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Il 68 tra illusioni progressiste e una censura imperante
1. Le fantasticherie degli inconsapevoli consumisti: pedine di una falsa rivoluzione
Per comprendere come Pasolini si approcciasse ai cosiddetti sessantottini, è necessario analizzare dettagliatamente il suo componimento intitolato "Vi odio cari studenti". Quest'ultimo fa parte di un articolo scritto per l'Espresso:
"Siete in ritardo, cari. Non ha nessuna importanza se allora non eravate ancora nati: peggio per voi […] Avete facce di figli di papà. Vi odio come odio i vostri papà […] Io simpatizzavo coi poliziotti. Perché i poliziotti sono figli dei poveri […] Peggio di tutto, naturalmente, è lo stato psicologico cui sono ridotti (per una quarantina di mille lire al mese): senza più sorriso […] Hanno vent'anni la vostra età, cari e care. Ma prendetevela contro la Magistratura, e vedrete! I ragazzi poliziotti che voi per sacro teppismo"
(di eletta tradizione risorgimentale) di figli di papà, avete bastonato, appartengono all'altra classe sociale […] In questi casi ai poliziotti si danno i fiori, cari. Stampa e Corriere della Sera, Newsweek e Monde vi leccano il culo […] Blandamente i tempi di Hitler ritornano: la borghesia ama punirsi con le sue proprie mani. Si nota come Pasolini coglie profeticamente le spie e le contraddizioni di quell'iniziale processo di destrutturazione dei valori, dei soggetti e degli spazi della società moderna. Negli Scritti Corsari il poeta parla anche del Sessantotto. [1] C'è stato un momento, pochi anni fa, in cui pareva ogni giorno che la Rivoluzione sarebbe scoppiata l'indomani. Insieme ai giovani - dal 1968 in poi - a credere nella Rivoluzione imminente che avrebbe rovesciato e distrutto dalle fondamenta il Sistema (come citato in [1]).Allora veniva ossessivamente chiamato; e chi l'ha fatto arrossisca)2c'erano anche degli intellettuali non più giovani o addirittura coi capelli bianchi.
Ma prima di discutere sulle critiche fatte a questi illusi borghesi, è necessario contestualizzare l'occasione in cui Pasolini ha scritto questo componimento. Saranno gli eventi di Valle Giulia ad ispirarlo: a Roma l'Università La Sapienza conobbe le sue prime occupazioni ed il primo marzo migliaia di studenti si ritrovarono in Piazza di Spagna.
C'era in programma un corteo di protesta verso Valle Giulia, per manifestare davanti alla facoltà di Architettura. Ma durante il tragitto gli studenti vennero fermati da poliziotti e carabinieri, così nacque il primo scontro violento tra studenti e forze dell'ordine. Ecco cosa pensano gli storici a riguardo:
Valle Giulia è sicuramente l'evento-simbolo: per la prima volta si risponde alla polizia (ottenendo anche una
parziale vittoria militare). Questa risposta provoca una sorta di ebbrezza nel movimento: lo scontro non solo è possibile, ma anche vincente.
A Valle Giulia gli studenti dei ceti medi scoprirono per la prima volta che la violenza era un gioco possibile, anche politicamente fruttuoso, che completava e arricchiva l'esistenza.
2P.P. Pasolini, Saggi sulla politica e sulla società. Scritti Corsari, a cura di W. Siti e S. De Laude, Arnoldo Mondadori, Milano 1998, p.294
3M. Grispigni, Generazione, politica e violenza. Il '68 a Roma, in La cultura e i luoghi del '68 a cura di A. Agosti, L. Passerini, N. Tranfaglia, cit., p. 299.
4V. Vidotto, La nuova società, in Storia d'Italia a cura di G. Sabbatucci, V. Vidotto, Laterza, Roma 1999, p. 67-102
Il movimento inizialmente fu abbastanza pacifico e i suoi difensori hanno giustamente sottolineato che fu la brutalità della polizia dentro le università a provocare una risposta dello stesso tipo. Sarebbe
tuttavia fuorviante dedurne che si trattava di un movimento pacifista, costretto a scegliere una posizione violenta contro la propria volontà. La violenza fu invece accettata come inevitabile ed entrò quasi incontrastata tra i valori e le azioni del movimento. La giusta violenza dei rivoluzionari – quella di Mao, del Che, dei vietnamiti – veniva contrapposta a quella dei capitalisti. Pasolini non poteva fare a meno di criticare gli scontri di Valle Giulia: poiché i poliziotti, figli di operai e contadini che vivevano nelle borgate erano gli unici a poter fare breccia nel consumismo vigente. L'autore friulano nella raccolta di poesie La nuova gioventù si sofferma sul desiderio dei ceti più disagiati, tra cui anche i poliziotti, di ottenere lo stesso stile di vita dei borghesi per mezzo di una maggiore retribuzione. Ci siamo sbagliati credendo che fosse impossibile che gli uomini potessero cambiarsi così in così poco tempo.Che i ragazzi crescessero, in così poco tempo, così voltati a un nuovo destino. E tutto solo per mille lire di più in saccoccia. Sono stati dei santi, in principio: proprio i santi che, una volta, sapevano rassegnarsi.
Ma cosa intende Pasolini per teppismo? Lo chiarirà qualche anno dopo in un articolo scritto per il quotidiano Tempo e poi raccolto con altri articoli nell'opera Descrizioni di descrizioni.
