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CONCLUSIONI

In questo lavoro ho cercato di affrontare, in un’ottica quanto più sistemica possibile, la

complessa questione delle differenze di genere nell’esposizione allo stress lavoro-

correlato.

Attraverso l’analisi di modelli teorici, dati statistici e letteratura internazionale, è emerso

con chiarezza come lo stress nei contesti lavorativi non sia mai da considerarsi un

fenomeno neutro, bensì sia influenzato, modulato e talvolta amplificato da variabili

sociali e culturali, nonché biologiche, organizzative che interagiscono in modo

significativo con il genere.

Non si tratta, come è opportuno chiarire, di costruire una narrazione che rappresenti le

donne come soggetti strutturalmente più deboli, fragili o biologicamente meno resilienti

degli uomini. Le differenze ormonali e neurofisiologiche documentate dalla letteratura,

non implicano, infatti, una minore capacità di fronteggiamento dello stress, quanto

piuttosto risposte adattive differenti, che si inseriscono in sistemi di coping spesso

maggiormente orientati al supporto relazionale e alla regolazione emotiva.

Evidentemente, però, questi meccanismi, che possono costituire una risorsa, possono

divenire fonte di sovraccarico quando si sommano al peso dei ruoli multipli, agli oneri di

cura e alla pressione di aspettative sociali diseguali.

Il nodo centrale, che rappresenta forse il cuore del problema, è relativo all’inadeguatezza

degli attuali modelli valutativi, che, al netto degli avanzamenti normativi, spesso

continuano ad essere improntati ad un’idea di neutralità astratta. In Italia, così come in

altri contesti europei, la valutazione del rischio da stress lavoro-correlato, viene ancora

oggi condotta prevalentemente tramite check-list standardizzate e strumenti che

difficilmente interrogano in maniera approfondita le specificità di genere. In questo

contesto i DVR, pur avendo al proprio interno un’analisi del rischio psicosociale, non

sempre riescono ad includere quegli elementi meno visibili ma fondamentali, che la

letteratura considera imprescindibili, ovvero il doppio ruolo, la segregazione orizzontale

e verticale, le molestie, il mobbing e i carichi emotivi.

Non si può ignorare, inoltre, che questi meccanismi di stress differenziato sono radicati

all’interno delle strutture organizzative e culturali che riproducono nel tempo, specifici

stereotipi e asimmetrie di opportunità. La presenza ancora diffusa di ostacoli al pieno

accesso delle donne a ruoli decisionali, così come la persistenza di retaggi culturali che

considerano le responsabilità familiari come primariamente femminili, finiscono per

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tradursi in carichi cognitivi e affettivi sproporzionati, che le lavoratrici devono gestire

costantemente.

Sul piano più costruttivo, quanto tracciato nel corso del lavoro suggerisce anche le strade

attraverso cui è possibile intervenire efficacemente, non tanto al fine di proteggere un

presunto gruppo fragile, quanto per costruire contesti di lavoro aziendali autenticamente

inclusivi e sostenibili per tutti i lavoratori, indipendentemente dal loro genere.

In quest'ottica, risultano centrali alcune proposte operative.

In primo luogo, è necessaria una profonda revisione dei modelli valutativi del rischio

stress lavoro correlato, superando la logica della standardizzazione indifferenziata e

introducendo indicatori di genere specifici e sistematicamente rilevati.

In secondo luogo, la raccolta dei dati, così come avviene oggi, dovrebbe essere arricchita

attraverso metodologie miste e partecipate, si pensi ad esempio a interviste in profondità

e osservatori aziendali permanenti, che siano in grado di cogliere le dimensioni

esperienziali, le percezioni soggettive e i fattori organizzativi sommersi.

Inoltre, risulta essenziale un potenziamento della formazione di tutti gli attori coinvolti

nella prevenzione, affinché vengano sviluppate competenze necessarie per leggere

correttamente i segnali deboli che indicano squilibri di genere nei rischi. In questo senso,

è necessario sostenere un cambio di paradigma culturale, che non sia limitato a

riconoscere formalmente le differenze, ma che le assuma come variabili strutturali nella

progettazione del benessere organizzativo. Ciò implica politiche di conciliazione

realmente accessibili per entrambi i generi, leadership inclusiva, promozione di modelli

di carriera flessibili e sistemi di valutazione trasparenti e meritocratici.

In conclusione, la valutazione del rischio stress lavoro correlato oggi rappresenta una

sfida fertile per l'innovazione delle politiche di salute e della sicurezza sul lavoro. Per

questo, integrare stabilmente la dimensione di genere in questo processo non deve essere

considerata come aggiunto opzionale o di “convenienza sociale”, ma come necessità

tecnica, scientifica e organizzativa, indispensabile per garantire ambienti di lavoro

realmente equi e per valorizzare, senza retorica né distorsioni, la complessità delle

esperienze lavorative maschili e femminili.

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Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PSI/06 Psicologia del lavoro e delle organizzazioni

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