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Estratto del documento

Si può derogare alle disposizioni del paragrafo 8 in materia di separazione dei detenuti

al fine di permettere a questi ultimi di partecipare insieme a delle attività organizzate.

Tuttavia i gruppi in questione devono essere sempre separati la notte, a meno che gli

interessati non consentano di coabitare e che le autorità penitenziarie non stimino che

questa misura rientri nell’interesse di tutti i detenuti al riguardo.

Le condizioni di alloggio dei detenuti devono soddisfare le misure di sicurezza meno

restrittive possibile e compatibili col rischio che gli interessati evadano, si feriscano o

feriscano altre persone.

Il ricorrente considera che le sue condizioni di detenzione siano state contrarie all’articolo 3

della Convenzione. Il Governo italiano contesta questa tesi.

La Corte di Strasburgo constata che questa lamentela non sia manifestamente infondata ai seni

dell’articolo 35 paragrafo 3 della Convenzione. Essa rileva che non si scontra con alcun altro

motivo di non ammissibilità. Quindi è dichiarata ammissibile. 125

La CEDU, facendo riferimento alle sentenze della Grande Camera nei casi Saadi c. Italia del 28

febbraio 2008 e Labita c. Italia, sentenza del 6 aprile 2000, ricorda che l’articolo 3 della

Convenzione consacra uno dei valori fondamentali delle società democratiche, in quanto

proibisce in termini assoluti la tortura e le pene od i trattamenti inumani o degradanti,

indipendentemente dal comportamento della vittima.

La Corte ricorda inoltre che l’articolo 3 della Convenzione impone allo Stato di assicurare che

tutti i prigionieri siano detenuti in condizioni compatibili con il rispetto della dignità umana, che

le modalità di esecuzione del provvedimento non provochino all’interessato uno sconforto ed un

malessere di intensità tale da eccedere l’inevitabile livello di sofferenza legato alla detenzione e

che, tenuto conto delle necessità pratiche della reclusione, la salute ed il benessere del detenuto

siano assicurate in modo adeguato.

La Corte di Strasburgo ricorda anche che il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e

dei trattamenti o delle pene inumani o degradanti del Consiglio d’Europa ha fissato a 7 metri

quadrati la superficie minima suggerita per una cella di detenzione, e che un sovraffollamento

carcerario grave pone un problema sotto il profilo dell’articolo 3 della Convenzione.

La CEDU ricorda infine che nei casi dove il sovraffollamento non solleva automaticamente

l’eccezione di violazione dell’articolo 3, al fine di verificare il rispetto di questa disposizione,

possono essere presi in considerazione altri aspetti riguardanti le condizioni di detenzione. Tra

questi elementi, ci sono la possibilità di utilizzare i servizi igienici privatamente, l’aerazione

disponibile, l’accesso alla luce naturale ed all’aria aperta, la qualità del riscaldamento ed il

rispetto delle esigenze sanitarie di base.

Alla sentenza della Corte di Strasburgo sono allegate due opinioni individuali dei giudici,

un’opinione concordante del giudice Sajò ed un’opinione dissenziente del giudice Zagrebelsky,

alla quale aderisce la giudice Jociene.

Il giudice Sajò aderisce alla conclusione della Corte secondo cui c’è stata una violazione

dell’articolo 3 della Convenzione, ma spiega perché la mancanza di spazio personale di cui il

ricorrente ha sofferto costituisca un trattamento disumano.

Il richiedente è stato mantenuto in condizioni estremamente penose in un periodo

relativamente lungo in ragione dell’improvvisa sovrappopolazione carceraria. Nel

presente processo, non è la mancanza di spazio nella cella che costituisca in sé un

trattamento disumano o degradante. Le condizioni non erano di natura tale da

comportare immancabilmente o probabilmente un danno per la salute mentale e fisica

del richiedente o per la sua integrità, ma esse erano manifestamente molto “al di qua”

delle norme raccomandate dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura e

delle pene o trattamenti disumani e degradanti in ciò che concerne lo spazio

disponibile per detenuto. Nelle circostanze particolari della fattispecie, la disumanità

della situazione risiede nel fatto che lo Stato non ha mostrato che aveva adottato le

126

misure compensatorie supplementari per attenuare le condizioni estremamente

disagevoli risultanti dalla sovrappopolazione carceraria. Esso avrebbe potuto prestare

un’attenzione particolare alla situazione, per esempio accordando ai detenuti altri

vantaggi, ciò che avrebbe trasferito loro il messaggio che lo Stato, sebbene posto di

fronte ad un’improvvisa crisi carceraria, non era indifferente alla sorte dei detenuti,

intendendo creare condizioni di detenzione che non avrebbero fatto credere che un

detenuto fosse semplicemente un corpo che si dovesse ben piazzare da qualche parte.

Nella fattispecie, l’assenza di preoccupazione da parte dello Stato aggiunge un tocco

d’indifferenza alla viva sofferenza provocata dal castigo, sofferenza che andava già

quasi al di là dell’inevitabile.

Segue poi l’opinione dissidente del giudice Zagrebelsky, alla quale aderisce la giudice Jociene.