Un comportamento sociale attraverso cui il potere assume forme apparentemente rivoltose, in contraddizione con le proprie leggi, e l'autorità viene accettata faziosamente, quasi che la dichiarazione di lealismo ad essa fosse scandalosa. C'è anche un teppismo letterario. In tal caso il "potere" e l'"autorità" sono da intendere in un senso parziale e particolare: cioè nel senso generico di "conformismo".
Quasi A. Tonelli, Impegno e disimpegno, contestazione ed evasione. Cinema, teatro.
musica nel Sessantotto, in "Storia e problemi contemporanei" n.21, CLUEB, Bologna 1998, p. 115. 6 P. P. Pasolini, La nuova gioventù, Einaudi, Torino 1975, p. 239 103 sempre i conformisti sono teppisti: cioè oppongono al vero scandalo 7 dell'accettazione di una cultura stabilita. Dunque Pasolini non riconosce nei movimenti del Sessantotto una rivoluzione, ma un processo regressivo. I giovani protagonisti dei fatti di Valle Giulia credono di compiere qualcosa di rivoluzionario, ma in realtà con gli stessi occhi cattivi dei padri diventano pedine del consumismo vigente. Nello stesso anno di questo andamento regressivo, Pasolini in Teorema parla di una rievocazione del nazismo. Precisamente nel capitolo intitolato "Sì, certo, cosa fanno i giovani...": [...] non preparano altro che l'avvento di un nuovo Dio Sterminatore, marchiati, innocentemente, di una croce uncinata: eppure essi saranno i primi a entrare, con vere malattie e veristracci addosso, in una camera a gas: non è ciò che giustamente vogliono? [...] obbediscono all'oscuro mandato. E incominciano a invocare il suddetto Dio. Arriva Hitler, e la Borghesia è felice. Muore, suppliziata, per mano di se stessa.
Proseguendo nell'analisi del componimento scritto in seguito ai fatti di Valle Giulia, il poeta si sofferma sul ruolo che gli operai dovrebbero avere in questi momenti funesti:
Ma, soprattutto, come potrebbero concedersi un giovane operaio di occupare una fabbrica senza morire di fame dopo tre giorni? Andate a occupare le università, cari figli, ma date metà dei vostri emolumenti paterni sia pure scarsi a dei giovani operai perché possano occupare, insieme a voi, le loro fabbriche. Mi dispiace, è un
P.P. Pasolini, Saggi sulla letteratura e sull'arte. Descrizioni di discrezioni, a cura di W. Siti e S. De Laude, Arnoldo Mondadori, Milano 1998, pp. 1913
P. P. Pasolini, Teorema, pp.147-148
104suggerimento banale; e ricattatorio. Ma soprattutto inutile: perché voi siete borghesi e quindi anticomunisti. Gli operai, loro, sono rimasti al 1950 e più indietro […] Sarà che gli operai non parlano né il francese né l'inglese, e solo qualcuno, poveretto, la sera, in cellula, si è dato da fare per imparare un po' di russo.
La concezione immobilistica di Pasolini riguardo gli operai fu molto criticata da Vittorio Foa, il segretario della CGIL. Ciò avvenne in occasione della tavola rotonda organizzata dall'Espresso il 16 giugno 1968:
Non capisce gli studenti perché non sono oggi gli operai: la classe operaia non è più quella della metà degli anni '50, è un'altra cosa completamente diversa […] io vorrei ricordare che oggi, nelle grandi città del Nord, migliaia e migliaia di operai giovani vanno a scuola la sera e imparano le lingue, apprendono le
Tecniche, studiano le discipline umanistiche. Ed è proprio per questo che essi hanno trovato un terreno abbastanza omogeneo con gli studenti.
Il segretario della Federazione giovanile comunista, Claudio Petruccioli, aggiunge in merito: Gli sfugge un fatto importante, cioè questo: che il ruolo politico degli strati sociali non è legato alla loro "miserabilità" ma alla loro collocazione concreta nel processo produttivo e quindi alla possibilità di acquisire una coscienza rivoluzionaria. Per lo stesso motivo Pasolini sbaglia il giudizio sugli studenti, i quali non si possono giudicare da loro status d'origine, dal fatto che sono in gran parte figli dei borghesi, ma solo del ruolo che assumono oggi nella dialettica sociale e dei loro comportamenti.
P.P. Pasolini, Il PCI ai giovani, L'Espresso n.24, 16 giugno 1968 (corsivo mio)
N. Ajello, Vi odio cari studenti, L'Espresso n.24, 6 giugno 1968
L'Espresso n.24, 16 giugno 1968
Pasolini, in risposta, afferma che la sua poesia è stata letta in una chiave sbagliata. Infatti aveva l'intenzione di provocare i giovani borghesi, per far sì che essi non moltiplichino il moralismo dei loro padri. A proposito del cambiamento perseguito dai sessantottini, l'intellettuale bolognese afferma che non si può parlare di un vero cambiamento se avviene solo in una parte dell'Italia.
Durante questa tavola rotonda c'è un'altra frase presente nella poesia Il PCI ai giovani che costituisce il punto di partenza di polemiche accese tra Pasolini e i rappresentanti del Movimento studentesco. [...] andate ad occupare le università, cari figli, ma date la metà dei vostri emolumenti paterni sia pur scarsi a dei giovani operai perché possano occupare insieme a voi, le loro fabbri