,istigatore al parricidio e quindi l’assassino più

importante e principale (…) che sarà crocifisso moralmente da Dostoevskij”.

Materialmente il delitto verrà commesso da Smerdjakov (che è un epilettico e

in più non è considerato dal padre come gli altri figli, ma un reietto che entra in

casa sua solo facendo parte della servitù ) ma questo passa in secondo piano di

fronte all’eroe Ivan in cui ritroviamo tutti i tormenti dell’autore e le sue

contraddizioni: “ noi di solito riteniamo che, essendo lo scrittore un maestro di

vita,egli scriva un libro con l’intenzione di esporre un problema per lui già

risolto e di spiegare agli altri la propria concezione del mondo. Ma

infinitamente più frequente è il caso che anche un grande scrittore prenda la

penna proprio perché un problema a lui stesso non è chiaro fino in fondo”.

Dostoevskij mentre stende il romanzo “è così abituato a guadare Ivan dal di

dentro che una volta gli sfugge persino un accenno puramente autobiografico.

Nel capitolo ribellione Ivan, infervorato in un appassionata e schietta

conversazione osserva tra l‘altro – io ho conosciuto un brigante in carcere -.

(….) Ma quando mai Ivan è stato in carcere?”.

Invece nel 1849 l’autore, come è già stato accennato, fu arrestato dalla polizia

zarista sotto l’accusa di cospirazione e in seguito fu condannato a morte

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insieme ai suoi compagni. La sentenza fu eseguita in tutti i suoi macabri

particolari ( i condannati vestiti con il camice funebre di colore bianco, la

lettura della condanna, la disposizione del plotone di esecuzione ), ma

all’ultimo momento giunse un messo a cavallo con la notizia della concessione

della grazia: la pena veniva commutata nei lavori forzati in Siberia. Ma non si

trattava di una concessione sovrana, provvidenzialmente sopraggiunta

all’ultimo momento. In realtà era accaduta una cosa odiosa e terribile. Il

Governo zarista, nella sua bieca necessità di controllare le coscienze, aveva

portato degli esseri umani fino al limite estremo della vita, esponendoli ad una

pena insopportabile per la mente di un uomo. Questo momento estremo è

scandito da un rituale che ne sottolinea l’eccezionalità e che si imprime

indelebilmente nella coscienza dei condannati, dilatata fino allo spasimo.

Questa esperienza rappresentò una tremenda prova per il loro equilibrio

psichico: alcuni non ressero a questa tensione estrema e impazzirono.

Dostoevskij mantenne la padronanza di sé – allora come durante i penosi anni

di lavori forzati – ma il ricordo di quei momenti lo accompagnò per tutta la

vita, divenendo il centro ideale di tutte le sue riflessioni sulla vita e sul destino

dell’uomo. “ Vi entrò come un condannato a morte. Non pensava,non voleva

pensare a nulla. Ma con tutto l’essere suo sentì a un tratto che non aveva più né

libertà di ragionamento, né volontà e che tutto, di colpo, s’era definitivamente

deciso.” (… ) « Dove mai ho letto che un condannato a morte, un'ora prima di

morire, diceva o pensava che, se gli fosse toccato vivere in qualche luogo

altissimo, su uno scoglio, e su uno spiazzo cosí stretto da poterci posare

soltanto i due piedi, - avendo intorno a sé dei precipizi, l'oceano, la tenebra

eterna, un'eterna solitudine e una eterna tempesta, e rimanersene cosí, in un

metro quadrato di spazio, tutta la vita, un migliaio d'anni, l'eternità, - anche

allora avrebbe preferito vivere che morir subito? Pur di vivere, vivere, vivere!

Vivere in qualunque modo, ma vivere!... Quale verità! Dio, che verità! È un

vigliacco l'uomo!... Ed è un vigliacco chi per questo lo chiama vigliacco. »

( Delitto e castigo”. )

Freud chiude la prima parte del saggio constatando come per Dostoevskij il

criminale è un uomo che ha avuto il grande pregio di prendere su di sé la colpa

di un delitto così atroce, delitto che altrimenti sarebbe messo in atto

inevitabilmente da altri; “Uccidere non è più necessario dopo che egli ha già

compiuto il delitto, ma bisogna essergliene grati, perché altrimenti avremmo

dovuto uccidere noi stessi”.

Nella seconda e ultima parte della sua trattazione, Freud esamina la passione

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per il gioco dello scrittore russo. Il gioco era per lui un modo per punirsi: una

volta che avesse perduto tutto, avrebbe potuto disprezzarsi e farsi umiliare. Il

fatto che volesse servirsi di questo rischioso metodo di guadagno per poter

accumulare quantità di denaro più che sufficienti per poter vivere, era soltanto

un pretesto; infatti “egli sapeva che l’essenziale era il gioco in sé e per sé, le

jeu par le jeu”, come scriveva in una delle sue lettere. La moglie lo seguiva in

questi cicli di povertà e maggiore tranquillità economica, perché aveva capito

che la situazione di miseria era una condizione ottimale per la produzione

letteraria di Dostoevskij; “restava sempre al tavolo da gioco finché non aveva

perduto tutto, finché non rimaneva completamente annientato. Solo quando la

sciagura si era c

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Publisher
A.A. 2013-2014
40 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PSI/07 Psicologia dinamica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher nene.1988 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Psicologia dinamica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano - Bicocca o del prof Blandino Giorgio.