Vladimiro Zagrebelsky richiama la giurisprudenza consolidata della Corte di Strasburgo,

secondo la quale, da una parte, le condizioni di detenzione non devono sottoporre l’interessato

ad un pericolo od ad una prova di un’intensità che ecceda il livello inevitabile di sofferenza

parte, un cattivo trattamento, per rientrare nell’articolo 3 della Convenzione, deve raggiungere

un minimo di gravità. La valutazione di questo minimo è relativa; essa dipende dall’insieme dei

dati in causa, specialmente dalla durata del trattamento e dai suoi effetti fisici o mentali, così

come dal sesso, dall’età e dallo stato di salute della vittima.

Osserva che il problema della sovrappopolazione carceraria al quale rinvia il processo in

questione è un problema grave che riguarda parecchi Stati del Consiglio d’Europa, compresa

l’Italia, le cui autorità interne ne hanno esse stesse ammesso l’esistenza in più occasioni

pubbliche. Aggiunge che il rapporto del Commissario per i diritti dell’uomo del Consiglio

d’Europa ne ha trattato. L’opinione dissenziente di Zagrebelsky tratta del minimo di gravità

nell’applicazione dell’articolo 3 della Convenzione, e quindi di una questione di ordine

generale, e ha lo scopo di dimostrare in che cosa le condizioni di detenzione del richiedente non

hanno raggiunto il minimo richiesto.

La maggioranza dei giudici componenti il Collegio ha fatto riferimento alle indicazioni

provenienti dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura e dei trattamenti disumani e

degradanti. Si nota che il Comitato quando indica un livello auspicabile tratta di celle

individuale di polizia e non di celle destinate alla detenzione, alloggiando normalmente più di

una persona. È proprio riferendosi a questa seconda categoria che il Comitato prende in

considerazione la questione della sovrappopolazione e delle sue conseguenze generali, che esso

enumera e considera in modo molto ragionevole, escludendo ogni automatismo per ciò che

concerne la dimensione delle celle ed il numero dei detenuti.

Allo stato delle cose, è vero che si trova nella giurisprudenza della Corte l’affermazione

secondo la quale l’esiguità dello spazio personale a disposizione di un detenuto può, di per sé

stessa, giustificare una constatazione di violazione dell’articolo 3 della Convenzione,

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specialmente quando il richiedente disponga di meno di 3 metri quadrati. Questo principio

tuttavia è smentito dall’applicazione pratica che la Corte ne ha fatto.

Zagrebelsky richiama l’articolo 3 della Convenzione, che prevede un divieto assoluto di tortura

e dei trattamenti disumani o degradanti. Perfino il diritto alla vita non è così assoluto. Il giudice

Zagrebelsky ritiene che la ragione della natura assoluta del divieto dei trattamenti proibiti

dall’articolo 3 risieda nel fatto che, nella coscienza e nella sensibilità degli Europei, tali

trattamenti appaiano come intollerabili in sé, in ogni occasione ed in ogni situazione. Tra ciò che

si considera nel quadro dell’articolo 3 come intollerabile e ciò che si può considerare come

auspicabile, c’è, per il giudice dissenziente, la stessa differenza di quella che c’è tra il ruolo

della Corte ed i ruoli del CPT, delle organizzazioni non governative e dei parlamenti nazionali.

Per Zagrebelsky, la tendenza che questa sentenza sembra mettere in luce, a sapere che la Corte

pone il suo esame nel quadro di ciò che è auspicabile, dovrebbe avere per effetto di accrescere la

protezione contro i trattamenti proibiti dall’articolo 3. Sebbene questa tendenza si nutra di

generosità, essa favorisce in realtà una deriva pericolosa verso la relativizzazione del divieto,

più si abbassa la soglia minima di gravità, più si è costretti a tener conto delle ragioni e

circostanze. 128

4. La tutela della persona umana nella Costituzione

italiana.

4.1 La Costituzione italiana.

La Costituzione della Repubblica italiana del 1948 rappresenta il vertice della gerarchia delle

fonti dell’ordinamento italiano. È il fondamento di validità delle fonti primarie. È una

Costituzione rigida, il cui mutamento, chiamato revisione costituzionale, è soggetto ad un

procedimento particolare. Con lo stesso procedimento sono approvate anche le altre leggi

costituzionali che la Costituzione stessa prevede per la sua integrazione.

Sorta quale espressione del profondo movimento di reazione al regime fascista ed ai disastri

bellici che ne seguirono, la Costituzione italiana, tuttora vigente, fu promulgata dal capo

provvisorio dello Stato Enrico De Nicola il 27 dicembre 1947 ed entrò in vigore il 1° gennaio

1948.

L’elaborazione concreta della Costituzione fu affidata ad una Commissione di 75 membri, cui fu

demandato il compito di redigere un progetto di Costituzione. Questa, presieduta da Meuccio

Ruini e suddivisa in tre sottocommissioni, presentò all’Assemblea il progetto il 31 gennaio

1947; la discussione, iniziata il 4 marzo, condusse all’approvazione definitiva, avvenuta a

scrutinio segreto, con 452 voti favorevoli e 62 contrari, il 22 dicembre dello stesso anno.

La Costituzione italiana è lunga, votata e rigida, cioè modificabile solo con un procedimento

aggravato e con il limite, sancito dall’articolo 139, dell’intangibilità della forma repubblicana.

Ispirata ad una sostanziale unità di intenti ed alla comune volontà di superamento del modello

statutario, la Costituzione non riesce a celare la

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A.A. 2018-2019
373 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/17 Diritto penale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher francesca ghione di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto penale II e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Torino o del prof Riverditi Maurizio.